Archivio selezionato: Sentenze T.A.R.
Autorità: T.A.R. Roma sez. III
Data: 11/12/2012
n. 10296
Classificazioni: UNIONE EUROPEA - Ce - - protezione dei consumatori
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1915 del 2012,
proposto
dal Codacons, dall'Associazione Articolo 32 e dalla sig.ra Je. Sa., tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Carlo Rienzi, Gino Giuliano, Marco Ramadori e Valentina Colarusso, con domicilio eletto presso l'ufficio legale nazionale del Codacons in Roma, v.le Mazzini, n. 73,
contro
il Ministero della salute, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Conferenza Unificata Stato-Regioni, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui sono domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
l'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana "Spedali Riuniti di S. Chiara" e la Regione Lazio, non costituite in giudizio,
nonché nei confronti di
Poly Implant Prothese (P.i.p.), Promoitalia s.r.l. in Liquidazione, Gf Electromedics s.r.l., Assobiomedica, Soc. Sicpre Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica, non costituiti in giudizio,
per l'annullamento
dell'ordinanza di necessità ed urgenza del Ministero della salute del 29 dicembre 2011, recante l'adozione di provvedimenti in materia di protesi mammarie cosiddette P.i.p. (11A16886), nella parte e nella misura in cui non prevede alcunché in merito sia alle modalità di addebito circa gli interventi medico/chirurgici, laddove vi sia indicazione clinica specifica, che alla rimozione e/o sostituzione delle protesi ed alle cure, ivi comprese quelle di natura neuro/psicologica, alle quali dovranno sottoporsi le pazienti, da porsi a carico del S.S.N., giusto parere del Consiglio Superiore della Sanità nella seduta del 22 dicembre 2011, nonché nella parte in cui, discostandosi dalle ordinanze di altri Ministeri, comunitari e non, non ha ordinato la rimozione delle protesi per tutte le donne cui sono state impiantate, nonostante contengano un prodotto non idoneo per uso umano;
del parere del Consiglio Superiore di Sanità reso nella seduta dell'8 giugno 2010, nella parte in cui si limita a sensibilizzare i medici, che hanno impiantato alle proprie pazienti protesi P.i.p., e prevede che "si evitino, al momento, procedure più complesse e si adottino provvedimenti drastici"; del parere del Consiglio Superiore di Sanità reso nella seduta del 22 dicembre 20911, nella parte in cui si limita a prevedere che "il Servizio sanitario nazionale si farà carico degli interventi medico-chirurgici laddove vi sia indicazione clinica specifica", senza nulla specificare circa gli interventi necessari di asportazione, sostituzione ed installazione delle protesi P.i.p., anche di non immediato pericolo di rottura;
dell'accordo, ai sensi dell'art. 4, d.lgs. n. 281 del 1997, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento recante "Linee guida di carattere clinico ed organizzativo per la gestione clinica dei casi di persone portatrici di protesi mammarie prodotte dalla ditta Poly Implant Prothese (P.i.p.)", nella parte in cui si limita a prevedere che "in assenza di segni clinici diagnostici, qualora la persona portatrice presenti una persistente preoccupazione relativa alla rottura delle protesi e alle conseguenze della rottura della stessa ed il medico ritenga la preoccupazione ragionevole, anche in considerazione del tempo trascorso dall'impianto, il medico può proporre l'espianto ove reputi che gli effetti del medesimo possano essere significativi per il benessere psichico della persona ... La sostituzione delle protesi potrà essere eseguita contemporaneamente a giudizio del chirurgo, in ogni caso si consiglia l'introduzione di nuove protesi nei casi in cui sia presente evidenza di importante componente infiammatoria locale e di infezione ..", senza nulla specificare circa le spese e gli interventi necessari di sostituzione ed installazione di nuove protesi, anche di non immediato rischio di rottura;
ove occorra, di tutti gli atti presupposti, conseguenti e comunque connessi a quelli impugnati, ivi compreso ogni altro atto e/o documento istruttorio,
nonché avverso:
il silenzio rifiuto delle Aziende sanitarie territorialmente competenti a rimuovere e/o sostituire le protesi mammarie P.i.p., ivi compreso, a titolo esemplificativo, quello dell'Azienda Ospedaliera universitaria Pisana - Ospedali riuniti di S. Chiara, giusta nota dell'11 gennaio 2012, con la quale il medico dell'U.O. di Chirurgia plastica e ricostruttiva, valutato lo stato della paziente, certificava che "allo stato attuale il Ministero della salute ... non ci ha reso disposizioni su come procedere. Quindi, in attesa di una loro comunicazione, rilevo i dati della paziente affinché venga contattata nel momento in cui il Ministero della salute ci informi su come procedere", nonché con l'atto di motivi aggiunti, notificato il 16 aprile 2012 e depositato il successivo 19 aprile,
per l'annullamento:
dell'ordinanza del Ministero della salute del 5 marzo 2012, recante "adozione di ulteriori provvedimenti in materia di protesi mammarie c.d. P.i.p.", nella parte in cui limita il percorso organizzativo assistenziale per le pazienti alle risorse disponibili e nulla dispone in merito ai casi di non immediato rischio di rottura ed agli interventi di tipo estetico.
