Corte di Appello di Venezia, 23 ottobre 1997
Conferma Trib. Venezia, 8.11.1996
Testo della sentenza pubblicato in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 1999, I, pagg. 494-502
FIDEIUSSIONE - CONTRATTO CON OBBLIGAZIONI PER IL SOLO PROPONENTE - CONFIGURABILITÀ (cod. civ., art. 1333) (a)
CONTRATTO IN GENERE - OBBLIGO DI - ESECUZIONE SECONDO BUONA FEDE - BILATERALITÀ - NATURA DI CONTRATTO UNILATERALE - COMPATIBILITÀ (cod. civ. art. 1375) (b)
CONTRATTO IN GENERE - CONTRATTO CON OBBLIGAZIONI PER IL SOLO PROPONENTE - OBBLIGAZIONI O CLAUSOLE VESSATORIE A CARICO DEL CREDITO RE - AMMISSIBILITÀ - ESCLUSIONE (cod. civ., artt. 1333,1341) (c)
CONTRATTO IN GENERE - CLAUSOLE VESSATORIE - REQUISITO DELLA SPECIFICA APPROVAZIONE PER ISCRITTO - ApPROVAZIONE DELLA PARTE FAVORITA - NECESSITÀ ESCLUSIONE (cod. civ., art. 1341) (d)
CONTRATTO IN GENERE - CLAUSOLE ABUSIVE - CONTRATTI ANTECEDENTI LA NUOVA DISCIPLINA - EFFETTI GIÀ PRODOTTI INEFFICACIA SOPRAVVENUTA - ESCLUSIONE (cod. civ., am. 1469 bis ss.)
(a) La fideiussione dalla quale derivino obbligazioni per il solo fideiussore rientra nella categoria descritta dall'art. 1333 cod. civ.: il rapporto fideiussorio si costituisce senza necessità di una manifestazione di consenso da parte del creditore garantito.
(b) L'obbligo di eseguire il contratto secondo buona fede non costituisce una obbligazione specifica a carico dell'una o l'altra delle parti di singoli contratti onde un contratto da cui derivino obbligazioni per una sola parte tale rimane anche se si riconosce, com'è ovvio, che ambedue le parti dovranno eseguire il contratto secondo buona fede.
(c) Qualora un contratto contenga obbligazioni a carico del solo proponente, esso non può contenere alcuna obbligazione o condizione vessatoria per il creditore.
(d) La lettera stessa dell'art. 1341, comma 2°, cod. civ. e comunque la sua ratio non pongono dubbi sul fatto che la specifica sottoscrizione necessaria non è quella della parte a favore della quale sono predisposte le condizioni, ma solo quella della parte opposta.
(e) Al fine di stabilire se la nuova disciplina delle clausole abusive possa avere applicazione ai contratti precedenti alla nuova normativa è rilevante la constatazione che la direttiva europea ha espressamente stabilito che le nuove disposizioni si applicano ai contratti stipulati dopo il 31.12.1994, con l'evidente scopo di evitare gravi conseguenze negative nei confronti dei professionisti che avessero stipulato contratti validi ed efficaci all'epoca della costituzione del rapporto, confidando di agire nel rispetto del fondamentale precetto «pacta sunt servanda».
Pertanto, anche ammettendo la sopravvenuta inefficacia di clausole abusive contenute in contratti precedenti alla nuova normativa, essa deve comunque escludersi quando la clausola in questione abbia già conseguito i suoi effetti in un momento dato, precedente alla nuova normativa.
Il fatto. Con citazione 26 e 27 ottobre 1995 l'ing. Alessandro Barnabò faceva opposizione a decreto d'ingiunzione per L. 1.431.934.759 emesso nei suoi confronti dal Presidente del Tribunale di Venezia su richiesta del Banco di Napoli: nel relativo ricorso il Banco assumeva essere creditore di tale somma in quanto Barnabò aveva a suo tempo garantito (con fideiussione e successiva ipoteca) i debiti che verso il Banco aveva la S.p.A. Metalplastica Alluminio, ammessa il2 dicembre 1993 a concordato preventivo.
L'opposizione era notificata sia al Banco che alla Metalplastica.
Nell' atto di opposizione e nelle successive memorie la difesa Barnabò proponeva numerose questioni sia processuali che sostanziali: tutte queste venivano esaminate e ritenute infondate dal Tribunale di Venezia che con la sentenza 30.9-8.9.1996, oggetto dell'attuale appello, rigettava 1'opposizione al decreto ingiuntivo compensando tra le parti le spese di causa.
Barnabò proponeva appello riproponendo sostanzialmente tutte le - ragioni che aveva già portato a sostegno della domanda di primo grado. Si costituiva la filiale di Venezia del Banco in proprio ed anche quale mandataria e procuratrice della Società per la Gestione di attività SGC, cessionaria del credito in questione, giusta contratto di cessione di crediti ed altre attività, perfezionata il 31 dicembre 1996 (documenti 2 e 3 di parte appellata).
