Tribunale di Bologna, 12/7/2000, n. 2077
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione regolarmente notificato, Mario Ragone e Loredana Grimaldi proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti ed in favore della S.p.A. Finemiro avente ad oggetto il pagamento di £.16.500.484 per mancato versamento di ratei relativi ad un contratto di finanziamento stipulato dagli opponenti con la società opposta.
A sostegno dell’opposizione veniva dedotto che Ragone e Grimaldi sottoscrivevano presso la propria residenza una proposta di contratto di credito al consumo, il primo in veste di beneficiario diretto, la seconda in veste di coobbligata, al fine di acquistare quote di multiproprietà con la società Proteo. Veniva precisato che, essendo state riscontrate difformità tra le condizioni di finanziamento promesse dai procacciatori proteo e l’effettivo negozio stipulato con la Finemiro, venivano indirizzate verso entrambe le società dichiarazioni di recesso.
In primo luogo veniva pertanto eccepita l’incompetenza territoriale del Giudice adito ex art 12 L. 50/1992 ai sensi del quale, per le controversie aventi ad oggetto l’applicazione del decreto legislativo sopra citato, la competenza territoriale inderogabile è del Giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore.
Veniva inoltre rilevato un altro profilo d’incompetenza territoriale ai sensi dell’art. 1469 bis, comma terzo n. 19 del c.c., secondo il quale è inefficace la clausola negoziale contenente un foro esclusivo convenzionale diverso dalla residenza o domicilio del consumatore, atteso che nel contratto di finanziamento in atti risultava indicato in via esclusiva il foro convenzionale di Bologna. Il Giudice competente doveva pertanto ritenersi il Tribunale di Milano, con conseguente declaratoria d’invalidità del decreto ingiuntivo emesso dal Giudice non competente.
Nel merito veniva dedotta la validità e l’efficacia del recesso nei confronti della Finemiro e conseguentemente si chiedeva la declaratoria di risoluzione del contratto di finanziamento, previa revoca del decreto ingiuntivo opposto.
Si costituiva la Finemiro chiedendo preliminarmente di poter chiamare in causa la Proteo in qualità di venditore convenzionato. In ordine all’eccezione d’incompetenza territoriale deduceva l’inapplicabilità della L. n.50 del 1992 al credito al consumo e individuava nel foro di Bologna uno dei fori alternativamente consentiti dall’art. 20 c.p.c. per le cause aventi ad oggetto obbligazioni, reputando che ai sensi dell’art. 1469 bis, comma terzo n.19, l’inefficacia della deroga convenzionale al foro del consumatore consenta l’applicabilità dei fori di cui all’art. 20 sopra citato.
Nel merito veniva dedotta la tardività e l’inefficacia del recesso degli opponenti e si chiedeva il rigetto dell’opposizione.
Rimaneva contumace la Proteo.
Il Giudice invitava le parti a precisare le conclusioni in ordine all’eccezione d’incompetenza territoriale sollevata dalla parte opponente e tratteneva la causa in decisione per la data del 28 marzo 2000.
L’esame dell’eccezione d’incompetenza territoriale sollevata dalle parti opponenti viene in primo luogo affrontata in ordine al parametro normativo costituito dall’art. 12 del D. Lgs. n. 50/ 1992.
Condizione pregiudiziale per l’applicabilità della disciplina di settore invocata dalla parte opponente è la qualificazione del contratto di finanziamento in atti come contratto di credito al consumo, con particolare riferimento al riconoscimento della qualità di consumatore all’acquirente beneficiario effettivo del finanziamento.
1) IL PROBLEMA DELLA QUALIFICAZIONE DEL CONTRATTO DI FINANZIAMENTO COLLEGATO ALL’ACQUISTO DI QUOTE DI MULTIPROPRIETÀ COME CREDITO AL CONSUMO.
Va infatti precisato che l’art. 121 del D. Lgs. n. 385 del 1993 contiene una definizione positiva generale del contratto di credito al consumo che si completa con le esclusioni indicate nel quarto comma della stessa disposizione. In particolare, per credito al consumo si intende la concessione di un finanziamento a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale svolta.
Le esclusioni del quarto comma integrano la nozione contrattuale sotto il profilo oggettivo, nel senso che la condizione di consumatore è necessaria ma non sufficiente alla qualificazione di un contratto di finanziamento come contratto di credito al consumo, con conseguente limitazione del regime di protezione del consumatore prevista dal D. Lgs. n. 385/1993 solo ai contratti che abbiano un oggetto diverso da quelli identificati nelle lettere a), b), c), d), e), f) del quarto comma dell’art. 121 citato.