Visti il ricorso ed i relativi allegati; Visto l'atto di motivi aggiunti, notificato il 16 aprile 2012 e depositato il successivo 19 aprile; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della salute, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Conferenza Unificata Stato - Regioni; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 4 dicembre 2012 il Consigliere Giulia Ferrari; uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:.
Fatto
FATTO
1. Con atto notificato in data 28 febbraio 2012 e depositato il successivo 14 marzo i ricorrenti hanno impugnato, tra l'altro, l'ordinanza di necessità ed urgenza del Ministero della salute del 29 dicembre 2011, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del successivo 31 dicembre, recante l'adozione di provvedimenti in materia di protesi mammarie cosiddette P.i.p. (11A16886), nella parte e nella misura in cui non prevede alcunché in merito sia alle modalità di addebito circa gli interventi medico/chirurgici laddove vi sia indicazione clinica specifica che alla rimozione e/o sostituzione delle protesi ed alle cure, ivi comprese quelle di natura neuro/psicologica, alle quali dovranno sottoporsi le pazienti, da porsi a carico del S.S.N., giusto parere del Consiglio Superiore della Sanità nella seduta del 22 dicembre 2011, nonché nella parte in cui, discostandosi dalle ordinanze di altri Ministeri, comunitari e non, non ha ordinato la rimozione delle protesi per tutte le donne cui sono state impiantate, nonostante contengano un prodotto non idoneo per uso umano. Hanno altresì impugnato l'accordo, ai sensi dell'art. 4, d.lgs. n. 281 del 1997, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento recante "Linee guida di carattere clinico ed organizzativo per la gestione clinica dei casi di persone portatrici di protesi mammarie prodotte dalla ditta Poly Implant Prothese (P.i.p.)", nella parte in cui si limita a prevedere che "in assenza di segni clinici diagnostici, qualora la persona portatrice presenti una persistente preoccupazione relativa alla rottura delle protesi e alle conseguenze della rottura della stessa ed il medico ritenga la preoccupazione ragionevole, anche in considerazione del tempo trascorso dall'impianto, il medico può proporre l'espianto ove reputi che gli effetti del medesimo possano essere significativi per il benessere psichico della persona ... La sostituzione delle protesi potrà essere eseguita contemporaneamente a giudizio del chirurgo, in ogni caso si consiglia l'introduzione di nuove protesi nei casi in cui sia presente evidenza di importante componente infiammatoria locale e di infezione ..", senza nulla specificare circa le spese e gli interventi necessari di sostituzione ed installazione di nuove protesi, anche di non immediato rischio di rottura. Parte ricorrente espone, in fatto, che a seguito di un esposto penale da essa presentato alle Procure competenti per avviare indagini in ordine alla pericolosità o non delle protesi mammarie prodotte dalla Poly Implant Prothese (P.i.p.), il Consiglio Superiore della Sanità (C.S.S.), con parere del 22 dicembre 2011, ha reso noto che a seguito di indagini condotte dalle Autorità francesi è stato riscontrato che le protesi P.i.p. sono composte da materiale che non corrisponde agli standard internazionali. Tali protesi sono state ritirate dal commercio in Italia dall'1 aprile 2010. Per dette protesi non esistono prove di maggior rischio di cancerogenicità, ma sussiste una maggiore probabilità di rottura e di reazioni infiammatorie. Pertanto le donne, che hanno subito un impianto di protesi mammarie, sono invitate a discutere la loro situazioni con il proprio chirurgo. Ha poi chiesto ai centri che hanno eseguito tali impianti di farsi parte attiva e richiamare le pazienti alle quali sono state impiantate protesi P.i.p.. Il C.S.S. ha concluso nel senso che il Servizio Sanitario Nazionale avrebbe dovuto farsi carico degli interventi medico-chirurgici laddove ci sia indicazione clinica specifica, senza però specificare in merito alle modalità di sostituzione e alle spese necessarie all'impianto di nuova protesi. Nonostante tale parere il Ministero della salute, con ordinanza del 29 dicembre 2011, non ha disciplinato le modalità di addebito degli interventi medico-chirurgici effettuati né i casi in cui tale rimozione è necessaria né infine le cure psicologiche alle quali devono essere sottoposte le donne che, allo stato, non necessitano di sostituzione. Aggiunge parte ricorrente che con nota dell'8 febbraio 2012 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha convocato la Conferenza Stato - Regioni per redigere un accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano sulle "Linee guida di carattere clinico ed organizzativo per la gestione clinica dei casi di persone portatrici di protesi mammarie P.i.p.". Detto documento si è tuttavia limitato a prevedere che in assenza di segni clinici diagnostici, qualora la persona portatrice presenti una persistente preoccupazione relativa alla rottura delle protesi o alle conseguenze della rottura della stessa il medico, che ritenga la preoccupazione ragionevole, anche in considerazione del tempo trascorso dall'impianto, può proporre l'espianto ove reputi che gli effetti del medesimo possono essere significativi per il benessere psichico della persona. La sostituzione delle protesi potrà essere eseguita contemporaneamente a giudizio del chirurgo. È stata consigliata in ogni caso l'introduzione di nuove protesi nei casi in cui risulti presente una importante componente infiammatoria locale o di infezione, senza però nulla specificare circa le spese di sostituzione delle protesi P.i.p., anche di non immediato rischio di rottura.