Alla prima udienza la Corte dichiarava la contumacia della Metalplastica, non comparsa nonostante la regolare notificazione della citazione; parte appellante non insisteva nella richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto di ingiunzione; le parti prendevano le loro conclusioni definitive richiamandosi a quelle rispettivamente di citazione e di comparsa di ,risposta; la Corte disponeva scambio di difese scritte nei termini previsti dall'art. 190 c.p.c.
Su richiesta della difesa Barnabò il Presidente fissava per la discussione della causa l'udienza del 23 ottobre 1997. Avvenuta l'esposizione orale dei motivi di appello e di quelli di controparte, la causa veniva assegnata a decisione.
I motivi. Si esaminano di seguito le diverse questioni già sollevate in primo grado e riproposte in questa sede, dando atto per ciascuna della motivazione del Tribunale e delle ragioni di doglianza.
A) La procura alle liti.
Barnabò ha affermato in primo grado e riafferma ora la nullità della procura alle liti rilasciata dal Banco di Napoli dall'avvocato Colucci.
Si rileva in fatto che alla procura seguono due firme a prima vista illeggibili e che nel mandato non si precisano i nomi dei firmatari né quali poteri abbiano in ordine alla procura. TI Banco ha sostenuto che le due firme erano dei due vicedirettori della filiale di Venezia, Vincenzo Polestra e Salvatore Monaco, le stesse persone che hanno firmato la certificazione del credito vantato dal Banco, prodotta in occasione del ricorso per decreto di ingiunzione; ha inoltre prodotto documentazione relativa ai poteri previsti dallo Statuto del Banco a favore delle direzioni di filiale ed al fatto che i signori Polestra e Monaco sono coloro che hanno il potere di conferire procura alle liti per le vertenze che riguardano gli affari di competenza della filiale di Venezia.
Il Tribunale ha respinto la domanda Barnabò asserendo che Palestra e Monaco erano i firmatari della procura, che costoro avevano poteri institori e quindi rappresentanza processuale senza necessità di conferimento specifico, di volta in volta, di tale potere.
Ritiene questa Corte:
a) È esatto che per rendere possibile l'indagine sulla esistenza del potere di conferire mandato occorre sapere chi è la persona che sottoscrive quel mandato: ed è pure vero che quelle firme sembrano illeggibili. Ma, come ha osservato il primo giudice, nei saldaconti allegati al ricorso per ingiunzione ex art. 635 cod. proc. civ. e 1021. 7.4.1938 n. 638 risultano le stesse sottoscrizioni, lì precedute dalla indicazione dei nomi dei firmatari, appunto Palestra e Monaco, identificati quali vice direttori della agenzia di Venezia. Dal confronto delle due firme appare ora sicuro che davvero il mandato fu conferito da Palestra e Monaco, sicché non sussiste la ragione di nullità consistente nella impossibilità di attribuire la sottoscrizione a chicchessia: le firme possono legittimamente essere attribuite a quei due soggetti (al di là della questione, che si affronta successivamente, di stabilire se quei due soggetti, ora identificati, erano davvero legittimati a rilasciare procure).
b) Dalla dichiarazione 24.4.96 del Banco di Napoli (doc. 14 a del Banco) i due firmatari risultano essere i due vicedirettori dell' Agenzia di Venezia cui spetta la legale rappresentanza del Banco ed in specie il potere di rilasciare mandati ad litem. Di per sé questa dichiarazione, proveniente dalla Direzione generale del Banco di Napoli, è da ritenere sufficiente dimostrazione della effettiva situazione. Ma a conferma ulteriore, il potere spettante a Polestra e Monaco risulta dal testo degli art. 17 e 26 dello Statuto del Banco di Napoli: l'art. 26 attribuisce direttamente alle direzioni di filiale la rappresentanza della filiale davanti a qualsiasi magistratura «con potestà di nominare difensori» (doc. 14 del Banco). I direttori di filiale (nella specie i due vicedirettori), dunque, hanno statutariamente tale potere, che d'altronde spetta in linea generale agli institori ex art. 2204 cod. civ.: (si rileva qui che non v'è bisogno di specifica procura quando l'attribuzione del potere deriva da norma statutaria).
Pertanto deve ritenersi che la procura di difensori fu correttamente conferita dai signori Polestra e Monaco, la cui sottoscrizione risulta loro ascrivibile nel confronto con l'altra cui si è fatto cenno, e che costoro ne avevano il potere a norma statutaria del Banco di Napoli e comunque a norma dell'art. 2204 cod. civ.
B) Invalidità e irrilevanza dell'atto costitutivo dell'ipoteca.
