TRIBUNALE BARI, 31 agosto 2001 - RUFFINO Giudice. - Lavopa (avv. Sgobba) - Inditel s.p.a. (avv. Stella)
Consumatore (Contratti del) - Nozione - Contratti negoziati fuori dei locali commerciali - Scopo professionale - Beni con natura ambivalente o promiscua - Prevalenza - Sussistenza (D. Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, art. 2).
Consumatore (Contratti del) - Nozione - Contratti negoziati fuori dei locali commerciali - Clausole contrastanti con la legge - Nullità (D. Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, art. 10).
La nozione di consumatore nei contratti stipulati fuori dai locali commerciali va interpretata secondo parametri obiettivi;
rimanendo indifferenti le intenzioni del contraente persona fisica. Senza che abbiano rilievo le intenzioni circa la destinazione dell'acquisto eventualmente dichiarate. Pertanto, qualora il bene o il servizio oggetto del contratto abbia destinazione ambivalente o promiscua, si deve ritenere che una persona fisica agisca per uno scopo estraneo alla propria attività professionale ogni qualvolta il bene o il servizio oggetto del contratto sia idoneo, secondo un criterio di normalità ed avuto. riguardo al tipo di contratto e alle circostanze concrete dell'al/are, ti soddisfare meglio o più largamente, eSigenze diverse da quelle normalmente riconducibili all'esercizio della professione di chi ne compie l'acquisto.
Sono nulle ai sensi dell'art. 10 del D, Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, le clausole inserite in un contratto stipulato fuori dai locali commerciali, aventi ad oggetto la prefigurazione della destinazione del bene o del servizio all'attività professionale svolta dall'acquirente o la non applicabilità del predetto decreto.
Omissis. - Nel merito, il punto «chiave» della controversia sta nello stabilire se al contratto per cui è causa e, pili in particolare, al diritto di recedere da quel contratto, invocato dall'attore, possa applicarsi la disciplina speciale dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali di cui al D.lgs. 15.1.1992 n. 50 o quella di diritto comune.
Così inquadrato il thema decidendum, gli elementi di fatto utili alla decisione che si ricavano dalle risultanze di causa, sostanzialmente concentrate nelle allegazioni difensive incontestate e nelle produzioni documentali di parte, sono i seguenti:
(a) in data 28.11.1997, un operatore pubblicitario di una società torinese denominata Inditel ed autoqualificantesi come «azienda distributrice di programmi professionali su C.D. e di servizi telematici "ON UNE" », recatosi nei locali, in Bari, sede della società Lavopa Giovanni & C. s.a.s., titolare di un esercizio commerciale per la vendita al dettaglio di articoli da regalo, . bomboniere, casalinghi e oggetti preziosi, ove l'attore, socio accomandatario, svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro, sottopose a quest'ultimo l'acquisto di materiale informatico;
(b) l'attore sottoscrisse cosi un modello prestampato su carta intestata Inditel, riempito con i suoi dati personali, nel quale, da un lato, autorizzava la convenuta all'invio «con spedizione gratuita» di alcuni prodotti informatici (elencati ai punti da A ad H) e, dall' altro, dava il suo consenso ad un «contratto di abbonamento a n. 10 compact disk di aggiornamento interdisciplinare con contenuti di carattere tecnico, scientifico, economico, fiscale, medico, giuridico, informatico, commerciale, letterario di cui ,tura generale e accesso ai servizi telematici integrati per l'intero periodo dell'abbonamento», che dovevano essergli inviati in ragione di uno all' anno, a partire dall' anno successivo alla sottoscrizione del contratto;
(e) il corrispettivo della vendita era fissato in lire 380.000, contestualmente versate a mezzo di assegno bancario, ed in ulteriori lire 5.517.241, I.V.A. esclusa, da versare in unica soluzione alla ricezione del materiale, oltre le spese di spedizione annuale di ciascun compact disk, pari a lire 60.000, e le spese di installazione del materiale fornito, pari a lire 250.000, oltre i.v.a.;
(d) nel contratto si prevedeva che ad esso, in quanto «rivolto ad un pubblico di imprenditori commerciali e di liberi professionisti», non fosse applicabile la disciplina di cui al d.lgs. n. 50/1992 (clausola sub 3);
(e) infine, al di sopra della sottoscrizione dell'acquirente, poi ripetuta per approvazione espressa di varie clausole ai sensi degli artt. 1341-1342 c.c., vi era, in caratteri molto ridotti, la dichiarazione del sottoscrittore «di esercitare la professione di commerciante e che pertanto la sottoscrizione del presente contratto è finalizzata all' esercizio di detta mia attività professionale»;
(f) con lettera racc. a/ r del 29.11.1997, ricevuta il 2.12.1997, il Lavopa, invocando gli artt. 6, 8 e 10 del d.lgs. 50/1992, comunicava alla Inditel la propria volontà di esercitare il diritto di recesso dal contratto del 28.11.1997 e richiedeva la restituzione della somma di lire 380.000, versata a mezzo a/b.