2. Avverso i predetti provvedimenti parte ricorrente è insorta deducendo:
a) Violazione e falsa applicazione art. 4, d.lgs. n. 266 del 1993 e d.P.R. n. 108 del 2011 - Violazione e falsa applicazione artt. 3, 16, 17, l. n. 241 del 1990 - Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, irragionevolezza, illogicità, sviamento, violazione del legittimo affidamento - Violazione art. 32 Cost. - Violazione dei principi generali di buon andamento della Pubblica amministrazione. Con l'ordinanza impugnata il Ministero della salute non si è attenuto a quanto aveva espressamente dichiarato il C.S.S. nel parere del 22 dicembre 2011, e cioè che "il S.S.N. si farà carico degli interventi medico-chiruirgici laddove vi sia indicazione clinica specifica". Alla fattispecie era quindi applicabile il principio secondo cui l'Amministrazione, che abbia richiesto un parere obbligatorio, non può dallo stesso discostarsi senza esternare, mediante congrua motivazione, le ragioni che la inducono a disattendere le considerazioni e le conclusioni in esso contenute Nessuna motivazione è presente nel provvedimento ministeriale impugnato.
b) Violazione e falsa applicazione d.P.R. n. 108 del 2011, recante regolamento di organizzazione del Ministero della salute - Art. 1, d.lgs. n. 502 del 992 - Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1, l. n. 421 del 1992 - Violazione e falsa applicazione artt. 2 e 31 Cost. - Violazione art. 97 Cost. Illegittimamente l'Amministrazione non ha tenuto in alcuna considerazione lo stato psicologico delle donne che, seppure non hanno avuto necessità di espiantare urgentemente le protesi P.i.p., devono sottoporsi a continui controlli.
c) Violazione e falsa applicazione della direttiva 2007/47/CE e d.lgs. n. 37 del 2010 - Violazione del principio comunitario di precauzione. Una corretta vigilanza ed un corretto sistema di prevenzione del rischio, da parte delle Autorità preposte alla vigilanza, avrebbe certamente evitato il grave danno alla salute provocato a moltissime pazienti che si sono sottoposte all'impianto delle protesi P.i.p. d) Violazione art. 1, d.lgs. n. 502 del 1992 - Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1, l. n. 421 del 1992 - Violazione del principio comunitario di precauzione sotto altro profilo - Violazione del principio di armonizzazione - Violazione artt. 32 e 97 Cost.. L'ordinanza ministeriale impugnata è censurabile anche nella parte in cui non prevede che siano a carico del S.S.N. anche tutti gli interventi di esportazione e sostituzione delle protesi P.i.p. seppure non ad immediato rischio di rottura.
3. Con atto di motivi aggiunti, notificato il 16 aprile 2012 e depositato il successivo 19 aprile, parte ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza del Ministero della salute del 5 marzo 2012, recante "adozione di ulteriori provvedimenti in materia di protesi mammarie c.d. P.i.p.", nella parte in cui limita il percorso organizzativo assistenziale per le pazienti alle risorse disponibili e nulla dispone in merito ai casi di non immediato rischio di rottura ed agli interventi di tipo estetico. La tesi svolta è che anche in questa seconda ordinanza il Ministero non ha chiarito se il S.S.N. deve farsi carico dell'espianto e anche del reimpianto. Ha inoltre violato il principio di precauzione perché non ha garantito una cautela effettiva alle donne. 4. Con memoria depositata in data 27 aprile 2012 i ricorrenti hanno chiesto che sia disposta la sospensione delle linee guida, all.to A dell'Accordo Stato Regioni del 9 febbraio 2012 (confermate dall'ord. del 5 marzo 2012): a) nei primi due capoversi delle indicazioni cliniche, dalla parola "esame" nella prima riga alla parola "mediante" alla fine della terza riga, "al fine di eliminare la valutazione soggettiva del medico circa l'opportunità del ricorso all'unico strumento diagnostico ritenuto oggettivamente attendibile"; b) dalla riga 11 alla riga 12 delle indicazioni cliniche, dalle parole "ed il medico" della riga 11 alla parola "impianto" della riga 12 e dalla riga 14 alla riga 16, dalla parola "manifesti" alla fine della riga 14 alla parola "espianto" all'inizio della riga 17, anche in questo caso al dichiarato "fine di non legare la scelta di intervenire a carico del S.S.N. alla soggettività dell'operatore medico in ordine al rischio rottura o alla ragionevolezza della preoccupazione, ma di disporre l'espianto e il reimpianto a cure e spese del SSN ogni volta che un donna con protesi PIP, e quindi esposta a rischi ad oggi non conosciuti, ne faccia richiesta".
5. Il Ministero della salute, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Conferenza Unificata Stato - Regioni si sono costituiti in giudizio depositando documentazione, ivi inclusa una relazione ministeriale, ma non anche memorie difensive.