Sosteneva e sostiene la difesa Barnabò che quell'atto costitutivo sarebbe invalido per errore di diritto ex art. 1429 cod. civ. in quanto egli credeva di essere debitore personale del Banco sul falso presupposto della validità ed efficacia della fideiussione prestata. Affermò il Tribunale che l'errore di diritto eventualmente poteva essersi solo se davvero fosse stata invalida od inefficace la fideiussione: poiché il Tribunale e come si vedrà in seguito anche questa Corte ritengono valida ed efficace la fideiussione in questione, non sussiste sotto questo aspetto la pretesa invalidità dell' atto di costituzione di ipoteca.
Sosteneva e sostiene la difesa Barnabò che con quell'atto egli non riconobbe la validità della fideiussione o comunque un proprio debito nei confronti delle Banche ed in particolare del Banco di Napoli: tutto al più riconobbe l'esistenza di un debito della Metalplastica, con riconoscimento peraltro inefficace per non essere Barnabò illegale rappresentante della Metalplastica. Ritiene la Corte che in effetti in quell'atto Barnabò, dopo avere indicato separatamente i singoli crediti di alcune banche nei confronti della Metalplastica ed in particolare il credito di L. 1.358.870.000 del Banco di Napoli, riconobbe essere detti crediti scaduti, certi, liquidi ed esigibili: solo questo è il riconoscimento che egli fa 'in qualità di costituente l'ipoteca su beni propri, quindi come dotto Barnabò, non come legale rappresentante della Metalplastica, riconoscimento che ripete alla penultima pagina dell' atto.
Ciò non toglie che l'atto sia efficace come costituzione di una garanzia reale d'un debito altrui (del quale era garante personalmente come fideiussore) e che, da un punto di vista di fatto, quello stesso atto possa essere utilizzato anche come prova della precisa conoscenza di Barnabò, in allora, della esistenza di quella esposizione debitoria della Metalplastica.
C) Nullità della fideiussione per mancanza della firma da parte del Banco di Napoli; in specie della sottoscrizione specifica relativa alle clausole vessatorie.
Sosteneva e sostiene la difesa Barnabò la nullità della fideiussione per mancanza della sottoscrizione del Banco, sottoscrizione da quella difesa ritenuta necessaria almeno in relazione alle clausole vessatorie.
Su questo punto è necessario un discorso articolato, più articolato di quello, pur esatto nella sua stringatezza, fatto dal primo giudice.
1) Va premesso che questa Corte riafferma il principio per cui la fideiussione dalla quale derivino obbligazioni per il solo fideiussore rientra nella categoria prevista dall' art. 1333 cod. civ.: cioè, quando un soggetto propone di prestare la fideiussione con obbligazioni a carico del solo fideiussore e la proposta giunge a conoscenza del credito re garantito, il rapporto fideiussorio si costituisce senza necessità di una manifestazione di consenso da parte del creditore garantito. Si precisa qui, in confutazione della tesi esposta dalla difesa. dell' appellante, che dalla fideiussione prestata da Barnabò non derivava alcuna obbligazione a carico del destinatario, tale non potendosi considerare quella prevista dall'art. 1375 cod. civ. L'obbligo di eseguire il contratto secondo buona fede, contenuto nelle disposizioni generali del capo V sugli effetti del contratto non costituisce una obbligazione specifica a carico dell'una o l'altra delle parti di singoli contratti. È una regola generale che riguarda le modalità di esecuzione del contratto: dunque il modo in cui ciascuno, debitore e creditore di prestazioni corrispettive deve comportarsi nell'esigere o prestare le proprie prestazioni; quindi anche il modo in cui chi è soltanto creditore di una prestazione deve comportarsi nell' esigere tale prestazione. Si tratta in sostanza di una applicazione specifica nella norma generale contenuta nell' art. 1175 per la quale il debitore e il credito re devono comportarsi secondo le regole della correttezza.
Né l'art. 1175 né l'art. 1375 sono norme irrilevanti, esse anzi stanno alla base delle regole di condotta che debbono essere osservate da debitori e creditori ed in specie dalle parti di un contratto; ma non costituiscono obbligazioni specifiche inerenti come tali ai singoli contratti onde un contratto da cui derivino obbligazioni per una sola parte tale rimane anche se si riconosce, com'è ovvio, che ambedue le parti dovranno eseguire il contratto secondo buona fede.
2) Si è detto che nella fattispecie ex art. 1333 cod. civ. il contratto si conclude in mancanza di un rifiuto. Dunque il destinatario della proposta non ha da formulare alcuna accettazione, meno che mai per iscritto. Per quanto riguarda il caso in esame il Banco non doveva sottoscrivere alcunché, nemmeno le clausole vessatorie, per i seguenti motivi: a) poiché il contratto proposto conteneva obbligazioni a carico solo del fideiussore, quel contratto per definizione non poteva contenere, come infatti non conteneva, alcuna obbligazione o condizione vessatoria per il Banco; b) la lettera stessa dell' art. 1341, c. 2, cod. civ. e comunque la sua ratio non pongono dubbi sul fatto che la specifica sottoscrizione necessaria non è quella della parte a favore della quale sono predisposte le condizioni, ma solo quella della parte opposta. È esatto che la sottoscrizione sia necessaria anche quando le clausole sono predisposte dal contraente più debole, ma questo non significa che debbano essere sottoscritte anche dal contraente più forte, quello cioè che da quelle clausole viene a trovarsi favorito, cioè in condizione di supremazia.
