Cassazione civile, SEZIONE III, 3 ottobre 2003, n. 14762
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill. mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Roberto PREDEN - Presidente - Dott. Fabio MAZZA - Consigliere - Dott. Giovanni Battista PETTI - Rel. Consigliere - Dott. Angelo SPIRITO - Consigliere - Dott. Maria Margherita CHIARINI - Consigliere -ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RUBERTO DANTE, elettivamente domiciliato in ROMA VLE CARSO 23,presso lo studio dell'avvocato MUSIO MARIA GRAZIA (STUDIO SALERNI),difeso dall'avvocato GENNARO INGLETTI, giusta delega in atti;- ricorrente - contro IST PROFESSIONALE G D'ANNUNZIO SRL; - intimato -avverso la sentenza n. 61-99 del Tribunale di LECCE, sezione prima civile emessa il 12-10-98, depositata il 11-01-99; RG. 1055-97;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del18-03-03 dal Consigliere Dott. Giovanni Battista PETTI;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Federico SORRENTINO che ha concluso per rigetto del ricorso.
Fatto
Con citazione del 16 giugno 1995 Ruberto Dante, nella veste di contraente consumatore, avendo sottoscritto una nota d'ordine per un corso di informatica, nell'interesse del figlio Rocco, conveniva dinanzi al giudice di pace di Tricase l'istituto professionale Gabriele D'Annunzio s.r.l. e chiedeva l'accertamento dello scioglimento del contratto, avendo inviato tempestivo recesso (in data 16 maggio 1994 prima della esecuzione del contratto, stipulato il 2 maggio 1994).
L'istituto si costituiva contestando la tempestività del recesso, oltre il termine breve di sette giorni, e spiegava domanda riconvenzionale per l'adempimento del contratto.
Il giudice di pace, con sentenza del 4 aprile 1996, rigettava la domanda attrice, dichiarando inammissibile la riconvenzionale e compensando le spese di lite.
La decisione era appellata dal consumatore che ne chiedeva la riforma deducendo: a:la invalidità della clausola di recesso inserita nella nota d'ordine in violazione dei requisiti di forma previsti dallo art. 5 secondo comma del D. Lgs. 15 gennaio 1992 n. 50; b. la tempestività del recesso, considerato il maggior termine di cui al successivo art. 6 del decreto legislativo citato, ovvero in relazione alla regola generale dell'art. 1373 del codice civile. Resisteva la controparte chiedendo il rigetto del gravame.
Con sentenza depositata il giorno 11 gennaio 2002 il Tribunale di Lecce, quale giudice dell'appello, rigettava l'appello e compensava tra le parti le spese del grado.
Contro la decisione ricorre il Ruberto deducendo due motivi di censura illustrati da memoria, non ha svolto difese l'istituto, pur ritualmente citato.
Diritto
Il ricorso merita accoglimento in ordine ai dedotti motivi, che vengono in esame congiunto per la intrinseca connessione.
NEL PRIMO MOTIVO si deduce l'error in iudicando e la violazione dei criteri di interpretazione dello art. 5 comma secondo del decreto legislativo 1992 n.50, sul rilievo che detta norma, di attuazione della corrispondente direttiva europea, prescrive inderogabilmente i due requisiti di forma che devono evidenziare la informazione preventiva sulla importanza del diritto di recesso del consumatore, come parte debole. Requisiti che attengono alla autonoma evidenziazione della clausola rispetto a tutte le altre contrattuali ed al carattere grafico e compositivo che non deve creare un nascondimento od una sottovalutazione di tale clausola.
NEL SECONDO MOTIVO si deduce l'error in iudicando sulla ritenuta intempestività della dichiarazione di recesso: la tesi è che la clausola era nulla od invalida ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo citato, sulla base del successivo articolo 6 il consumatore poteva far valere il recesso nel maggior termine di 60 giorni dalla stipula del contratto; ulteriore argomento era fatto con riguardo alla disciplina generale codicistica in tema di recesso unilaterale, che poteva trovare applicazione nel caso di specie, posto che l'art. 6 della norma speciale riguardava la situazione di una clausola di recesso determinante una informazione incompleta od errata.