6. La Regione Lazio non si è costituita in giudizio.
7. L'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana "Spedali Riuniti di S. Chiara" non si è costituita in giudizio.
8. Le Poly Implant Prothese (P.i.p.), Promoitalia Srl in Liquidazione, Gf Electromedics Srl, Assobiomedica, Soc. Sicpre Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica non si sono costituite in giudizio.
9. Con ordinanza n. 1553 del 30 aprile 2012, confermata dalla sez. III del Consiglio di Stato con ordinanza n. 3531 dell'1 settembre 2012, è stata accolta l'istanza cautelare di sospensiva ai fini del riesame del provvedimento impugnato, affinché il Ministero della salute lo riveda valutando la possibilità di estendere i principi nello stesso fissati, in relazione all'espianto e al reimpianto, a carico del Servizio Sanitario Nazionale, delle protesi P.i.p., alle donne che lo richiedano, inserendo in coda alla lista di attesa le istanti che non abbiano una prescrizione medica che ha attestato la necessità della sostituzione. L'ordinanza non è stata adempiuta dal Ministero della salute.
10. All'udienza del 4 dicembre 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Diritto
DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione attiva, in quanto proposto dall'Associazione Articolo 32. Detta Associazione non risulta infatti iscritta nell'elenco delle associazioni di consumatori ed utenti istituito dall'art. 137, comma 1, del codice del consumo approvato con d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206, iscrizione che, secondo quanto chiarito sia dall'Adunanza plenaria 11 gennaio 2007, n. 1, che da questo Tribunale (sentenze nn. 2704 del 21 marzo 2012, 1620 dell'8 febbraio 2010 e 7868 del 5 agosto 2009), costituisce requisito essenziale perché, ai sensi dell'art. 139 dello stesso decreto, un'associazione possa ritenersi legittimata a ricorrere e a resistere. Né tale legittimazione può esserle riconosciuta per il solo fatto che il ricorrente Codacons è un'Associazione di Associazioni (tra le quali è compresa anche l'Associazione Articolo 32), atteso che l'indubbia legittimazione attiva del Codacons non si estende singulatim a ciascuno dei suoi associati, da solo non iscritto nell'elenco delle associazioni di consumatori ed utenti istituito dall'art. 137, comma 1, d.lgs. n. 206 del 2005.
2. Sempre in via preliminare va preso atto e stigmatizzato che l'Amministrazione non ha ottemperato all'ordinanza di questa sezione n. 1553 del 30 aprile 2012, confermata dalla sez. III del Consiglio di Stato con ordinanza n. 3531 dell'1 settembre 2012, che aveva accolto l'istanza cautelare di sospensiva ai fini del riesame del provvedimento impugnato. Ciò ha determinato il deposito, da parte ricorrente, di una richiesta di condanna della P.A. ad ottemperare alla fase cautelare. Ritiene peraltro il Collegio che il sopraggiungere della data, già fissata nella predetta ordinanza n. 1553 del 2011, per la trattazione del merito della causa, fa venire meno l'interesse alla decisione su detta istanza, essendo la stessa superata da una pronuncia definitiva sul merito della controversia, pronuncia nella quale non sarà, naturalmente, più valutato l'elemento del danno potenzialmente ingenerato delle impugnate ordinanze ministeriali e dell'Accordo Stato - Regioni preso in sede di Conferenza di servizi - che ha avuto un peso predominante nella fase cautelare - ma la legittimità degli atti innanzi indicati.
3. Al fine del decidere è necessario chiarire esattamente la vicenda contenziosa e il petitum azionato da parte ricorrente con i primi due motivi dell'atto introduttivo del giudizio e con la prima censura dell'atto di motivi aggiunti. Ad avviso di parte ricorrente con i provvedimenti impugnati l'Amministrazione si sarebbe limitata a "censire le protesi impiantate" (pag. 20 dell'atto introduttivo del giudizio), discostandosi in tal modo dal parere espresso dal Consiglio Superiore della Sanità del 22 dicembre 2011, che aveva chiaramente affermato che "il S.S.N. si farà carico degli interventi medico-chirurgici laddove vi sia indicazione clinica specifica". I provvedimenti impugnati sarebbero dunque illegittimi nella parte in cui non prevedono "alcunché in merito alle modalità di addebito circa gli interventi medico-chirurgici, laddove vi sia indicazione clinica specifica e non stabilendo alcun tipo di risarcimento a carico del S.S.N. per i disagi subiti e le spese di sostituzione degli impianti, né tanto meno in relazione alle cure psicologiche alle quali dovranno sottoporsi le donne che, ad oggi, non necessitano ancora di sostituzione" (pag. 16 dell'atto introduttivo del giudizio). Afferma ancora parte ricorrente (pag. 20 dell'atto introduttivo del giudizio) che l'ordinanza ministeriale del 29 dicembre 2011 sarebbe illegittima nella parte in cui non prevede "alcunché in merito alle spese e agli interventi medico-chirurgici a cui dovranno sottoporsi moltissime pazienti, né tanto meno le cure alle quali le pazienti dovranno sottoporsi, laddove vi sia l'attestazione clinica che dimostri lo stress e l'ansia alle quali le stesse sono sottoposte nel caso in cui la protesi non abbia ancora causato danni e non vengano asportate nell'immediato". Sempre ad avviso di parte ricorrente la succitata ordinanza ministeriale sarebbe illegittima anche nella parte in cui non prevede "che siano a carico del S.S.N. anche tutti gli interventi di esportazione e sostituzione delle protesi P.i.p. anche non ad immediato rischio di rottura" (pag. 29 dell'atto introduttivo del giudizio). Anche nell'atto di motivi aggiunti (pag. 4) parte ricorrente denuncia, ancora una volta, l'illegittimità del provvedimento