Su altro punto pure contenuto in questo terzo motivo di appello, va infine detto non essere esatta l'affermazione dell' appellante secondo la quale nella sentenza di primo grado si sosterrebbe essersi concluso quel contratto solo quando il Banco produsse il contratto in occasione del ricorso per ingiunzione cioè nel 1995. La sentenza afferma testualmente che «il Banco, agendo in giudizio, ha reiteratamente manifestato la volontà di avvalersi della fideiussione che in ogni caso si è conclusa e perfezionata col mancato rifiuto della stessa». Il che è esatto: il contratto si concluse trascorso quel ragionevole tempo richiesto dalla natura dell' affare senza che il Banco comunicasse il suo rifiuto: e qui non interessa stabilire quando sia scaduto quel termine finale (un mese, tre mesi dopo?), certo essendo che tale scadenza sopraggiunse ben prima che tra le parti sorgessero contrasti, e ben prima che si giungesse al decreto ingiuntivo: quelle parti, infatti, mai misero in dubbio che la fideiussione si fosse conclusa.
D) Se il fideiussore sia stato liberato per avere il eredito re, senza speciale autorizzazione del fideiussore, fatto credito al debitore garantito pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano diventate tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito.
Il contratto fideiussione contiene la dispensa del Banco di chiedere la speciale autorizzazione ex art. 1956 cod. civ., nella clausola F specificatamente approvata per iscritto.
Tale clausola era valida ed efficace in quanta stipulata prima della data. di entrata in vigore della legge 194/92: è pacifico, inoltre, che prima di quella data sana sarti i debiti garantiti dalla fideiussione (sul carattere innovativa e non interpretativo dell’art. 10 l. 17 febbraio 1992 n. 154, cfr. tra 1e tante Cass. 14.8.97 n. 7603, 28.7.1997n. 7052, 23.3.1996 n. 2577).
Rimane da stabilire se: il Banco abbia a o no rispettato il dovere di buona fede richiesto comunque al creditore garantita anche in presenza di una clausola di dispensa dall’osservanza dell’art. 1956 cod. civ.
La difesa Barnabò sosteneva e sostiene ora che quel dovere non fu rispettato.
Il giudice di primo grado fu di opinione contraria.
Questa Corte condivide quella opinione, per i seguenti motivi: a) Barnabò aggiunse, in calce alla fideiussione, la limitazione di essa a 1.500.000.000: dunque, quando assunse la garanzia, prevedeva che i debiti della garantita avrebbero potuto raggiungere quella somma; b) dall’epoca della costituzione della società, Alvise Barnabò, stretto congiunto di Alessandra è consigliere delegato; almeno dal marzo 1992 Alessandro è consigliere; il 10.9.92, quando già Alessandro è vice-Presidente, l'assemblea coopta come consigliere la signora Francesca Barnabò (evidentemente altra stretta congiunta di Alessandro, e conferma la delega, conferita nell'ultimo Consiglio di amministrazione, al vice Presidente ing. Alessandro Barnabò can i poteri di ordinaria ed amministrazione. È vero che i debiti più pesanti, quelli in marchi si costituiscono ad aprile 91 e gennaio 1992, quando Barnabò non è ancora consigliere, ma è incredibile che egli, che è socio di una società i cui soci erano suoi stretti congiunti e uno di essi consigliere delegato, che diventa consigliere nel marzo 1992, vicePresidente prima del settembre 1992 e, consigliere delegato il 10 settembre 1992, ignorasse che la società, almeno in parte sua e dei suoi familiari, avesse decisa di ricorrere a quei rilevanti finanziamenti in marchi.
D'altronde la documentazione del Banca contiene abbondante corrispondenza che canferma la conoscenza sicura da parte Barnabò della situazione debitoria della Metalplastica, sia pure in tempi successivi, né è da dimenticare che egli costituì ipoteca sui suoi beni immobili nel febbraio 1993, riconoscendo, come si è visto, l'entità dei debiti della società, senza mai in nessun modo contestare al Banco di essere venuto mena al suo dovere di buona fede.
Si può dunque ritenere can certezza che Barnabò fu sempre al corrente - a comunque fu sempre in condizioni di mettersi al corrente della situazione debitoria della Metalplastica della quale egli si era costituita fideiussore.
E) Questione della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità.
La difesa Bamabò aveva ed ha chiesta in questa sede che si preannunciasse la risoluzione per eccessiva onerosità «di tutti i finanziamenti in valuta azionati dal Banco di Napoli».
