TRIBUNALE DI PALERMO; sentenza 7 aprile 1998; Preso BA TAGLIA, Est. CONTI; Romano (Avv. G. e P. PALMIGIAN); Enel (Avv. CICCOTTI, D'ALLEO, GENTILE)
Contratto in genere, atto e negozio giuridico - Contratti consumatori - Clausole vessatorie - Direttiva 93/13/ Cee - Efficacia parziale immediata (Cod. civ., art. 1469 bis Contratto in genere, atto e negozio giuridico - Contratti dei consumatori - Clausole vessatorie - Azione individuale preventiva - Interesse ad agire (Cod. civ., .art. 1469 bis )
Contratto in genere, atto e negozio giuridico - Contratti dei consumatori - Clausole vessatorie - Novella Legislativa - Applicabilità (Cod. civ., art. 1456, 1469 bis).
La direttiva 93/13/Cee, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, con l'eccezione degli art- 6, 2 o comma, 7 e 8, contiene disposizioni incondizionate e sufficientemente precise ed è pertanto immediatamente efficace nei rapporti tra i singoli e lo Stato (nella specie, si è ritenuto l'Enel assimilabile agli enti pubblici e, in quanto tale, destinatario diretto dei precetti comunitari). (1)
Il consumatore-aderente ha interesse ad agire per far accertare la vessatorietà di una clausola anche ove solo potenzialmente idonea ad incidere sulla sua posizione giuridica soggettiva. (2).
Gli art. 1469 bis ss. c.c. sono applicabili ai rapporti negoziali pendenti alla data di entrata in vigore della novella legislativa in materia di clausole vessatorie. (3)
Svolgimento del processo. - Con atto di citazione notificato il 28 aprile 1995 Romano Benedetto convenne in giudizio innanzi a questo Tribunale l'Enel s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore ed espose di essersi recato il 16 gennaio 1995, presso gli uffici dell'ente convenuto siti in Palermo per stipulare un contratto di fornitura di energia elettrica per l'appartamento ubicato nella locale via Maqueda n. 10.
Soggiunse che l'impiegato addetto gli aveva richiesto di sottoscrivere le clausole vessatorie ancorché le stesse contrastassero con la direttiva Cee n. 13 adottata il 5 aprile 1993 a tutela del consumatore, i cui precetti precisi ed incondizionati, che esso attore ben conosceva per essere segretario regionale e nazionale dell'associazione Adiconsum impegnata nella difesa dei consumatori, dovevano ritenersi immediatamente efficaci, essendo scaduto il termine previsto per la trasposizione della direttiva nell'ordinamento nazionale, anche nei confronti dell'ente convenuto, la cui struttura privatistica non ne escludeva la equiparabilità allo Stato secondo i principI espressi dalla Corte di giustizia delle Comunità europee.
Evidenziò, ancora, che si era determinato a sottoscrivere le clausole del contratto sotto la minaccia di esporre i suoi beni ad un male ingiusto e notevole, avendo consapevolezza che, altrimenti, non avrebbe potuto godere dell'energia elettrica distribuita in regime di monopolio dall'Enel.
Sulla scorta di tali premesse, li Romano chiese al tribunale che fosse accertato che gli obblighi nascenti dalla direttiva Cee 93/13 erano di immediata efficacia nei confronti dell'Enel s.p.a. e che con qualsiasi statuizione tutte le clausole vessatorie delle condizioni particolari e generali del contratto, o in via graduata quelle ritenute tali, fossero dichiarate nulle, annulla bili o non vincolanti per contrasto con la direttiva o per vizio del consenso.
Chiese ancora che l'Enel s.p.a. fosse condannato alla pubblicazione delle emittenda sentenza sui quotidiani La Repubblica ed il Giornale di Sicilia, riservandosi di chiedere i danni eventualmente subiti da quantificare in seguito.
Costituitosi in giudizio, l'Enel s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempo re, chiese il rigetto delle avverse domande, evidenziando gradatamente che la direttiva comunitaria invocata dall'attore non aveva efficacia immediata in mancanza della legge di attuazione, che comunque la stessa non poti essere opposta ad esso ente trasformatosi in società per azioni già prima della conclusione del contratto con il Romano e che comunque la generica abusività delle clausole negoziali prospettata dall'attore ometteva di considerare la peculiare natura del rapporto che era tale da escludere che tutte le clausole vessare: rie del contratto fossero contrarie alla direttiva comunitaria.
Sostenne poi la pretestuosità delle domande tendenti ad ottenere l'annullamento per violenza delle clausole negoziati anzidette e la condanna alla pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani, non essendo profilabile alcun danno attuale.
Indi la causa, compiuta l'istruzione, sulle conclusioni delle parti riportate in epigrafe, veniva rimessa al collegio che all’udienza del 13 marzo 1998 l'ha posta in deliberazione.