ministeriale del 29 dicembre 2011 nella parte in cui non prevede alcunché in merito alle modalità di addebito al S.S.N. degli interventi medicochirurgici, laddove vi sia indicazione clinica specifica, né stabilisce alcunché ai fini della rimozione e/o sostituzione delle protesi né tanto meno in merito alle cure psicologiche alle quali dovranno sottoporsi le donne che, ad oggi, non necessitano ancora di sostituzione. Sempre ad avviso di parte ricorrente anche la successiva ordinanza ministeriale del 5 marzo 2012 sarebbe illegittima perché "nulla prevede sugli aspetti assistenziali, per le pazienti che si vedranno costrette, previo controllo medico, ad asportare l'impianto né tanto meno in merito agli interventi di tipo estetico". Nella sostanza, dunque, parte ricorrente censura le ordinanze ministeriali impugnate (e l'Accordo Stato - Regioni) nella parte in cui non prevedono espressamente che le spese per l'espianto e il nuovo impianto siano a carico del Servizio Sanitario Nazionale, indipendentemente sia dalle ragioni che avevano indotto la donna all'impianto di protesi P.i.p., sia dalla struttura - pubblica o privata che sia - che tale impianto aveva effettuato. A carico del Servizio Sanitario Nazionale devono essere anche le cure psicologiche alle quali le donne, cui sono o sono state impiantate protesi P.i.p., hanno necessità di sottoporsi. In altri termini, i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi nella parte in cui non prevedono determinate indicazioni a carico del S.S.N.
4. Le ordinanze impugnate sono, ad avviso di parte ricorrente, illegittime innanzitutto perché, non contenendo le prescrizioni indicate sub 3, si discostano immotivatamente dal parere reso dal Consiglio Superiore della Sanità del 22 dicembre 2011, secondo cui "il S.S.N. si farà carico degli interventi medico-chiruirgici laddove vi sia indicazione clinica specifica" (primo motivo dell'atto introduttivo del giudizio). Il motivo non è suscettibile di positiva valutazione. I provvedimenti adottati dal Ministero della salute, oggetto dell'impugnativa sia con l'atto introduttivo del giudizio che nella via dei motivi aggiunti, hanno la forma dell'ordinanza contingibile ed urgente, cioè di strumento al quale l'ordinamento vigente assegna il compito specifico di fronteggiare con immediatezza un pericolo attuale, costituito dal rischio concreto di un danno grave e imminente per l'incolumità pubblica e per l'igiene (Cons. St., sez. V, 19 settembre 2012, n. 4968). Nella specie, il Ministero della salute - una volta preso atto che le protesi P.i.p. potevano provocare danni fisici alle donne alle quali erano state innestate (rischio di reazioni infiammatorie e di rottura), e conseguentemente bloccato in Italia il commercio e l'utilizzo delle stesse - ha ravvisato "la necessità e l'urgenza di adottare misure dirette a consentire la piena applicazione delle raccomandazioni di cui al citato parere del Consiglio Superiore della Sanità [22 dicembre 2011, sezioni congiunte II e V], secondo cui le donne, che hanno subito un impianto di protesi mammarie P.i.p., sono invitate a discutere la loro situazione con il proprio chirurgo. I centri dove sono stati eseguiti impianti con protesi P.i.p. sono richiesti di essere parte attiva nel richiamare le pazienti che hanno subito un impianto di protesi P.i.p.. Il Servizio Sanitario Nazionale si farà carico degli interventi medico/chirurgici laddove vi sia indicazione clinica specifica" (ultimo capoverso della parte motiva dell'ordinanza). Quindi, al precipuo fine di attuare quanto raccomandato dal C.S.S. (e dunque non in contrasto con lo stesso), nella parte dispositiva dell'ordinanza il Ministero della salute ha dettato i criteri da adottare per avere la situazione fattuale sotto controllo, e cioé individuare le donne che si erano sottoposte - sin dall'1 gennaio 2001 - all'operazione di innesto, sia in strutture pubbliche che in quelle private, accreditate o comunque autorizzate. Ha poi chiesto alle competenti autorità regionali di verificare che le strutture sanitarie presso le quali sono state effettuate tali operazioni seguano le raccomandazioni impartite dal Consiglio Superiore della Sanità, raccomandazioni che ha ritenuto parte integrante della stessa ordinanza. Dunque, l'ordinanza contingibile ed urgente è stata adottata proprio alla luce del parere reso dal C.S.S. per fronteggiare la situazione emergenziale scaturente dalle necessità di effettuare una rapida e precisa ricognizione dei dati per quantificare il fenomeno e sottoporlo a immediato e continuo controllo. La mancata previsione di chi deve sostenere le spese relative alle operazioni di espianto e, ove necessario, di reimpianto nonché quelle delle cure psicologiche non deve essere intesa, quindi, come volontà di discostarsi, in parte qua, dal parere del C.S.S. o, comunque, come scelta di non affrontare il problema. Lo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente utilizzato dal Ministero non consentiva di affrontare questioni in relazione alle quali non fosse ravvisabile un rischio concreto ed attuale per la salute pubblica. E la parte relativa all'aspetto economico del "fenomeno protesi P.i.p." non costituiva allo stato un problema nuovo da affrontare con immediatezza proprio perché, come meglio si spiegherà in seguito, lo stesso rientra nella disciplina generale dettata dalla normativa, primaria e secondaria, in tema di prestazioni sanitarie a carico del servizio pubblico. Analoga conclusione s'impone anche per l'ordinanza del 5 marzo 2012, impugnata nella via dei motivi aggiunti e adottata a fronte della necessità e dell'urgenza "di adottare misure dirette a consentire la verifica dell'attuazione di quanto disposto dalla citata ordinanza del Ministro della salute del 29 dicembre 2011, nonché di quanto convenuto dal Governo e Regioni nel ricordato Accordo del 9 febbraio 2012".