Il giudice di primo grado ha respinto la domanda. Premesso che la risoluzione può essere chiesta sola quando la sopravvenuta onerosità non rientri nell'alea normale del contatto e che nella specie il contratto venne effettuato in marchi per legare il valore del finanziamento a tale valuta ritenuta più affidabile, il Tribunale ha affermato che sono state le stesse parti a conferire al contratto un contenuto aleatoria suo proprio inserendo un elemento di incertezza nel rischio cui i contraenti si esponevano, fissando nel valore del marco tedesco l’ammontare del finanziamento.
L'appellante si duole del fatto che il Tribunale abbia qualificata di aleatorio il contratto (si tratterebbe di un argomento non sollevato da controparte) e ripete che non si trattò, nel casa, di una normale oscillazione del cambio, ma di un vero tracollo della lira quale avvenne nel settembre 1992: da un cambia a 750 lire circa nell'aprile del '92, a quella a 1.042 nel 1995 (aggi vale 1.000), evento straordinario ed imprevedibile.
Rileva questa Corte che all’impugnazione del contratto di finanziamento non è legittimato Barnabò che a quel contratto non partecipò, né in questa sede è ammissibile, come profilato dalla difesa appellante, una sua azione in via surrogatoria (surrogandosi alla Metalplastica): perché tratterebbesi di domanda nuova.
Comunque ritiene questa collegio che, come esattamente ritenuto dal giudice di primo grado, stia
F) Pretesa illegittimità costituzionale dell'art, 184, 1 c. L. F.
La difesa di Barnabò,ha sollevato eccezione, di incostituzionalità dell’ art, 184.1.f. (in relazione agli, art. .1941, 1942, 1950 cod. civ., 3, 24 e 42 Costituzione) nella parte in cui “pur dichiarando obbligatorio per tutti i creditori (quindi anche quelli in, rivalsa, quale l'ing. Barnabò) il concordato “fa salvo” il diritto del creditore principale di agire verso il fideiussore senza tener conto della falcidia concordataria”.
Il giudice di primo grado ha ritenuto manifestamente infondata la questione in quanto la Corte avrebbe già respinto quella eccezione relativamente all'art. 1941, stante la specialità della norma impugnata, aggiungendo che non vi è contrasto con l'art. 1949 cod. civ. «ed è irrilevante il disposto di cui all' art. 1950 cod. civ. perché l'oggetto della causa non riguarda il rapporto col debitore principale».
In realtà non v'è ancora stata alcuna pronuncia al riguardo da parte della Corte Costituzionale; v'è sì una sentenza 21.4.1994 n. 3816 della Corte di Cassazione, la quale però fa riferimento solo alla prospettata disuguaglianza di trattamento tra società a responsabilità illimitata e società a responsabilità limitata.
Ritiene questa Corte che:
1) In questo giudizio non è in questione l'applicazione degli art. 1949 e 1950 cod. civ.: non si tratta qui di decidere se e entro che limiti il fideiussore che ha pagato il debito garantito possa rivalersi od avere regresso contro il debitore garantito.
2) È invece rilevante in questa sede il rapporto tra l'art. 1941 cod. civ. e l'art. 184 legge fallimentare: infatti, se non dovesse applicarsi questa norma, perché in ipotesi non conforme alla Costituzione, il fideiussore Barnabò non potrebbe in questa sede essere condannato, a pagare una somma maggiore di quella che deve pagare la Metalplastica in sede di concordato preventivo.
3) Ma l'ipotizzata contrarietà dell' art. 184 l.f. alla norma costituzionale, in specie all' art. 3 Costituzione, non sussiste, sì che appare manifestamente infondata l'eccezione Barnabò. Infatti l'art. 184 e l'art. 135 per il concordato fallimentare stabiliscono la regola della obbligatorietà (dunque della necessaria falcidia da concordato per i creditori chirografari) del concordato omologato in funzione dell'interesse collettivo ad evitare il fallimento di imprese pur in stato di insolvenza quando, a determinate condizioni, la maggioranza dei credi tori ex art. 177 e 178 ritiene sia più opportuno consentire ad una riduzione, definitiva, del proprio credito, pur di evitare appunto il fallimento. È ragionevole, in nome della par condicio, che una volta formatasi quella maggioranza e sussistendo le altre condizioni ed in specie l' omologazione, che anche i creditori in disaccordo si debbano contentare della quota concordataria. Che questa regola non debba riguardare la diversa situazione che intercorre tra creditore e coobbligati e fideiussori è nuovamente una ragionevole e logica conseguenza proprio della esistenza di situazioni debitorie diverse sia come soggetti che come «causa» dell' obbligazione. È effetto naturale della esistenza di una garanzia personale il fatto che il garante sia tenuto a pagare l'intero debito (o la residua parte di esso) se il debitore principale non è in grado di pagare, sia esso imprenditore o no. Il fideiussore si trova esposto proprio al rischio che assume prestando la garanzia personale: dovrà pagare al credito re tutto ciò che non paga il debitore garantito qualunque sia il motivo per cui questo ultimo non paga o non paga tutto, ad esempio proprio perché è ricorso al concordato preventivo o falli1:)1entare, in quanto appunto è. personalmente obbligato quale garante.