Tali essendo i dati fattuali che devono ritenersi certi e comprovati nel presente giudizio, la possibilità di sussumere la vicenda di causa sotto la disciplina speciale dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali dipende esclusivamente dalla configurabilità in capo all'attore della qualità di «consumatore», stante l'obiettiva evidenza degli altri presupposti sostanziali necessari ad innescare l'applicazione del citato decreto legislativo n. 50/1992 e, in particolare:
- della qualità di «operatore commerciale» ex art. 2 rivestita dall' altra parte, in quanto persona giuridica addivenuta all'affare, a mezzo di una persona fisica agente per suo conto, nell'ambito della propria attività commerciale;
- dell'oggetto del contratto, certamente rientrante nell'ampia "formula di fornitura di beni» contemplata dall'art. 1;
- delle modalità di negoziazione, conformi all'ipotesi delineata dallo stesso art. 1, letto a), con specifico riferimento alla conclusione del contratto, effettivamente avvenuta «durante la visita dell'operatore commerciale sul posto di lavoro del consumatore o nei locali nei quali il consumatore si trovi ... per motivi di lavoro».
Passando dunque alla verifica dell'unico presupposto sostanziale realmente in contestazione, la qualità di «consumatore» del compratore, deve anzitutto rilevarsi che, secondo l'art. 2 d. lgs. cit., tale è <
Non ignora il giudicante il fervente dibattito, soprattutto dottrinale, che tuttora investe il tema - peraltro in continua espansione normativa, soprattutto sulla traccia «obbligata» segnata dal legislatore comunitario - della nozione di «consumatore», ormai immanente ad una tipologia a sé stante di contratti emersa «di prepotenza» dalla realtà economico-sociale ed accomunante, per la considerevole analogia se non per la sostanziale medesimezza del contenuto, una serie nutrita di discipline legislative, di genere e di specie (oltre al citato art. 2 d. lgs. n. 50/1992; l’art. 1469 bis del codice civile; l'art. 121 d. lgs. 385/1993, in tema di credito al consumo; l'art. 11. n. 281/1998, sui diritti dei consumatori e degli utenti; l'art. 1 d. lgs. 427/1998, in tema di contratti di acquisto di c.d. multiproprietà; l'art. 1 d. lgs. n. 185/1999, in tema di contratti a distanza); dibattito del quale, pur non potendosi riproporre in questa sede i passaggi o analizzare le pieghe teoriche, appare nondimeno opportuno utilizzare, negli ovvi limiti della rilevanza per il caso di specie, quegli esiti pili largamente accettati e, per cosi dire, giuridicamente pili rassicuranti sul piano interpretativo.
Superata la soglia soggettiva di accesso alla figura normativamente eletta, mediante la positiva verifica della veste di persona fisica assunta nell' affare (1'estensibilità della disciplina speciale a soggetti-non persone fisiche, pure ammessa in legislazioni di altri paèsi ma esclusa dal chiaro tenore letterale della norma nazionale, ha sinora prodotto soltanto un dubbio di costituzionalità, arenatosi però su una pronuncia di manifesta inammissibilità: rispettivamente, di Giud. pace L'Aquila 3.11.1997 e di Corte cost. 30.6.1999 n. 282), il nodo da sciogliere risiede essenzialmente nell'individuazione dell'esatta portata della formula «agire per scopi che possono considerarsi. estranei alla propria attività professionale», con cui il legislatore delimita il campo di azione negoziale entro il quale il contraente-persona fisica cessa di essere un quivis per venire in considerazione come «consumatore» e diventare cosi destinatario - come si dirà tra breve, anche oltre le sue intenzioni - della normativa protezionistica elaborata per tutelare, in una ben determinata situazione negoziale (la c.d. contrattazione «porta a porta»), i suoi interessi «meritevoli», selezionati come tali in ragione della costituzionale posizione di debolezza rispetto all'altro contraente, operatore commerciale di professione.