E’ infatti esclusa la qualificazione giuridica di credito al consumo ai contratti che superano precisi limiti quantitativi in ordine al finanziamento erogato, ai contratti di somministrazione, ai finanziamenti rimborsabili in condizioni temporali particolari (unica soluzione entro diciotto mesi), ai finanziamenti privi di corrispettivo, ai contratti di locazione ed infine ai finanziamenti destinati all’acquisto di un diritto di proprietà su un terreno od un immobile.
Quest’ultima esclusione impone una valutazione critica relativa alla ricomprensione del contratto di finanziamento in atti nella categoria dei contratti di credito al consumo e della conseguente applicabilità del regime di protezione previsto dalla disciplina di settore e dal D.Lgs. n. 50 del 1992 relativo ai contratti stipulati fuori dai locali commerciali. Deve infatti essere precisato che non per tutti i contratti di finanziamento, ma solo per quelli qualificabili come contratti di credito al consumo in quanto caratterizzati dalla predeterminazione normativa dei requisiti soggettivi ed oggettivi del contratto, può porsi il problema dell’applicabilità del D. Lgs. n. 50 del 1992 anche a tale tipologia negoziale.
Nel caso di specie, il contratto di credito al consumo è stato stipulato al fine di poter acquistare quote di una multiproprietà. C’è pertanto da chiedersi se l’acquisto in oggetto rientri nell’esclusione relativa ai contratti di finanziamento aventi ad oggetto l’acquisto della proprietà di un bene immobile o se possa essere qualificato come contratto di credito al consumo ai fini dell’accesso al complessivo regime di protezione del consumatore.
Con la multiproprietà si conferisce il godimento esclusivo di un immobile con un uso turnario e con preciso vincolo di destinazione, in genere turistico.
La qualificazione giuridica del contratto è controversa. La riconduzione alla comunione incontra il limite applicativo dell’art. 1111 c.c., secondo il quale ogni partecipante può chiederne lo scioglimento, e l’insussistenza dello jus adcrescendi in caso di rinuncia o astensione dal godimento del bene. Ulteriore limite rispetto alla comunione è costituito dal contenuto del diritto, che nei confini temporali negozialmente previsti è pieno ed esclusivo.
La qualificazione in termini di proprietà temporanea od atipica incontra il limite del numero chiuso dei diritti reali.
Rimane la individuazione residuale come diritto di godimento di natura personale, più coerente con la atipicità del contratto di trasferimento di quote di multiproprietà.
Si deve in conclusione ritenere che la incontestata esclusione del diritto in oggetto dal catalogo chiuso dei diritti reali e le differenze riscontrate con la comunione, portino a non ricomprendere il contratto di finanziamento collegato all’acquisto di quote di multiproprietà tra quelli esclusi, secondo l’art. 121, quarto comma, lettera e), D. Lgs. n.385 del 1993 dal regime di protezione del consumatore applicabile ai contratti di credito al consumo.
2) L’APPLICABILITA’ DEL D. LGS. N. 50 DEL 1992 AL CONTRATTO DI CREDITO AL CONSUMO.
Il campo di applicazione del D. Lgs. n. 50 del 1992 è definito dall’art. 1 e riguarda ogni contratto svolto fuori dai locali commerciali che abbia ad oggetto la fornitura di beni o la prestazione di servizi tra un operatore commerciale ed un consumatore.
La qualità soggettiva di consumatori degli opponenti è direttamente mutuabile dall’oggetto del contratto collegato al finanziamento in quanto del tutto estraneo allo svolgimento di qualsiasi attività professionale o commerciale degli stessi.
La indicazione normativa delle tipologie negoziali cui è applicabile la disciplina in oggetto (fornitura di beni e prestazione di servizi) deve essere intesa in senso generale ed onnicomprensivo, con particolare riferimento alla categoria della “prestazione di servizi”, cui va attribuito il contenuto residuale di tutto ciò che non rientra nella fornitura di beni, così come analogicamente è stato inteso nell’innovato art. 636 cpc ai fini della individuazione dei contratti cui è applicabile il regime probatorio di favore previsto dalla disposizione e nell’art. 1469 bis c.c. in ordine alla definizione dell’ambito oggettivo di applicazione della disciplina delle clausole vessatorie.
La scelta interpretativa è confermata sotto il profilo testuale dalla espressa previsione all’art. 3 dei contratti esclusi dal regime di protezione relativo alla vendita fuori dai locali commerciali e, sotto il profilo sistematico, dal diretto collegamento funzionale che i contratti di credito al consumo hanno con i contratti aventi ad oggetto la fornitura di beni.
Deve però darsi atto che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10145 del 20 settembre 1999, ha escluso l’applicazione della disciplina normativa sopra citata ai contratti di credito al consumo.
La motivazione della Corte si fonda esclusivamente sulla esistenza di una specifica disciplina di tutela del consumatore per questa tipologia di contratti prevista negli artt. 121 e seguenti del D. Lgs. n. 385 del 1993.
La lettura delle norme sopraindicate non conduce, però, all’interpretazione restrittiva che ne ha dato la Corte.
In primo luogo, l’oggetto della tutela prevista nelle due leggi è diverso e non sovrapponibile. Nella disciplina della vendita fuori dai locali commerciali si riconosce un generale diritto al ripensamento al consumatore che sia indotto all’acquisto presso il proprio domicilio senza avere la possibilità di esaminare al momento della stipula l’esatto regolamento degli interessi, in considerazione delle modalità di tempo e di luogo della conclusione del contratto e delle tecniche persuasive degli operatori commerciali.
Le disposizioni sul credito al consumo impongono regole di trasparenza del contenuto negoziale a pena d’invalidità totale o parziale del contratto, oltre a prescrivere uno specifico regime di pubblicità e l’obbligo a pena di nullità della forma scritta. Nel primo caso, c’è l’esigenza di tutelare la verifica della corrispondenza tra ciò che è stato promesso e ciò che si è firmato. Nel secondo caso c’è la necessità di tutelare il diritto alla conoscenza preventiva del costo dell’operazione di finanziamento, con la specificazione delle singole voci che ne compongono l’ammontare e con la indicazione precisa del bene e del prezzo per il quale il finanziamento è richiesto.
In secondo luogo, deve osservarsi che l’art. 125 del D. Lgs. n. 385/1993 prevede che la facoltà di recesso anticipato possa essere esercitata solo dal consumatore. La disposizione in esame rafforza la posizione del consumatore nei contratti di credito al consumo dovunque stipulati, ma non incide sull’applicabilità dello specifico regime di protezione del consumatore risultante dal D. Lgs. n. 50/1992 per i contratti conclusi fuori dai locali commerciali, perché le due forme di tutela si integrano ove possibile (e cioè nei contratti stipulati presso il domicilio del consumatore) o coesistono non presentando profili d’incompatibilità.
L’attuale sistema normativo di tutela del consumatore prevede l’applicazione generale e residuale degli artt. 1469 bis e seguenti del codice civile, la tutela del diritto al ripensamento successivo per i contratti in cui l’elemento di specificità è definito dal luogo di conclusione del contratto in quanto incidente sull’affidamento del consumatore ed infine da una galassia settoriale di disposizioni in larga parte applicative di normative comunitarie di sempre maggiore estensione (si veda da ultimo proprio la disciplina del recesso nel contratto di multiproprietà adottata con il D. Lgs. n. 427/1998) di cui fa parte anche la disciplina del credito al consumo.
Peraltro, al punto 3d del contratto di credito al consumo, in atti, nel disciplinare il recesso la Finemiro espressamente riconosce l’assoggettamento del contratto al D. Lgs. n. 50 del 1992, limitando la facoltà di recedere del consumatore solo al caso in cui il contratto venga stipulato fuori dai locali commerciali.
In conclusione, il contratto di finanziamento dedotto in giudizio è assoggettato anche in ordine alla competenza territoriale alla disciplina normativa della legge sopracitata con conseguente individuazione del foro di Milano ex art. 13 D. Lgs. n.50 del 1992.
Va precisato a tale ultimo riguardo che la competenza territoriale inderogabile fissata nel foro del consumatore è limitata ai casi in cui l’oggetto della controversia sia effettivamente incentrato sulla efficacia del recesso e sulla fondatezza della conseguenziale domanda di risoluzione proposta dal consumatore.
Il decreto ingiuntivo deve pertanto essere ritenuto invalido in quanto proposto davanti ad un giudice territorialmente incompetente. L’accoglimento dell’eccezione ex art. 13 D. Lgs. n.50 del 1992 rende superfluo l’esame della medesima eccezione in relazione alla problematica delle clausole vessatorie.
le spese di lite della presente fase vanno compensate in considerazione della novità della controversia.
P.Q.M.
IL Tribunale in composizione monocratica dichiara l’invalidità del decreto ingiuntivo n.1407/99 per incompetenza del giudice adìto da identificarsi nel Tribunale di Milano.
Compensa le spese di lite.
Bologna, 20/4/2000
Il Giudice
Dott.ssa Maria Acierno