D'altronde, nel caso di concordato, tutti i creditori specialmente garantiti sono immuni da falcidia.
Infatti, non si può giungere al concordato se non vi è la sicurezza di potere pagare integralmente i creditori non chirografari (privilegiati, pignoratizi ed ipotecari); è dunque logico che in analogo modo siano protetti i portatori di garanzie personali) quali appunto possono chiedere al fideiussore l'intera somma dovuta.
Non sussiste dunque la prospettata contraddittorietà tra art. 184 1.£. ed art. 3 Costituzione: si tratta di situazioni diverse cui ragionevolmente si applica disciplina diversa. Nemmeno immaginabile appare poi una contrarietà con l'art. 24 Costituzione: il fideiussore non incontra limiti nelle sue azioni a difesa dei suoi diritti; semplicemente deve adempiere al suo obbligo di garanzia; né con l'art. 42 Costituzione in quanto 1'art: 184 Lf. non espropria affatto il fideiussore che paga perché si era assunto 1'obbligo di pagare al posto del debitore principale.
G) Della prospettata applicabilità della disciplina introdotta dalla legge 6.2.1996 n. 52 (art. 1469 bis cod. civ.).
G 1) Anche se il motivo non appare sviluppato nell'atto di appello, nelle conclusioni di questo è indicata la domanda di eventuale remissione alla Corte di Giustizia degli atti per ottenere l'interpretazione pregiudiziale delle norme della direttiva 93/13/CEE, chiesta in primo grado.
Sul punto; questa Corte non ha che condividere la decisione negativa (e le relative motivazioni)del giudice di primo grado. È un fatto che ormai la direttiva CEE è stata recepita nell’ordinamento interno con la legge 52/96: dunque è quest'ultima che deve essere esaminata in questa sede. D'altronde la norma o contenuta nella direttiva è chiarissima: anche se si volesse considerare la direttiva quale self-executing essa riguarderebbe solo i rapporti costituitisi dopo il dicembre 1994. Comunque sarebbe impensabile che la Corte di giustizia potesse emettere una decisione che fissi un termine di applicazione della nuova legge di uno stato membro. Del tutto inutile, quindi, è rimettere gli atti alla Corte di. giustizia, per interpretare
norme di per sé chiare e per ottenere una risposta (quale vorrebbe 1'appellante) che la Corte di Giustizia non potrebbe dare.
G2) Si tratta allora di stabilire se la legge 52/96 possa o no avere applicazione al caso di specie per il quale è pacifico che prima dell'entrata in vigore di quella legge è stato concluso il contratto di fideiussione, sono sorti i debiti del garantito per i quali qui si discute, il debitore principale è stato ammesso al concordato preventivo, si è svolta la procedura volta ad ottenere il decreto d'ingiunzione ed infine era iniziata la causa di merito a seguito della opposizione a quel decreto.
Va premesso che, come osservato dal giudice di primo grado, l'art. 1469 bis cod. civ. potrebbe soggettivamente essere applicato alla controversia in esame in quanto il Banco ha certo agito quale professionista e Barnabò quale consumatore e che alcune delle clausole contenute nel contratto di fideiussione del quale si tratta potrebbero in tesi essere ritenuti «inefficaci». La questione deve quindi essere preliminarmente affrontata da questa Corte: infatti la soluzione della non applicabilità degli art!. 1469 bis segg., quale accolta dal Tribunale, esclude la necessità di affrontare i successivi motivi dell’appello che si fondano sul diverso postulato della applicabilità.
Il Tribunale ha in sostanza rigettato la tesi della difesa Barnabò statuendo che «il rapporto comportante oneri per Barnabò si era esaurito ben prima dell' entrata in vigore della legge 52/96 avendo già a tale data il Banco ottenuto il decreto ingiuntivo con successivo inizio dell'azione esecutiva”.
L'appellante contesta che si sia già esaurito il rapporto: secondo la sua tesi, ex art. 1469 bis segg. cod. civ. le clausole diventano inefficaci e pertanto non operano più nel senso che il consumatore può sempre proporre quelle eccezioni che non avrebbe potuto validamente proporre se e fin quando fossero state efficaci le clausole contrattuali, eccezioni l'accoglimento delle quali avrebbe portato il giudice ad una soluzione diversa. Per riportare le parole precise usate nell' atto di appello, “Se la sanzione delle clausole vessatorie non è quella della nullità ma quella della inefficacia, questo significa che la nuova norma toglie ogni effetto giuridico alle clausole vessatorie che, proprio perché inefficaci, non potranno più né spiegare effetto tra le parti, né venire invocate dal professionista, né essere applicate dal giudice”.