5. Anche gli altri motivi, che per ragioni di ordine logico possono essere trattati congiuntamente, non sono suscettibili di positiva valutazione perché si fondano sull'assunto - che sub 4 si è dimostrato essere erroneo - che il non aver espressamente previsto nelle due ordinanze ministeriali chi deve sopportare le conseguenze economiche dell'espianto, dell'eventuale reimpianto e delle cure psicologiche sottintende che tali spese non sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Come si è chiarito sub 4, non rientrava nelle funzioni proprie delle ordinanze contingibili ed urgenti disciplinare l'aspetto economico della vicenda, proprio perché in relazione allo stesso mancava il carattere dell'urgenza, non essendo intenzione del Ministero derogare ai principi vigenti sul punto, come disciplinati dal d.P.C.M. 29 novembre 2001.
6. Al fine di razionalizzare il problema sollevato da parte ricorrente va chiarito che le ipotesi, che si possono verificare, sono quelle della donna che ha subito: a) presso una struttura pubblica o privata accreditata, un impianto di protesi P.i.p. a seguito di una masterectomia; b) presso una struttura privata non accreditata, un impianto di protesi P.i.p. a seguito di una masterectomia; c) presso una struttura privata non accreditata, un impianto di protesi P.i.p. per ragioni di carattere esclusivamente estetiche. In tutti questi tre casi la donna potrebbe avere necessità di espiantare la (o le) protesi P.i.p. e, eventualmente, di reimpiantarne una nuova. A questi casi si aggiunge quello della donna che vive in uno stato di profonda angoscia e depressione per il timore che la protesi, che le è stata impiantata, possa rompersi, provocarle infiammazione o comunque danni alla salute, e di conseguenza è vittima di uno stress psicologico di intensità tale da rendere necessario l'aiuto di un professionista del settore (psicologo o psichiatra). Ciò premesso, ricorda il Collegio che le prestazioni rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale sono quelle che rientrano nei c.d. Livelli essenziali di assistenza (Lea). L'art. 1, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 prevede, infatti, che la tutela della salute, come diritto fondamentale dell'individuo ed interesse della collettività, è garantita, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana, a mezzo del Servizio Sanitario Nazionale, quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti e istituzioni di rilievo nazionale, nell'ambito dei conferimenti previsti dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, nonché delle funzioni conservate allo Stato dal medesimo decreto. Il Servizio Sanitario Nazionale assicura, mediante le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi dell'art. 1, comma 3, cit. d.lgs. n. 502 del 1992 e in coerenza con i princìpi e gli obiettivi indicati dagli artt. 1 e 2, l. 23 dicembre 1978, n. 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei princìpi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell'equità nell'accesso all'assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell'economicità nell'impiego delle risorse. Le prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza sono garantite dal Servizio Sanitario Nazionale a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo le modalità previste dalla legislazione vigente. Con il d.P.C.M. 29 novembre 2001 sono stati definiti i livelli essenziali di assistenza ai sensi dell'art. 1, d.lgs. n. 502 del 1992. Il suddetto decreto reca la classificazione dei livelli di assistenza (all. 1); la ricognizione della normativa vigente, con l'indicazione delle prestazioni erogabili, delle strutture di offerta e delle funzioni (all. 1.B.); l'indicazione delle prestazioni totalmente escluse dai Lea (all. 2 A) e di quelle parzialmente escluse dai Lea in quanto erogabili solo secondo specifiche indicazioni cliniche (all. 2 B); l'indicazione delle prestazioni incluse nei Lea che presentano un profilo organizzativo potenzialmente inappropriato o per le quali occorre comunque individuare modalità più appropriate di erogazione (all. 2 C); le indicazioni particolari per l'applicazione dei livelli in materia di assistenza ospedaliera, assistenza farmaceutica, assistenza specialistica e integrazione socio sanitaria, nonché in materia di assistenza sanitaria alle popolazioni delle isole minori ed alle altre comunità isolate (all. 3) e la indicazione delle linee guide relative al ruolo delle Regioni in materia di Lea (all. 4). Si tratta evidentemente di un atto amministrativo generale, espressione del potere pararegolamentare dell'Esecutivo, caratterizzato da un'amplissima discrezionalità (non meramente amministrativa, ma anche tecnica), finalizzato alla concreta tutela degli interessi pubblici, con particolare riguardo al controllo della spesa pubblica in materia sanitaria che peraltro trova fonte nell'art. 6, d.l. 18 settembre 2001, n. 347, convertito con modificazioni dalla l. 16 novembre 2001, n. 405 (Cons. St., sez. V, 4 febbraio 2004, n. 398). Va peraltro aggiunto che, per il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'art. 54, l. 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003), il contenuto del d.P.C.M. 29 novembre 2001 (e dunque la definizione dei livelli essenziali di assistenza espressamente richiamati dal comma) è stato legificato a decorrere dalla stessa data della sua entrata in vigore (Cons. St., sez. V, 4 febbraio 2004, n. 398).