Motivi della decisione. - Occorre premettere che nell’odierno giudizio il Romano ha inteso proporre un'azione volta alla declaratoria di non opponibilità nei suoi confronti delle clausole assertivamente vessatorie contenute nel modulo del contratto di somministrazione di energia elettrica sottoscritto il 16 gennaio 1995.
Ora è evidente, avuto riguardo al «rifiuto dell'ente erogatore di stipulare il contratto senza la sottoscrizione delle clausole vessatorie» frapposto all'attore e pure specificamente ammesso dall'ente convenuto (v. pag. 10 comparsa di risposta Enel s.p.a. e missiva del 18 gennaio 1995) l'interesse attuale del Romano a chiarire la portata complessiva del rapporto negoziale concluso con l'Enel e a non soggiacere ad un complesso di clausole che lo stesso non avrebbe voluto facessero parte del contenuto negoziale in quanto contrastanti, secondo il suo assunto con la direttiva Cee 93/13 e perciò idonee, sempre stando alle allegazioni dell'attore, a cagionare pregiudizi difficilmente emendabili in relazione al regime di esclusività in cui opera l'Enel nel servizio di distribuzione dell'energia elettrica.
Del resto, il diverso convincimento espresso dall'Enel nella. propria comparsa conclusionale, a seguire il quale l'utente non potrebbe mai agire in giudizio per fare accertare l'eventuale abusività di una o più clausole negoziali prima che le stesse. siano effettivamente applicate dal professionista, omette di considerare non soltanto la peculiarità del rapporto in oggetto, reclamata solo a diverso titolo dalla convenuta, ma anche la netta differenza tra il rimedio general-preventivo riconosciuto dall'art. 7 della direttiva Cee 93/13 - poi specificato dall'art. 1469 sexies c.c. introdotto con la L 52/96 di cui in seguito si dirà -, volto ad inibire la conclusione di contratti che, contenendo clausole generali vessatorie, possono provocare una posizione di squilibrio a danno del consumatore, e la tutela individuale azionata nel presente giudizio dal Romano che, in quanto parte di un
contratto concluso sulla base di un compendio di clausole
ritenute - abusive e «necessariamente» sottoscritte al fine di usufruire del servizio prestato dall'Enel, ha immediato interesse ad esperire un'azione tendente all'accertamento della. non v~ncolatività di uno o più patti all'interno di un rapporto negoziale già insorto e quindi potenzialmente idoneo a provocare effetti sfavorevoli per il contraente debole.
Né può dubitarsi che il superiore assunto appare in linea con la ratio ispiratrice della direttiva comunitaria 93/13 su cui in seguito si avrà modo di tornare, ove pure si consideri che proprio con riferimento ai casi in cui il rapporto negoziale prende luogo da un obbligo legale a contrarre un autorevole indirizzo dottrinario, dopo avere evidenziato che la tutela spettante ai consumatori uti singuli si esercita ordinariamente attraverso un giudizio di cognizione nelle forme dell'accertamento negativo, ritiene ammissibile la tutela individuale in favore dei consumatori finanche nell'ipotesi in cui questi abbiano avanzato una mera richiesta di concludere il contratto, sostenendo che con tale domanda diventerebbe già attuale il diritto - e con esso l'interesse - a chiedere l'accertamento della non vincolatività delle clausole generati che, in difetto di una loro preventiva eliminazione, diventerebbero la fonte del rapporto contrattuale in relazione all'obbligo di contrarre garante sul monopolista.
Ciò posto in punto di interesse ad agire dell'attore, mette conto osservare che i molteplici temi d'indagine che l'odierna controversia involge richiedono, preliminarmente, l'esame dei tratti principali della direttiva 93/13/Cee adottata dal consiglio della Comunità economica europea il 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, normativa che il Romano, nel proporre l'odierna azione anteriormente all'entrata in vigore della legge nazionale che ha dato attuazione alla medesima (1. 52/96), assume avere immediata efficacia nello Stato italiano, rimasto inadempiente all'obbligo di trasporre la norma comunitaria entro il termine - nella stessa fissato - del 31 dicembre 1994.
Ritiene il tribunale che l'esame della superiore questione non appare superato dall'entrata in vigore della legge di attuazione della direttiva adottata dallo Stato italiano, ove si consideri, per un verso, che l'accertamento in ordine al contenuto negoziale riguarda anche il periodo precedente all'entrata in vigore della legge di attuazione e per altro verso che se l'indagine di seguito svolta dovesse condurre a ritenere l'immediata efficacia della normativa comunitaria nel periodo compreso fra il 10 gennaio 1995 - termine entro il quale la direttiva doveva essere attuata - e il 25 febbraio 1996 - epoca di entrata in vigore della norma interna di attuazione che ha novellato il codice civile - verrebbe a determinarsi un peculiare rapporto, fra norma ordinaria e norma comunitaria di indirizzo immediatamente precettiva e sovraordinata rispetto alla prima, rapporto nel quale la norma gerarchicamente superiore gioca un ruolo decisivo nell'interpretazione del precetto interno, se ad essa pienamente conforme, o addirittura nella disapplicazione del medesimo ove questo contrasti con i principì incondizionati e precisi della norma comunitaria.
Quanto alla questione dell' efficacia diretta di una direttiva comunitaria negli Stati membri - c.d. efficacia seif-executing - appare utile rammentare che la Corte di giustizia delle Comunità europee, muovendo dall'art. 189, 30 comma, del trattato Cee a tenore del quale «la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolto per quanto riguarda il risultato da raggiungere salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi» era ferma nel sostenere che la direttiva avesse come unici destinatari gli Stati membri, di guisa che dalla stessa non potevano sorgere diritti od obblighi per i singoli individui che nemmeno potevano quindi sperimentare alcuna tutela innanzi al giudice nazionale.
Da ciò conseguiva, come logico corollario, che solo la normativa di recepimento alla cui attuazione ogni Stato membro era tenuto poteva rendere efficace la direttiva per i singoli cittadini .
Tale orientamento, pacifico fino agli inizi degli anni '70, fu radicalmente superato allorché la stessa corte, partendo dall'affermazione che «nei casi in cui le autorità comunitarie abbiano mediante direttiva obbligato gli Stati membri ad adottare un determinato comportamento, la portata dell'atto sarebbe ristretta se i singoli non potessero far valere in giudizio la sua efficacia e se i giudici nazionali non potessero prenderlo in considerazione come norma di diritto comunitario» fornì un'interpretazione più sostanzialistica del citato art. 189 ed iniziò a riconoscere che anche le direttive potevano contenere disposizioni idonee a produrre effetti diretti nei rapporti fra i singoli e gli Stati membri sempre che si trattasse di precetti «dettagliati» - sent. Corte giust. 6 ottobre 1970, causa 9/70 (Foro it., 1971,. IV, 1) e 17 dicembre 1970, causa 33/70 (ibid., 97).
Fu quindi espresso il principio che in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva erano incondizionate e sufficientemente precise, le stesse potevano essere richiamate, in mancanza di provvedimenti di attuazione adottati entro i termini fissati, per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto interno non conforme alla direttiva ovvero per fondare in capo ai singoli diritti da esercitare nei confronti dello Stato (v. Corte giust. 19 gennaio 1982, Becker, causa 8/81; id., 1983, IV, 132; 17 ottobre 1989, cause riunite 231/87 e 129/88, id., 1991, IV, 186).
Divenne allora prioritario per l'interprete accertare per un verso che l'obbligo sancito dalla direttiva non trasposta fosse incondizionato né subordinato, per quanto riguarda i suoi effetti, all'emanazione di un atto delle istituzioni della Comunità o degli Stati membri (v. Corte giust. 3 aprile 1968; causa 28/67, id., 1969, IV, 123) e, ancora, che il precetto contenesse in sé tutti gli elementi necessari per la sua applicazione e sancisse quindi un obbligo in termini non equivoci (v. Corte. giust. 26 febbraio 1986, causa 152/84, id., Rep. 1986, voce Comunità europee, n. 204, e 23 febbraio 1994, causa C-236/92, id., 1995, IV, 229).
Apparve poi chiaro, fin dagli inizi del revirement operato dalla Corte di giustizia, che il vaglio teso all'accertamento dell'operatività immediata di una direttiva inattuata non doveva necessariamente riguardare il testo integrale della direttiva, per modo che la presenza di norme che demandavano ai legislatori interni un certo margine di discrezionalità per l'attuazione delle stesse - e che come tali dovevano ritenersi prive di efficacia diretta - non poteva paralizzare l'efficacia immediatamente operativa delle altre disposizioni incondizionate e precise (v. Corte giust. 19 gennaio 1982, causa 8/81, cit.).
I principi dianzi ricordati devono quindi indirizzare l'analisi contenutistica della direttiva Cee 93/13 che ,definisce le clausole abusive nei contratti conclusi con i consumatori proprio al fine di acclarare se le disposizioni ivi contenute siano incondizionate e sufficientemente precise e come tali immediatamente applicabili negli ordinamenti nazionali ovvero se le stesse diano luogo a notevoli incertezze interpretative tali da non renderle chiare e precise.
In proposito, mette conto rilevare che ancorché a livello dottrinario si riscontrino diversi indirizzi interpretativi che abbracciano tutte le possibili opzioni - efficacia self-executing integrale della direttiva, efficacia limitata ad alcune disposizioni ed inefficacia dell'intero corpo di norme - la tendenza prevalente, che trae linfa dalla circostanza che la relazione che precede il d.d.l. 20 dicembre 1994 di attuazione (poi non tramutato in disposizione normativa) conteneva l'inciso secondo cui «il contenuto dettagliato delle disposizioni introdotte dalla direttiva fa ritenere che la stessa sia suscettibile di un'applicazione immediata e diretta nell'ordinamento interno a decorrere dal termine del 31 dicembre 1994» è orientata a ritenere che la direttiva contiene elementi tali da non necessitare da parte del legislatore nazionale alcuna attività discrezionale nell'adozione della stessa mentre è minoritario l'orientamento più rigoroso che, muovendo dal postulato che l'applicazione immediata di una direttiva dopo il termine di ,scadenza per l'attuazione nei paesi membri è profilabile solo in ipotesi di diritti soggettivi dei privati nei confronti dello Stato inadempiente per non avere tempestivamente recepito la normativa comunitaria, reputa che la direttiva 93/13/Cee, essendo indirizzata a regolamentare i rapporti interindividuali e contenendo peraltro precetti imprecisi e condizionati a scelte discrezionali dei legislatori nazionali, non potrebbe spiegare alcuna efficacia in assenza di una legge di recepimento.
Orbene, ritiene il collegio che la tesi intermedia, importando un esame specifico delle disposizioni della direttiva ed una netta differenziazione fra quelle sufficientemente chiare e quelle altre invece bisognevoli di essere completate e chiarite dal legislatore nazionale sia maggiormente appagante, sol che si consideri che la tesi più rigorosa omette di considerare che secondo i principi giurisprudenziali avanti ricordati la direttiva self-executing può consentire ai singoli di fare valere direttamente nei confronti dello Stato le posizioni giuridiche soggettive dalla stessa riconosciute e che l'orientamento più liberale non considera l'indeterminatezza di alcuni principi di cui in seguito si dirà.
Passando quindi al contenuto dispositivo della direttiva 93/13/Cee, appare utile premettere che la stessa si inserisce nel più vasto panorama normativo comunitario destinato all'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri e volto ad approntare una tutela uniforme alla figura del consumatore allorché questi sia parte di un contratto stipulato con un venditore di beni e servizi all'interno degli Stati della comunità (si pensi alle direttive sulla responsabilità da prodotti difettosi: 85/374/Cee recepita con d.p.r. 24 maggio 1988 n. 244, sulle vendite fuori dai locali commerciali, 85/577/Cee recepita con d.1eg. 15 gennaio 1992 n. 50, sul credito al consumo, 87/102/Cee e 90/88/Cee recepite con 1. 19 febbraio 1992 n. 142, sulla pubblicità ingannevole, 84/450lCee del lO settembre 1984, recepita con d.1eg. 25 gennaio 1992 n. 74). .
Anche attraverso l'esame dei 'considerando' preliminari alla direttiva di cui si discute, è dunque agevole evidenziare non soltanto l'ambito soggettivo, ma anche la materia oggetto della normativa e la tecnica di conclusione del contratto che la stessa presuppone, èmergendo in termini chiari e precisi che la stessa si rivolge alla disciplina di clausole non oggetto di negoziazione individuale (art. 3, n. l) facenti parte di contratti - esclusi quelli di lavoro, relativi ai diritti di successione, allo statuto familiare e alla. costituzione e statuto delle società (cfr. 'considerando' n. 10 dir.) - stipulati dal consumatore, inteso come persona fisica che nel concludere i contratti agisce per fini estranei alla: propria attività professionale (art. 2, lett. b), con una persona - fisica o giuridica - che agisce nel quadro della propria attività professionale, sia essa pubblica o privata, qualificata come professionista (art. 2, lett. c).
Risulta altrettanto chiara e precisa l'intenzione del legislatore comunitario di operare sui contratti anzidetti una tutela diversa da quella generalmente applicata negli Stati membri e fondata sul controllo formale delle clausole - così gli art. 1341, 2° comma, e 1342, 2° comma, c.c. -, incentrando la verifica sul contenuto sostanziale dei patti redatti preventivamente nell'ambito di un contratto per adesione ed escludendo la vincolatività per il consumatore di quelle clausole non riproducenti disposizioni normative o regolamentari imperative che, in relazione,alla natura dei beni o servizi oggetto della contrattazione, determinano un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto contrario al principio della buona fede (art. 1, 2° comma, art. 3, 2° comma, art. 4, 1 ° comma, e art. 6, 1 comma).
La direttiva, oltre a contenere un elenco indicativo di clausole che possono essere dichiarate abusive (art. 3, 3° comma), esclude .ogni valutazione in termini di abusività per le clausole che attengono alla definizione dell'oggetto principale del contratto e alla perequazione fra prezzo e beni offerti «purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile» (art. 4, 2° comma).
L'art. 5 prevede ancora che le clausole proposte al consumatore per iscritto devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile e che deve comunque prevalere, in caso di dubbio, l'interpretazione più favorevole al consumatore mentre viene infine demandata alle scelte discrezionali dei legislatori nazionali l'individuazione delle misure necessarie per garantire il rispetto dei principi della direttiva al consumatore che scelga come legge applicabile al contratto la legislazione di un paese terzo (art. 6, 2° comma) e l'adozione di rimedi di tipo general-preventivo che permettano a persone o organizzazioni di adire le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi affinché queste stabiliscano se le clausole contrattuali redatte per un impiego generalizzato abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati per far cessare l'inserzione delle clausole stesse (art. 7, 1 ° e 2° comma).