Ritiene questa Corte di respingere anche questo motivo di appello.
Intanto è rilevante la constatazione che la direttiva europea abbia espressamente stabilito che le nuove disposizioni si applicavano ai contratti stipulati dopo il 31 dicembrd994. È evidente che la regola europea si è fatta carico di evitare gravi conseguenze negative nei confronti dei professionisti che avessero stipulato
contratti validi ed efficaci all'epoca,della costituzione del rapporto, confidando di agire nel rispetto delle norme e del fondamentale precetto “pacta sunt servanda”, precetto che, nel diritto moderno, significa che l'obbligato deve adempiere alle obbligazioni sorte a seguito di un contratto valido al momento della conclusione.
La regola europea è rispettosa di questi principi: da una certa data in poi i professionisti dovranno osservare le nuove regole, se non lo faranno affronteranno coscientemente il rischio:delle conseguenze collegate all'applicazione di quelle regole; ma ai contratti stipulati prima di quella data le nuove norme non si applicano. Sembra poco probabile che il legislatore italiano abbia voluto così gravemente discostarsi dal 'principio accolto dalla regola europea adottando, senza una espressa previsione normativa,un principio diverso, quello cioè di applicare le nuove regole a tutti i rapporti costituiti in precedenza purché non esauriti nel senso-proposto dall' appellante, cioè per i quali sia intervenuta sentenza passata formalmente in giudicato.
Inoltre e soprattutto, pur tenendo conto del significato della espressione «inefficacia» usata dalla legge (se fosse stata sancita la nullità il discorso sarebbe assai più agevole), non pare sia possibile condividere il discorso svolto dall' appellante (e dai giuristi da lui citati) circa l’impatto sui c.d. contratti di durata di norme successive alla stipulazione. Si può in linea generale affermare che, stipulato il contratto di fideiussione si ha un effetto immediato, cioè la costituzione dell' obbligo del fideiussore di far fronte, ricorrendo certe condizioni, al mancato adempimento da parte del debitore principale; e che, stipulato un contratto di fideiussione con le note clausole; l'effetto immediato fu anche quello di rendere inapplicabile la liberazione ex art. 1956 e l'onere del creditore di proporre tempestivamente, entro sei mesi dalla scadenza, le sue istanze contro il debitore.
L'effetto essenziale del contratto, cioè quello di costituire la fideiussione in un certo modo, si verifica istantaneamente con la sua conclusione: da quel momento si cristallizza la posizione di garante. Né costui né il garantito debbono per il tempo di durata della fideiussione compiere prestazioni quali quelle, ad esempio, per il locatore descritte all' art. 1575, 1576 e 1577 o per il conduttore pagare il canone alle scadenze dovute. li fideiussore assume subito e mantiene, stabile, la posizione di colui che sarà tenuto a pagare il debito garantito, se si verificheranno certe condizioni e se il creditore garantito si rivolgerà a lui per l'adempimento. Non pare dunque che per quanto riguarda la fideiussione possa parlarsi in senso tecnico di contratti di durata.
Ma anche accogliendo la diversa tesi dell' appellante e dunque ammettendo che la sopravvenuta inefficacia di clausole (perché così considerate da una successiva norma) possa incidere su di esse anche se la stipulazione del contratto era precedente alla nuova normativa, deve escludersi il verificarsi di tale fenomeno quando la clausola in questione ha già conseguito i suoi effetti in un momento dato, precedente alla nuova normativa. Ora, è certo che i finanziamenti in marchi (quelli di cui si lagna l'appellante) furono concessi ben prima della nuova legge: a. quel momento sia la, clausola contrattuale «omnibus», sia la clausola che prevedeva la rinuncia ad avvalersi della liberazione ebbero il suo concreto effetto, rendendo Barnabò fideiussore anche di quei successivi debiti e impedendo la liberazione del fideiussore ex art. 1956 cod. civ., con la conferma dell’impegno fideiussorio anche in relazione a quei finanziamenti. Da quel momento il rapporto fideiussorio comprese anche i nuovi debiti, per effetto istantaneo della clausola che impedì l'evento liberazione, effetto non più amovibile per il sopravvenire di norme. Analoga considerazione può farsi in ordine alla rinuncia ex art. 1957 cod. civ.: la scadenza dei debiti pecuniari della Metalplastica si verificò, almeno, alla data di presentazione della domanda di concordato (art. 169 in relazione all’art. 55 legge fallimentare) e cioè dal 16.2.1993 (come risulta dalla lettera Barnabò al Banco in data 18 febbraio-1993). Da quel momento, almeno, iniziarono a decorrere i sei mesi previsti dall' art. 1957, semestre che terminò il 18.8.1993. A quella data la clausola contrattuale F produsse i suoi effetti istantanei impeditivi della liberazione ex art. 1957 ,che altrimenti si sarebbe verificata in applicazione di quella norma; nessuna disposizione. successiva relativa alla efficacia di tale clausola potrebbe dunque incidere su quell’effetto già compiutamente verificatosi.