7. Data la premessa, da essa discende come corollario obbligato che è a tale decreto che occorre fare riferimento per individuare la disciplina generale delle prestazioni a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Rientrano certamente nelle prestazioni coperte dal S.S.N. gli espianti di protesi che hanno provocato alla donna reazioni infiammatorie o che stanno per rompersi, e ciò indipendentemente dalla struttura (pubblica, privata accreditata o solo autorizzata) che aveva eseguito l'impianto. Rientrano altresì nelle prestazioni a carico del S.S.N. i reimpianti di protesi espiantate dopo operazioni di masterectomia, anche in questo caso indipendentemente dalla struttura (pubblica, privata accreditata o solo autorizzata) che aveva eseguito l'impianto. Sono dunque esclusi i soli reimpianti afferenti a protesi P.i.p. impiantate per ragioni di carattere estetico (all. 2 A al d.P.C.M. 29 novembre 2001), salvo che gli stessi non si rendano necessari per scongiurare un pericolo non necessariamente sicuro ma neppure solo ipotetico per la salute della donna, risultando irrilevante in questo caso che tale situazione sia da addebitare ad un'operazione eseguita per ragioni di carattere esclusivamente estetico, che l'interessata aveva ritenuto prioritarie rispetto ai pericoli che ogni intervento chirurgico presenta. Rientrano nelle prestazioni coperte dal S.S.N. anche le cure psicologiche (o psichiatriche).
8. Chiarite le ragioni per cui le impugnate ordinanze ministeriali contingibili e urgenti non potevano affrontare l'aspetto economico delle prestazioni sanitarie connesse all'espianto e all'impianto delle protesi mammarie e alle eventuali cure psicologiche cui le donne avessero necessità di sottoporsi e ricondotta la problematica sollevata dal Codacons nei principi generali che regolano l'assistenza sanitaria nel nostro ordinamento, risultano privi di pregio i motivi primo e secondo dedotti con l'atto introduttivo del giudizio e la prima censura dell'atto di motivi aggiunti. Nessuna violazione dei principi costituzionalmente garantiti in materia di diritto alla salute è infatti riscontrabile, atteso che la circostanza che il Ministero della salute non abbia preso posizione sulla copertura economica delle prestazioni sanitarie rese necessarie alle donne che avevano avuto impiantate protesi P.i.p. è riconducibile, come è stato innanzi chiarito, al solo fatto che le stesse soggiacciono ai principi generali dettati dal d.P.C.M. 29 novembre 2001, il cui contenuto è stato, come si è detto, ormai legificato. Resta ferma la necessità - a fronte di una problematica di elevato rilievo sul piano non solo economico, ma anche di salvaguardia dei principi dettati dalla Carta costituzionale a tutela della salute - che gli organismi competenti dello Stato e delle Regioni verifichino che le prestazioni a carico del Servizio Sanitario Nazionale vengano prontamente erogate, per scongiurare l'aggravarsi delle condizioni fisiche e psichiche delle interessate. A tale fine dovrà essere valutata la necessità di intervenire con chiarimenti, per evitare che si verifichino episodi quali quelli che hanno indotto il sanitario dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana - Ospedali riuniti di Santa Chiara a manifestare, nel referto dell'11 gennaio 2011, dubbi in ordine alle modalità con le quali procedere.
9. Anche l'Accordo Stato-Regione, interpretato secondo i criteri indicati sub 5, come consentito dallo stesso richiamo che il suo ultimo comma fa al d.P.C.M. 29 novembre 2001, è esente dai profili di illegittimità denunciati nell'atto introduttivo del giudizio.