Così riassunti i motivi, deve considerarsi la sintetica motivazione del giudice del riesame (ff 6 della motivazione) là dove esamina la clausola, pur mescolata tra altre quattordici ed in tredicesima posizione, considerando unicamente la uniformità dei caratteri grafici come indice di non nascondimento e trascurando totalmente il requisito dell'autonomia. Tale interpretazione, apodittica, non appare coerente con lo spirito della legge italiana che deve necessariamente conformarsi alla superiore direttiva europea, la quale, ancor prima della sua ricezione legislativa, scaduto il termine per l'attuazione, costituiva una fonte del diritto rilevante nell'ordinamento giuridico italiano (cfr: Cass. 20 marzo 1996 n. 2369, Cass. 30 luglio 2001 n. 10429).
Ed in vero la Direttiva del Consiglio CEE n. 577 del 20 dicembre 1985 in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, all'art. 4 (trasfuso nello art. 5 del decreto legislativo in esame) prevede che il commerciante debba informare il consumatore del suo fondamentale diritto al recesso, consegnando detta informazione scritta al momento della stipulazione del contratto, così prevedendo il carattere preventivo della informazione o in altri termini, ora più correnti nella prassi, il carattere del consenso informato sull'esercizio del diritto fondamentale di recesso. Tale puntualizzazione è stata colta dalla migliore dottrina.
Il legislatore italiano, nel trasfondere il principio della direttiva nella norma nazionale (art. 5 comma secondo) non ne attenua il rigore, prevedendo l'inserzione della clausola di recesso nel contesto delle altre clausole del contratto, proprio perché considera due requisiti essenziali di forma, con norma inderogabile ed imperativa perché attiene all'ordine pubblico dei rapporti economici nelle negoziazioni tra una parte debole (il consumatore) e la parte commercialmente forte (il commerciante o l'imprenditore). Il primo requisito attiene alla autonomia della clausola di recesso che deve restare separata dalle altre clausole, per rendere chiara, trasparente ed immediata la informazione. Non è allora ammissibile che la clausola sia inserita in un contesto uniforme di clausole di apparente pari rilevanza, ed inserite secondo una sequenza numerata, come è nella nota d'ordine in esame. Il secondo requisito attiene alla evidenza grafica della informazione, che deve avere caratteri grafici eguali o superiori a quelli degli altri elementi indicati nel documento.
Nel caso di specie solo il secondo requisito risulta osservato, ma non il primo: e pertanto l'interpretazione data dai giudici del riesame si risolve in una falsa applicazione della norma imperativa, anche in violazione dei criteri ermeneutica di cui all'art. 12 delle preleggi, trattandosi di interpretazione contra legem, contro la ratio legis che è diretta a privilegiare la tutela contrattuale del consumatore. Resta allora da esaminare il secondo quesito, che riguarda il maggior termine concesso dal secondo comma dell'art.6 in relazione ad una informazione incompleta od errata, ovvero l'applicazione dei criteri generali in tema di recesso unilaterale di cui al citato art. 1373 del codice civile.
Questa valutazione attiene ad una valutazione fattuale che dovrà esaminare il giudice del rinvio, poiché attiene ad una quaestio voluntatis.
In sede di coordinamento sistematico tra le discipline occorre considerare che la informazione è incompleta, quando manca la esatta indicazione di tutte le circostanze che giustificano il recesso e la natura dei suoi termini di ricezione o di spedizione o di semplice comunicazione: la informazione è scorretta od errata quando, pur nella completezza, mancano i requisiti di forma, appena detti, che ne impediscano la immediata e preventiva rilevanza, ancor prima di sottoscrivere il contratto o al tempo stesso della sua sottoscrizione.
La regola generale codificata presuppone invece che il contratto non rechi alcuna informazione di recesso, o la rechi contra legem, in deroga alle prescrizioni imperative. Si tratta dunque di ipotesi che possono verificarsi raramente, perché evidenziano una mala fede contrattuale e la consapevole violazione o frode alla legge.
Con queste puntualizzazioni il ricorso merita accoglimento, consegue la cassazione con rinvio anche per le spese di questo giudizio di cassazione, al Tribunale di Lecce, che si atterrà ai principi di diritto come sopra enunciati.
P.Q.M
Accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, al Tribunale di Lecce.
Roma, 18 marzo 2003