Premesso dunque che nella realtà giuridica il «consumatore» non preesiste all'affare, ma è ritenuto tale dall'ordinamento soltanto se, versando nella condizione soggettiva minima legittimante di persona fisica, compie un determinato tipo di atti in una determinata situazione ambientale (aspetto, quest'ultimo, rilevante nel quadro specifico di riferimento del d. lgs. n. 50/1992 e non anche in quello della sovraordinata disciplina codicistica generale dei «contratti del consumatore»), la verifica dell' estraneità o meno agli scopi professionali di chi «a sorpresa» si trovi a contrattare con un operatore commerciale costituisce oggetto di un giudizio che, ad onta della connotazione almeno tendenzialmente «interiorizzante» prima facie suggerita dal parametro legale dello «scopo», non pur non essere condotto in base a criteri obiettivi.
Ciò per una pluralità di ragioni esegetiche, in parte esogene ed in parte endogene alla norma da interpretare:
1) la direttiva comunitaria 20.12.1985 n. 85/577/CEE, di “cui il d.lgs. n. 50/1992 costituisce attuazione, parla di «uso», e non di scopo, estraneo all' attività professionale del contraente persona fisica, offrendo cosi all'interprete un elemento di valutazione che, in quanto riferito ad un fatto immediatamente percepibile nella realtà fenomenica, siccome emergente non solo e non tanto dal personale rapporto che l'utilizzatore instauri o dichiari di voler instaurare con il bene (o il servizio) acquistato, ma anche e soprattutto dalle caratteristiche proprie, strutturali e funzionali, di quel bene (o servizio), si presenta, se non-intrinsecamente oggettivo, almeno agevolmente oggettivabile; ne consegue che, nel doveroso rispetto del principio ormai ripetutamente affermato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, secondo"cui il giudice nazionale, nell'applicare il proprio diritto, deve interpretarlo quanto pili è possibile alla -luce della lettera e dello scopo della direttiva, a prescindere dal fatto che si tratti di norme ad essa precedenti o successive (fra le altre, sent. 14.7.1994, causa C-91/92, Faccini-Dori, 16.12.1993, causa C-334/92, Wagner Miret e 13 .11.1990, causa C-106/89, Marleasing), l'interprete dell'art. 2 lett. a) d.lgs. n. 50/1992 non può non tenere conto dell'impostazione in chiave oggettiva della definizione comunitaria di «consumatore»;
2) dal dettato dello stesso art. 2, lett. a) cito si ricava che gli scopi dell' atto rilevanti in funzione della configurabilità del contraente-consumatore non sono quelli da quest'ultimo soggettivamente perseguiti, ma quelli «che possono considerarsi» estranei alla sua attività professionale, ossia che appaiano tali in base ad un giudizio «terzo» ed obiettivo; in altre parole, l'espressione normativa appena evidenziata è, in ragione della sua chiara costruzione letterale in termini impersonali, sufficientemente significativa della necessità di condurre la verifica sulla natura non professionale dell' atto negoziale al di fuori della sfera soggettiva del consumatore;
3) non è dubitabile che l'eventuale piano soggettivo dell'indagine circa lo scopo, professionale o di consumo, effettivamente perseguito dall'interessato al bene (o al servizio), oltre a presentarsi estremamente ardua e delicata nel caso in cui l'intenzione della parte non sia stata adeguatamente esternata (per esempio, mediante specifiche dichiarazioni rese in fase di trattative o riportate nel documento scritto avente valore contrattuale, finirebbe per far dipendere da scelte personali del singolo contraente il soddisfa cimento delle peculiari finalità di interesse pubblico e generale, e perciò non disponibili dai privati, sottese alla normativa in commento; tale normativa, costituente solo una maglia della più estesa ed organica trama legislativa, nazionale e sovranazionale, sulla tutela del consumatore, della quale ovviamente condivide la filosofia ispiratrice e gli obiettivi, si colloca ed assume rilievo - come è stato efficacemente sottolineato - «in una prospettiva nella quale la conformazione del diritto dei contratti alla personalità economica dei soggetti, diviene strumento per la realizzazione, secondo criteri di effettività, dei principi di libertà sanciti nel trattato di Roma»; sicché, in definitiva, il rifiuto di letture individualizzanti e mutevoli della nozione di «consumatore» risponde anche alla necessità per l'interprete di rispettare la ratio legis dell'intera disciplina di riferimento, nella quale l'obiettivo generale, comune a tutta la normativa protezionistica in materia ed individuabile nel riequilibrio della posizione di inferiorità in cui normalmente si trova il consumatore in ambito negoziale, viene esaltato dalle peculiarità della diffusissima prassi della contrattazione a domicilio (e delle ipotesi assimilate, come le vendite televisive o attraverso strumenti informatici e telematici), caratterizzata dal fatto, ulteriormente penalizzante per il soggetto debole, che quest'ultimo, di fronte all'iniziativa delle trattative assunta dall'operatore commerciale professionale, è, di regola, impreparato e non ha spesso la possibilità di confrontare la qualità ed il prezzo che gli vengono proposti con altre offerte (tanto viene espressamente evidenziato dal quarto considerando del preambolo della dir. CEE n. 85/577, con l'inevitabile ricaduta sull'interpretazione teleologica della norma nazionale).