10. Parte ricorrente non è seguibile neanche allorché deduce la violazione del principio comunitario di precauzione (terzo e quarto motivo dell'atto introduttivo del giudizio e seconda censura dei motivi aggiunti), atteso che gli organi nazionali competenti sono immediatamente intervenuti non appena hanno avuto comunicazione dallo Stato estero, nel quale la protesi è fabbricata, che la sua produzione era stata vietata in ragione delle riscontrate situazioni di pericolo da essa provocate. Aggiungasi che la normativa comunitaria, a difesa della libera circolazione, inibisce agli Stati membri di vietare l'ingresso nei loro mercati ai prodotti provenienti da uno Stato membro nei cui riguardi la conformità a regole comunitarie, anche a tutela dello salute, sia stata accertata dall'organismo nazionale al quale tale compito è stato affidato. In altri termini, gli Stati membri non possono intervenire in via preventiva vietando l'ingresso nel loro mercato ad un prodotto sospetto, ma possono solo vigilare sulle conseguenze derivanti dall'uso dello stesso, onde evitare che esso possa mettere "a repentaglio la salute e l'incolumità dei pazienti". A ciò, nel caso in esame, gli organi nazionali hanno immediatamente provveduto non appena informati che la protesi in questione era fonte di pericolo, facendo uso a questo fine dello strumento eccezionale costituito dall'ordinanza contingibile e urgente ed applicando la regola comunitaria secondo cui il principio di precauzione postula che "le esigenze collegate alla protezione della salute pubblica devono incontestabilmente vedersi riconoscere un carattere preponderante rispetto alle considerazioni economiche".
11. Nell'esposizione in fatto si è detto (prg. 4) delle ulteriori richieste avanzate dai ricorrenti nella memoria depositata il 27 aprile 2012 e dello scopo con esse perseguito. Lo scopo è quello, espressamente dichiarato, di riconoscere all'interessata la possibilità di rivolgersi direttamente al S.S.N. - senza l'intermediazione del medico o dello psicologo - per ottenere l'espianto e il reimpianto della protesi a spese di quest'ultimo e, quindi, senza condizionare il relativo accollo al giudizio medico in ordine ad un effettivo pericolo di rottura della protesi o d'infiammazione o alla sussistenza di un obiettivo stato di depressione da parte dell'interessata, ma lasciando questa libera di imporre senza intermediari la propria volontà al S.S.N. Risultato che parte ricorrente ritiene di poter ottenere mediante la mera cancellazione, nell'allegato A all'Accordo Stato Regioni, di proposizioni con esso incompatibili. Si tratta di istanza inammissibile (senza che possa rilevare, in contrario, che la stessa sia stata presa in considerazione, in sede di prima valutazione propria della fase cautelare e con esclusivo riferimento all'elemento del danno) perché proposta per la prima volta con memoria non notificata e anche in palese contrasto con l'impostazione costantemente e chiaramente data dai ricorrenti alla difesa delle loro ragioni sia nell'atto introduttivo del giudizio che nei motivi aggiunti, sempre costante nel riconoscere nel ricorso da parte dell'interessata ad una "indicazione o attestazione clinica specifica" - resa dal medico curante ovvero, secondo i casi, dallo psicologo o psichiatra - il presupposto legale indispensabile per sollecitare l'intervento economico del S.S.N. Ma anche a prescindere da queste considerazioni, che hanno carattere assorbente, è contrastante con i principi fondamentali del vigente sistema sanitario il solo ipotizzare che il paziente possa imporre (anche se per il tramite del medico, che dovrebbe limitarsi a prescrivere quanto richiesto dalla paziente) all'Autorità amministrativa, ad esso preposto, un intervento economico sulla base di una diagnosi del proprio stato fisio-psichico da esso solo effettuata, nella veste di medico di se stesso, senza il riscontro dell'organo sanitario competente. Si tratta di pretesa che contrasta con la regola che riserva a soggetti in possesso di una specifica competenza professionale la cura della salute e l'individuazione dei rimedi a questo fine necessari, così come riserva tassativamente all'avvocato la cura, in sede giudiziaria, degli interessi violati.
12. Il ricorso, nella parte volta all'annullamento "del silenzio rifiuto delle A.S.L. territorialmente competenti a rimuovere e/o a sostituire le protesi mammarie P.i.p." è inammissibile (come comunicato alle parti ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a.). Manca infatti in atti la prova che l'atto introduttivo del giudizio sia stato effettivamente notificato alle A.S.L, neppure singolarmente individuate; non sono state neppure depositate le istanze rivolte alle singole A.S.L. che costituiscono, secondo principi pacifici dell'ordinamento giuridico vigente, il presupposto logico per la formazione del c.d. "silenzio rifiuto"; negli atti scritti non risultano dedotte singole, specifiche censure contro l'asserito comportamento silente delle suddette strutture sanitarie; nessuna specifica richiesta è avanzata nei loro confronti nelle conclusioni finali.
13. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto.
Quanto alle spese di giudizio, in considerazione delle argomentazioni che sono alla base della reiezione del ricorso, può disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite.
PQM
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge.
Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Italo Riggio, Presidente
Maria Luisa De Leoni, Consigliere
Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore