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Il termine processuale, ossia il periodo di tempo entro il quale va compiuta una determinate attività, può essere a) perentorio, ossia previsto a pena di decadenza dell’attività prescritta; b) ordinatorio, ossia indicativo e non sanzionato con una decadenza o una nullità; c) dilatorio, che segna il momento a partire dal quale l’attività può essere compiuta, cosicché è invalida quella compiuta prima. (codice di procedura civile articoli da 152 a 155 allegati)
Si considerano giorni festivi: tutte le domeniche, il 1° gennaio, il 6 gennaio, il 25 aprile, il lunedì dopo Pasqua, il 1° maggio, il 2 giugno, il 15 agosto, il 1° novembre, l’8 dicembre, il 25 e il 26 dicembre.
Nel computare un termine processuale non si calcola il giorno iniziale (dies a quo); se il dies ad quem (finale) cade in un giorno festivo si posticipa automaticamente al primo non festivo successivo. Se la legge fa riferimento al concetto di “giorni liberi” non viene computato neanche il dies ad quem.
Se la legge non prevede espressamente la perentorietà del termine, lo stesso va considerato ordinatorio.
Per il computo dei termini a mesi o ad anni, si osserva il calendario comune; quindi la scadenza si ha con lo spirare dell’ultimo istante del giorno e del mese ovvero (per i termini annuali) del giorno, del mese e dell’anno (successivo) corrispondenti a quelli iniziali, a nulla rilevando che i mesi siano di 31 o 28 giorni ovvero che nel computo sia compreso il mese di febbraio di un anno bisestile.
I termini perentori non sono soggetti a proroga.
Il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed a quelle amministrative (con l’eccezione del processo del lavoro) è sospeso di diritto dal 1° al 31 agosto di ciascun anno, in base alla riforma attuata con il d.l. n.132/2014 (in precedenza la sospensione durava sino al 15 settembre) e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione.
Ove la decorrenza non sia indicata dal giudice, in genere la decorrenza del termine si calcola partendo dal momento di conoscenza effettiva o legale dell’onere in capo alla parte (ad esempio: il termine per l’appello decorre dalla notificazione della sentenza o, in mancanza, dalla pubblicazione della stessa).
Il problema può porsi in due differenti ipotesi:
a) Con riferimento ai termini che iniziano a decorrere dalla data di notificazione o comunicazione di un atto (così, per esempio i termini di impugnazione di una sentenza).
In tali casi, poiché ai fini dell’impugnazione nel termine breve di cui all’art. 325 codice procedura civile (30 gg per l’appello, 60 gg per il ricorso per cassazione) rileva il momento di ricezione della copia della sentenza da parte del destinatario, di fatto il momento iniziale di decorrenza del termine di impugnazione può variare in relazione alle diverse modalità di notificazione, in quanto il mezzo del servizio postale può comportare tempi più lunghi rispetto alla notificazione mediante consegna da parte dell’ufficiale giudiziario.
b) La Corte costituzionale, in materia di notificazione a mezzo del servizio postale (n. 477 del 2002 e n. 28 del 2004) ha affermato il principio secondo il quale la notifica di un atto processuale - qualunque sia la modalità di trasmissione ( a mezzo servizio postale o mediante consegna da parte dell’ufficiale giudiziario) - si intende perfezionata nei confronti del notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, mentre nei confronti del destinatario il procedimento di notificazione si perfeziona alla data di ricezione dell’atto.
Tale principio, che comporta la scissione del momento di perfezionamento della notifica per il notificante e per il destinatario (principio già accolto dal regolamento comunitario 1348/2000), assume, tuttavia, rilievo solo ai fini della tempestività della notifica dell’atto, nel senso che il termine di legge deve ritenersi osservato (dal notificante) se l’atto da notificare viene consegnato all’ufficiale giudiziario prima della scadenza; nessuna incidenza ha, invece, sulla data di decorrenza del termine e cioè sul dies a quo, che può essere costituito dalla notificazione o comunicazione di un atto ovvero dalla pubblicazione della sentenza o da fatti diversi, come sopra meglio precisati.
No, il dies a quo non va computato.
Vengono computati tutti i giorni; soltanto nel caso in cui il termine finale cada in un giorno festivo è prorogato fino al primo giorno lavorativo successivo.
Per il computo dei termini a mesi o ad anni, si osserva il calendario comune.
In questi casi la scadenza si ha con lo spirare dell’ultimo istante del giorno e del mese ovvero (per i termini annuali) del giorno, del mese e dell’anno (successivo) corrispondenti a quelli iniziali, a nulla rilevando che i mesi siano di 31 o 28 giorni ovvero che nel computo sia compreso il mese di febbraio di un anno bisestile.
Si.
I termini perentori non possono essere prorogati. Tuttavia la parte può chiedere al giudice di essere “rimessa in termini” quando dimostri di essere incorsa nella cadenza per causa ad essa non imputabile.
Occorre distinguere, innanzitutto, tra termini lunghi e termini brevi.
Il termine lungo è pari a sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. Il termine breve, che decorre dalla notificazione della sentenza, è pari a trenta giorni per l’appello e a sessanta giorni per il ricorso per cassazione. L’opposizione di terzo revocatoria e la revocazione si propongono nei trenta giorni successivi alla scoperta rispettivamente del dolo o della collusione ovvero del vizio. Il regolamento di competenza si propone entro 30 giorni.
Normalmente il giudice è libero di fissare il termine entro un intervallo fissato dalla legge. Tuttavia nel caso specifico dei termini di comparizione della parte è la legge, e non il giudice, ad individuarli. Ai sensi dell’art. 168bis codice procedura civile il giudice può differire la data della prima udienza fino ad un massimo di 45 giorni.
In Italia non esiste un istituto generale che preveda benefici dei termini, anche se in taluni casi – a fronte di calamità naturali – i termini sono stati sospesi. In linea generale, dunque, il beneficio della proroga si applica soltanto al soggetto o alla zona interessata da un provvedimento normativo o da un decreto ministeriale.
Il mancato rispetto di un termine perentorio dà luogo alla decadenza dal potere di compiere l’atto che lo stesso consentiva.
Le parti incorse nella decadenza possono chiedere, dimostrando una causa loro imputabile, di essere rimesse in termini.
procedural time limit Codice procedura civile articoli 323- 338(72 Kb)
procedural time limit Codice di Procedura Civile articoli 152 - 155(41 Kb)
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