Stabilito che la sussistenza della qualità di «consumatore», secondo la definizione datane dall'art. 2, lett. a), d. lgs. 50/1992, deve essere accertata in base a valutazioni di carattere oggettivo dello scopo non professionale dell'atto (in tal senso è pure Pret. Bologna, 28.2.1995, soc. Cipritex c. soc. Iac), senza che abbiano rilievo le intenzioni del contraente-persona fisica eventualmente diverse, viene automaticamente superato l'ostacolo apparente costituito dalla dichiarazione, inserita nel testo dell’accordo contrattuale scritto, con cui la parte afferma di 'avere agito per finalità attinenti all' esercizio della sua attività professionale.
Dichiarazioni di tal fatta, a prescindere dalla più che evidente non spontaneità (testimoniata, nel caso in esame, dall'inserimento con caratteri minuscoli nel modello di regolamento contrattuale preconfezionato da parte dell' operatore commerciale), mirano ad inibire quel riscontro «terzo» ed oggettivo delle condizioni per attribuire la qualifica di «consumatore» ad uno dei contraenti, che, viceversa, la lettera e la ratio della legge impongono all'interprete, giusta le considerazioni sopra svolte.
Ne discende che quelle dichiarazioni, in quanto potenzialmente contrastanti con le emergenze obiettive circa la ricorrenza di uno scopo non professionale, devono considerarsi non semplicemente prive di effetti ovvero irrilevanti ai fini dell' accertamento rimesso al giudice in ordine alla qualità soggettiva dei contraenti (cosi secondo Pret. Milano 30.1.1997, Dal Prà c. soc. Imw; 12.6.1996, Manzoni c. soc. Imw; 17.1.1995, Bamberghi c. soc. Iac International co.), ma radicalmente invalide, atteso che l'art. 10 d.lgs. n. 50/1992 sanziona di nullità ogni pattuizione in contrasto con le disposizioni dallo stesso decreto introdotte.
Non diversamente deve poi ritenersi per quanto riguarda le clausole espresse di esclusione dell' applicabilità della disciplina in materia di contratti conclusi fuori dai locali commerciali (in perfetta «coerenza» con il complessivo disegno elusivo delle finalità legislative di protezione del consumatore, nella specie perseguito dalla società convenuta, le condizioni del contratto per cui è causa contengono pure una clausola di tal genere), le quali si sostanziano, fra l'altro, in un'implicita rinuncia da parte del consumatore al diritto di recesso, che l'art. 10 cit. definisce invece «irrinunciabile».
Resta a questo punto da stabilire su quali elementi concreti di valutazione debba costruirsi la verifica in senso obiettivo dello scopo non professionale del consumatore.
Tenuto conto della costruzione in negativo della definizione legislativa e dell'inevitabile effetto ampliativo della portata applicativa che ne consegue, oggettivare un giudizio sullo scopo non professionale dell' acquisizione di un bene o di un servizio significa, a parere del giudicante, decidere se, secondo un criterio di normalità, quel bene o quel servizio si presti - principalmente alla luce delle sue caratteristiche, ma senza escludere la potenziale rilevanza del tipo di contratto concluso e di altre eventuali circostanze concrete dell' affare - a soddisfare utilità o interessi diversi da quelli normalmente riconducibili all'attività professionale di chi ne compie l'acquisto.
Se nessuna difficoltà pongono gli acquisti di beni o di servizi tipicamente di consumo, in quanto necessariamente o tendenzialmente destinati all'uso personale o domestico (si pensi all'articolo sportivo o all'abbonamento ad una rete televisiva), problema tic a ed incerta può sembrare l'obiettiva individuazione dell' estraneità all' esercizio della professione in relazione a beni o a servizi di uso ambivalente o promiscuo (cioè professionale e non), la cui pili efficace esemplificazione può trarsi proprio dalla fattispecie oggetto del presente giudizio: l'acquisto di materiale informatico, come computers e prodotti software a, largo spettro applicativo.
Va esclusa la percorribilità di soluzioni radicali, pure suggestivamente prospettate in dottrina, tendenti a far rientrare nella sfera negoziale protetta del consumatore anche gli atti volti al cosiddetto consumo del professionista, ossia riguardanti l'acquisto di beni o di servizi cosiddetti strumentali (quali, per l'appunto, i computers ed una gran quantità dei prodotti dell'informatica), con i quali il professionista non realizza in via diretta ed immediata i suoi obiettivi professionali, ma dei quali egli si serve per realizzarli. Non si riuscirebbe invero, per questa via, a giustificare adeguatamente l'estranèità all' «attività professionale», che, in difetto di indicazioni normative restrittive, non può non intendersi in senso generale ed omnicomprensivo, si da includere anche gli aspetti lato sensu organizzati vi, cui devono ascriversi gli acquisti dei beni strumentali: si tratta perciò di atti in relazione ai quali, proprio perché comunque inerenti ad una determinata professione ossia ad un campo dell'agire umano, in qualche misura, sempre specialistico, non è ingiusto presumere (o pretendere), da parte di chi vi dedica il proprio lavoro, un certo grado di profondità delle conoscenze commerciali e quindi di preparazione precostituita all'affare, ancorché «a sorpresa».
Per mantenere il giudizio sul piano necessario dell' oggettività e dell' adeguatezza al caso concreto, tenendo tuttavia presente il dettato normativo che lo conforma, pare allora ragionevole dare spazio ad un criterio di prevalenza dell' oggettiva destinazione del bene o del servizio ambivalente o promiscuo, nel senso che l'estraneità all' attività professionale dovrà ritenersi ogni qualvolta sia ravvisabile l'idoneità del bene o del servizio 'stesso, secondo le sue caratteristiche obiettive o altre circostanze concrete dell'affare, a soddisfare meglio o più largamente (su piani dunque qualitativi o quantitativi) esigenze diverse da quelle riconducibili all' esercizio della professione di chi lo acquista.
Nel caso che ci occupa, il prodotto venduto dalla Inditel al Lavopa, pur capace di offrire alcune utilità aventi una precipua possibilità di sfruttamento nell' ambito dell' attività di lavoro svolta dal convenuto, di professione commerciante (quali l'abbonamento ad Internet e la pubblicazione di una pagina web, da comporsi però a cura dell'acquirente), certamente non esauriva in quell'ambito le sue obiettive potenzialità di impiego ed, anzi, appariva prevalentemente destinato a soddisfare interessi «diversi», presumibilmente di carattere personale o familiare, laddove si pensi, da un lato, che il cosiddetto «aggiornamento interdisciplinare» su cd-rom, venduto in,combinazione con il computer, si presentava con contenuti estesi pressoché all'intero scibile umano e, dall' altro, che l' hardware fornito si connotava per un potenza operativa tale da eccedere le verosimili necessità professionali dell' attore, che, come è stato documentalmente comprovato in giudizio, era già dotato, al tempo della conclusione del contratto, di un sia pure modésto sistema informatizzato di gestione delle vendite e del magazzino, da considerarsi tuttavia adeguato alle limitate esigenze organizzative di un'attività commerciale, sostanzialmente di ambito «rionale», non particolarmente sviluppata (nel 1997, all' esercizio intestato alla s.a.s. Lavopa Giovanni & C. non risultava addetto personale dipendente, secondo la «visura camerale» prodotta), né complessa (vendita al dettaglio di casalinghi ed articoli da regalo). Le osservazioni che precedono confortano il giudizio riassuntivo di estraneità dell'affare all'attività professionale dell'attore, il quale, dunque, concluse il contratto nelle vesti di «consumatore».
Tanto gli conferiva, in forza dell'espressa previsione legislativa di cui all'art. 4 d. 19s. n. 50/1992, il diritto di recesso, che egli, in effetti, correttamente esercitò nelle forme ed entro i termini fissati dall' art. 6, mediante la comunicazione scritta a mezzo racc. a/r inviata il 29.11.1997 (giorno immediatamente successivo alla sottoscrizione del contratto) e ricevuta dalla Inditel il 2.12.1997.
Perfezionatosi il recesso e sciolto ogni vincolo contrattuale fra le parti, ai sensi dell'art. 8 d.lgs. cito sorse in capo al consumatore receduto il diritto alla restituzione della somma versata in acconto (lire 380.000), che l'altra parte avrebbe dovuto soddisfare, essendone stata espressamente richiesta, entro trenta giorni dalla comunicazione di cui all'art. 6. In conclusione è fondata tanto la pretesa di accertamento del legittimo esercizio del diritto di recesso, quanto quella di restituzione dell'acconto versato alla venditrice.