A chiusura del testo è poi chiarita la portata minimale della direttiva e la possibilità per gli Stati membri di approntare una tutela più severa di quella delineata dal legislatore comunitario (art. 8).
Orbene, premesso che il contenuto dispositivo dell'art. 5 della direttiva risulta in buona parte già contenuto nella legislazione italiana precedente (v. art. 1370 c.c. in tema di interpretazione contro l'autore della clausola) non par dubbio che una delibazione in termini di precisione ed analiticità appare agevole con riferimento agli ambiti oggettivi e soggettivi della direttiva, mentre l'ampio margine di discrezionalità demandato ai legislatori nazionali esclude in radice la possibilità di ritenere immediatamente efficaci i precetti contenuti negli art. 6, 2° comma, 7 e 8 della direttiva.
Sicuramente complesso è invece l'accertamento in ordine alla specificità della nozione di «significativo squilibrio contrattuale malgrado la buona fede» e della connessa non vincolatività delle clausole abusive che nell'elenco anzi accennato appaiono peraltro costellate di espressioni che in prima approssimazione potrebbero definirsi «non univoche»,
Ritiene peraltro questo tribunale che l'utilizzazione di una clausola generale a contenuto non predeterminato quale è quella del significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, lungi dal rimandare al legislatore nazionale l'individuazione contenutistica del precetto già in sé sufficientemente chiaro, manifesta la scelta comunitaria di non offrire un'analitica individuazione delle fattispecie astrattamente riconducibili alla clausola generale, tecnica quest'ultima che avrebbe potuto ridurre la portata del principio rendendolo poco incline a racchiudere la multiforme tipologia di clausole predeterminate nelle contrattazioni di massa, ma piuttosto di demandare all'interprete il compito di concretizzare il contenuto precettivo della norma operando all'interno di ciascun contratto una saggia opera di bilanciamento degli interessi in gioco.
Da ciò consegue che il ruolo svolto dalla clausola generale di cui si è detto è proprio quello di affiancarsi .alla tipizzazione di clausole presuntivamente abusive contenuta nell'allegato alla direttiva, necessariamente elaborata in un determinato periodo storico e destinata ad essere nel tempo superata dall'evoluzione dei traffici commerciali, e di rappresentare l'elemento elastico attraverso il quale garantire la sussumibilità delle fattispecie nelle stesse non contemplate.
Per quel che poi riguarda il concetto di non vincolatività se è vero che lo stesso potrebbe essere inteso dai legislatori nazionali in termini non univoci ed in modo tale da fame scaturire indifferentemente la nullità, l'annullabilità o l'inefficacia del contratto, non è men vero che la flessibilità dell'espressione e la conseguente possibilità dei singoli Stati di adottare opzioni tecniche diversificate non mette in discussione il fondamentale principio della non opponibilità della clausola abusiva al consumatore introdotto dal legislatore comunitario, né pregiudica il carattere preciso ed incondizionato del risultato cui perviene 'Ia norma.
Ne consegue che l'effetto voluto in termini inequivoci dalla direttiva, pur potendo essere ottenuto da ciascuno Stato membro in relazione ai diversi principi generali delle normative in tema di contratti vigenti, appare pienamente applicabile indipendentemente da una normativa di recepimento.
Del resto, proprio la giurisprudenza comunitaria è stata ferma nel ritenere che la facoltà riconosciuta allo Stato di scegliere tra una molteplicità di mezzi possibili al fine di attuare una direttiva comunitaria non esclude che i singoli possano fare valere dianzi a giudici nazionali i diritti, il cui contenuto può essere determinato con una precisazione sufficiente, sulla base delle sole disposizioni della direttiva (v., in termini, Corte giustizia Cee 19 novembre 1991, causa C-6/90, id., 1992, IV, 145).
Per quel che poi riguarda il compendio delle clausole abusive contenute nell'elenco allegato alla direttiva, va anzitutto osservato che la possibilità che le stesse vengano dichiarate abusive non va interpretata, secondo il collegio, nel senso di consentire ai legislatori nazionali una valutazione di non abusività delle clausole ivi indicate, dovendo piuttosto ritenersi che con siffatta espressione sia stata garantita, non al legislatore ma all'autorità chiamata ad applicare concretamente il precetto, il potere: di valutare volta per volta, anche sulla base delle allegazioni del professionista, la vessatorietà delle clausole in relazione a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende (art. 4, 1 ° comma, dir.) alla peculiarità del rapporto ed alla natura delle prestazioni.
Ed analoghe considerazioni possono farsi in ordine alla terminologia contenuta nell'elenco anzidetto ove spesso viene fatto riferimento a concetti elastici - si pensi all'uso di espressioni come «limitare impropriamente» - lett. b) - «importo sproporzionatamente elevato» - lett. e) - «ragionevole preavviso»- lett. g) elenco - «data eccessivamente lontana» - lett. h) - «senza valido motivo» - lett. J) - «prezzo troppo elevato» - lett. I) -, ove appunto si consideri che la discrezionalità insita in espressioni di tal fatta non involge le scelte legislative che ciascuno Stato dovrebbe approntare ma riguarda piuttosto l'ordinaria attività interpretativa demandata all'autorità che deve applicare tali principi.
Può dunque a ragione ritenersi che il legislatore comunitario, nel caso di cui si discute, non ha inteso demandare alle legislazioni nazionali l'individuazione delle condizioni che importano la non vincolatività, lo squilibrio negoziale e la contrarietà a buona fede, ma ha esso stesso inderogabilmente stabilito che la riconducibilità di una fattispecie al nucleo specificato nella direttiva dovesse determinare taluni imprescindibili effetti a cui le legislazioni nazionali dovevano limitarsi a dare una veste giuridica compatibile con le discipline negoziali già in vigore, ove anche si consideri che la direttiva di cui si discute ha significativamente ed espressamente previsto, unitamente al termine per la trasposizione negli Stati membri, anche l'applicabilità delle disposizioni ai contratti stipulati dopo il 31 dicembre 1994, con ciò rendendo palese la compiutezza del compendio di norme introdotte e la loro idoneità a spiegare effetti immediati alla scadenza del 'termine concesso ai legislatori nazionali per l'attuazione.
Chiarito dunque che gli art. 1, 2, 3, 4 e 6, 1 ° comma, della direttiva 93/13 appaiono sufficientemente chiari e precisi così come le clausole contenute nell'elenco allegato alla direttiva, va dunque escluso che sia necessario un provvedimento specifico di attuazione da parte dei legislatori degli Stati membri per re~dere applicabili i precetti dagli stessi contenuti, di guisa che Il giudice nazionale può limitarsi ad accertare se una o più clausole di cui il consumatore assume l'abusività rientrino nell'alveo di quelle descritte dalla direttiva 93/13/Cee secondo il signific~to che alle stesse va attribuito, provvedendo ove del caso a disapplicare le disposizioni del diritto interno che siano contrastanti con i precetti comunitari.
Occorre a tal punto volgere l'attenzione alla questione, anch'essa preliminare rispetto all'esame delle domande spiegate dal Romano, dell'opponibilità da parte del consumatore delle disposizioni della direttiva di cui si discute all'Enel, assumendo l'attore che tale ente rientrerebbe fra quelli che la Corte di giustizia ha riconosciuto essere destinatari diretti di una direttiva self-executing non recepita e sostenendo per converso l'Enel che la natura privatistica della società per azioni in cui è stato normativamente trasformato l'Ente nazionale per l'energia elettrica impedirebbe una simile evenienza.
Già si è avuto modo di rilevare che la Corte di giustizia (sent. Becker, 19 gennaio 1982, cit.), muovendo da un'interpretazione sostanzialistica dell'art. 189 del trattato Cee, ha riconosciuto che il singolo potesse fare valere direttamente dinanzi al giudice nazionale la posizione giuridica soggettiva riconosciuta dalla direttiva comunitaria self-executing soltanto nei confronti dello Stato (c.d. efficacia verticale), ciò al dichiarato fine di ovviare alle negligenze e ai ritardi degli Stati membri nell'adempimento puntuale degli obblighi imposti dalla direttiva e di impedire che gli stessi potessero applicare le normative interne non conformi alle direttive non trasposte (c.d. teoria dell' estopped).
Quanto invece alla possibilità dell'efficacia immediata della direttiva nei rapporti interprivati (c.d. efficacia orizzontale) la stessa corte, a partire dalla sentenza Marshall (resa il 26 febbraio 1986, causa 152/84, id., Rep. 1986, voce cit., n. 204), ha affermato che la direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e che la stessa non può quindi essere azionata nei confronti dello stesso, potendo la Comunità emanare norme efficaci tra privati solo mediante regolamenti (v. anche Corte giust. 14 luglio 1994, cit.).
Tale indirizzo è stato recentemente condiviso anche dalla Corte di cassazione che, limitandosi peraltro a fare espresso riferimento all'immediata rilevanza delle pronunzie interpretative della Corte di giustizia ed ai principi dalla stessa espressi, ha escluso che nei rapporti interprivati possano avere efficacia le disposizioni della direttiva 85/577/Cee in tema di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, adeguandosi a quanto già la Corte di giustizia aveva ritenuto in via interpretativa (v. Cass. 27 febbraio 1995, n. 2275, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1031).
Va peraltro aggiunto che autorevoli indirizzi dottrinali e una giurisprudenza di merito allo stato minoritaria (v., ad esempio, Trib. Milano 7 settembre 1995, Banca, borsa, ecc., 1996, II, 659, proprio sul tema della direttiva 93/13/Cee) appaiono orientati a superare la tradizionale ripartizione operata dalla Corte di giustizia e ad ammettere l'efficacia. orizzontale anche al fine di eliminare l'ingiustificata discriminazione che verrebbe a prodursi nei confronti dei soggetti i quali, pur trovandosi nelle medesime condizioni sostanziali di coloro che si avvalgono della direttiva nei confronti dello Stato, non possono giovarsi di una simile tutela sol perché il soggetto destinatario non coincida con lo Stato di appartenenza.
Né possono sottacersi le critiche mosse da chi assume che il «dogma dell'inefficacia orizzontale» sembra destinato inevitabilmente a cadere allorché le legislazioni degli Stati membri si indirizzano al «mercato unico» nel quale l'esigenza primaria è appunto quella di applicare in maniera: uniforme la regola comunitaria anche nei rapporti di scambio.
Ad ogni buon fine, mette conto ricordare che pur non risultando i superiori indirizzi dottrinali in linea con gli orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia e della Corte di cassazione che questo collegio non intende disattendere, gli stessi agevolano comunque e costituiscono anzi la chiave di lettura della giurisprudenza comunitaria che, successivamente al caso Marshall, ha precisato la nozione di «effetto diretto verticale», ampliando il novero dei soggetti che all'interno dello Stato sono diretti destinatari delle direttive self-executing.
È stata in particolare riconosciuta l'invocabilità della direttiva nei confronti di autorità incaricate di mantenere l'ordine pubblico anche se indipendenti dallo Stato (sent. 15 maggio 1986, Jonstom, causa 222/84), mentre con la sentenza Costanzo (22 giugno 1989, causa 103/88, Foro it., 1991, IV, 129) la corte ha affermato il principio che gli obblighi derivanti da una direttiva self-executing valgono per tutte le autorità degli Stati membri ed in particolare per tutti gli organi dell'amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali come, i comuni.
Tale linea interpretativa, pure condivisa dalla Corte costituzionale che ha avuto modo di affermare che
tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi, tanto se dotati del potere
di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi, sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili (v. Corte cost. 4 luglio 1989, n. 389, id., Rep. 1989, voce cit., n. 283) ha raggiunto il suo apice con la sentenza Foster (12 luglio 1990, causa 188/89, id., Rep. 1991, voce cit., n. 423) in cui la Corte di giustizia ha affermato l'operatività della direttiva self-executing nei confronti di ogni «organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest'ultima, un servizio di interesse pubblico e che dispone a questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli».
Ed invero, nel precedente surricordato, che merita particolare attenzione poiché dallo stesso l'attore trae ragioni, a suo dire inoppugnabili, per ritenere opponibile all'Enel le disposizioni della direttiva 93/13/Cee, la corte si trovò ad affrontare il caso di due lavoratrici della British Gas Corporation, ente pubblico esercente in regime di monopolio il sistema di distribuzione del gas, che erano state collocate a riposo al compimento del sessantesimo anno di età conformemente ad una prassi che consisteva nel collocare in pensione i dipendenti allorché raggiungevano l'età alla quale maturavano il diritto alla pensione di Stato, età che nel Regno unito era di sessanta anni per le donne e di sessantacinque anni per gli uomini.
Ora, muovendo dalla circostanza che tale condotta contrastava con l'art. 5 della direttiva 76/207/Cee sul principio della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di accesso al lavoro non recepita da quello Stato membro, la Corte di giustizia affermò il principio surricordato in ordine alla vincolatività della direttiva anche nei confronti dell'ente datore di lavoro che all'epoca dei fatti lamentati dalle lavoratrici era una persona giuridica pubblica istituita dallo Stato e che solo successivamente era stato privatizzato.
È quindi necessario ripercorrere i principali dati normativi che hanno portato alla c.d. privatizzazione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica istituito con l. n. 1643 del 6 dicembre 1962 al fine di acclarare se il principio divisato dalla Corte di giustizia possa spiegare effetti rilevanti nel caso di specie - avendo cura di precisare fin dall'inizio che il contratto di somministrazione per cui è causa, diversamente dalla fattispecie esaminata dalla corte, fu concluso dal Romano quando l'ente pubblico economico Enel era già stato trasformato in società per azioni.
Giova in proposito ricordare che il d.l. Il luglio 1992 n. 333, poi convertito nella l. 8 agosto 1992 n. 359 ha fra l'altro previsto la trasformazione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica Enel - unitamente all'Iri, all'Eni e all'Ina - in società per azioni (art. 14, lO comma, e 15, lO comma), il trasferimento a titolo di concessione allo stesso ente di tutte le attività ed i diritti attribuiti o riservati per legge o con atti amministrativi all'ente pregresso in virtù della nazionalizzazione del settore elettrico a suo tempo disposta con la l. 6 dicembre 1962 n. 1643, le attribuzioni alle società trasformate in materia di dichiarazione di pubblica utilità e di necessità ed urgenza già spettanti agli enti originari (art. 14, comma 4' bis, d.l. cit. aggiunto in seguito alla conversione in legge), il conferimento al ministero del tesoro del capitale sociale e l'esercizio dei diritti dell'azionista da parte del detto ministero d'intesa con il ministro del bilancio, dell'industria e delle partecipazioni statali (art. 15, 30 comma, nel testo modificato in sede di conversione).