H) Contestazione della esistenza dei crediti del Banco (e delle prove portate dal Banco).
Il giudice di. primo grado affermò che era “stata prodotta dal Banco documentazione idonea a provare i conteggi bancari e la mancanza di contestazione specifica degli stessi che, al contrario, sono stati pienamente accettati dal debitore principale e dallo stesso fideiussore in modo esplicito (ipoteca) e per fatti concludenti”.
Sostanzialmente l'appellante contesta in linea generale l'efficacia probatoria dei saldaconti perché provengono dal solo creditore e comunque riguardano i rapporti tra credito re e debitore, non quelli tra credito re e fideiussore. Quanto al primo punto, la Corte ritiene che c'è h-prova, 'quella consistente negli estratti conti che 1\on sono mai stati contestati dal debitore principale in applicazione dell'art. 1832 cod. civ. Quanto alle conseguenze, nei confronti del fideiussore, della incondizionata approvazione del conto da parte del debitore principale, è giurisprudenza costante della Suprema Corte di Cassazione, cui questo collegio aderisce, che la mancata,:contestazione del debitore principale estende i suoi effetti anche nei confronti del fideiussore, come logico corollario dell' art. 1945 cod. civ.: il fideiussore può opporre contro il credito re tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, dunque non può opporre quelle che non potrebbe più opporre il debitore principale.
Non ha quindi rilevanza l'argomento sollevato da parte appellante relativamente alla limitazione dell'efficacia probatoria del saldaconto di cui all' art. 102 legge bancaria al procedimento relativo al ricorso per ingiunzione: in questo giudizio di opposizione sono stati prodotti gli estratti conti non contestati ed è questa la prova della esistenza del credito.
Quanto alle questioni particolari:
1) sulla asserita natura usuraria degli interessi, è sufficiente rilevare che l'aumento del debito non è in funzione di interessi eccessivi, bensì del rapporto di cambio tra marco tedesco e lira italiana; .
2) sulla asserita circostanza che l'erogazione sia avvenuta in lire anziché in marchi e che pertanto la restituzione sarebbe dovuta avvenire sulla base delle lire erogate e non dei marchi, si rileva che l'accordo era relativo a finanziamento in marchi tedeschi, da accreditare in. apposito conto valuta intestato al debitore presso la Banca; successivamente su richiesta del finanziato la somma in marchi venne cambiata iri lire e la somma così risultante in Lire fu trasferita al conto corrente «normale»;
È dunque vero che la Metalplastica utilizzò per le sue necessità lire e non marchi ma ciò fece per sua volontà, evidentemente essendole necessarie lire e non marchi, ma questo non esclude che la sua obbligazione sia nata e sia rimasta come obbligo di restituzione di quanto inizialmente ricevuto e cioè la somma in marchi tedeschi. Che poi queste vicende stiano a significare che il motivo comune dell'intera operazione fosse di prestare ed ottenere in prestito lire italiane qui non può interessare: il fatto è che il finanziamento fu pattuito in marchi e marchi dovevano essere restituiti.
Infine, in relazione a tutte queste eccezioni, pare opportuno ribadire- quanto già osservato nella sentenza di primo grado. Metalplastica e Barnabò furono al corrente. di tutte le operazioni: in specie Barnabò, come si è prima detto, conosceva o doveva conoscere tutti gli eventi che portarono a quei finanziamenti in marchi, successivamente ebbe uno scambio di corrispondenza col Banco senza mai eccepire alcunché ed anzi versò acconti; infine costituì quella ipoteca su suoi beni con quell'atto nel quale riconobbe esplicitamente la situazione debitoria del debitore da lui garantito.
Anche su questi punti dunque i motivi di appello risultano infondati.
La sentenza di primo grado va pertanto confermata, respingendo si integralmente l'appello.
La reiezione dell' appello comporta che l'appellante dovrà rimborsare all' appellato le spese da questi sostenute in questo secondo grado di giudizio. Esse, tenuto conto del valore rilevante dell'oggetto della controversia, della quantità (ed a volte della qualità). delle questioni sollevate dall' appellante, possono essere liquidate come da parcella in L. 1.225.000 per spese, £ 3.627.000 per diritti, L. 29.820.000 per onorari,L. 3.344.700 (10%) per spese generali, e così in totale L. 38.016.700, oltre IV A e CPA. (Omissis) .
[Vercellone. Presidente ed Estensore. - Barnabò (avvocati Fois; Camerino e Forlati) - Banco di Napoli (avv. Colucci) - Metalplastica Alluminio S.p.A. (non cost.)]