Va poi aggiunto che ancor prima della trasformazione in s.p.a. degli enti pubblici anzidetti era stato introdotto nell'ordinamento interno un compendio di norme - con il d.l. 31 maggio 1994 n. 332, conv. nella I. 30 luglio 1994 n. 474 - che nell'ambito del processo di dismissione delle partecipazioni dello Stato in società per azioni aveva riconosciuto al ministero del tesoro taluni poteri speciali tesi non solo a limitare la possibilità di acquisizioni libere da parte dei privati delle quote azionarie delle società trasformate (art. 2 d.l. cit.), ma anche a influire sull'attività dell'ente (art. 2, lett. c, d.l. cit.) e ad incidere significativamente sul contenuto delle norme dello statuto societario (art. 3 e 4 d.l. cit.) nonché sulle modalità di svolgimento delle assemblee societarie (art. 5 d.l. cit.).
Nel quadro di riorganizzazione dei servizi di pubblica utilità è stata poi introdotta la l. 14 novembre 1995 n. 481 che ha istituito, per quel che qui importa, l'autorità per l'energia elettrica e il gas - ad essa trasferendo le funzioni in materia di energia elettrica attribuite dall'art. 5, 20 comma, lett. b), d.p.r. 20 aprile 1994 n. 373 al ministero dell'industria che era a sua volta subentrato alle funzioni svolte dal soppresso comitato interministeriale prezzi - riconoscendole un complesso di penetranti controlli sull'attività dell'Enel nell'ambito dei quali detta autorità può ordinare la cessazione dei comportamenti lesivi dei diritti degli utenti imponendo l'obbligo di corresponsione di un indennizzo (art. 2, 20° comma, lett. d) proporre la modifica delle clausole delle concessioni e delle convenzioni e delle condizioni di svolgimento dei servizi (art. 2, 12° comma, lett. d), verificare i costi delle singole prestazioni, controllare lo svolgimento dei servizi con poteri di ispezione (art. 2, 12° comma, lett. g), valutare i reclami degli utenti e dei consumatori (art. 2, 12° comma, lett. m) proporre al ministro competente la sospensione o la decadenza della concessione (art. 2, 12° comma, lett. o), irrogare sanzioni amministrative pecuniarie in caso di inosservanza dei propri provvedimenti da parte dei soggetti esercenti il servizio (art. 2, 20° comma, letto c).
Il ministero dell'industria e del commercio ha quindi stipulato con l'Enel s.p.a. la convenzione accessiva al trasferimento in concessione delle attività di importazione, esportazione, produzione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell'energia elettrica, nella quale si ribadisce che il pubblico servizio di fornitura è svolto dall' ente concessionario per il perseguimento dei fini di utilità generale di cui all'art. 1, 3° comma, I. 6 dicembre 1962 n. 1643 nonché delle finalità specificate nell'art. l I. 14 novembre 1995 n. 481 e sotto l'osservanza delle direttive impartite dall'amministrazione e dall' Autorità per l'energia elettrica: v. d.m. 28 dicembre 1995 concernente l'attribuzione all'Enel s.p.a. della concessione delle attività per l'esercizio del pubblico servizio dell'energia elettrica ne! territorio nazionale (in suppl. G.U. 16 febbraio 1996, n. 39).
In tale convenzione è stato ulteriormente ribadito che lo svolgimento dei servizi all'utenza è soggetto ai poteri di controllo, di intervento, di verifica e sanzionatori dell'autorità per l'energia in conformità a quanto previsto dall'art. 2, 12° comma, lett. c), d), g), h), m), n), p), e 20° comma, I. 481195 già sopra ricordati (art. 20 conv.) nonché alla vigilanza dell'amministrazione - id est ministero concedente - che può adottare provvedimento di sospensione, revoca o decadenza della concessione (art. 23 e 24 conv.).
Quanto alle condizioni di fornitura e di contratto è stata prevista la facoltà della società Enel, in conformità alle procedure di cui all'art. 3, 4° comma, I. 481195 - norma quest'ultima che consente al soggetto esercente il servizio di proporre annualmente all'autorità per l'energia l'aggiornamento delle tariffe e l'automatico aggiornamento in caso di mancata verifica della proposta da parte dell'autorità entro il temine di quarantacinque giorni -, di proporre all'autorità nuove tariffe e trattamenti particolari connessi a controprestazioni dell' utenza o ad altre esigenze di carattere generale (art. 28, 2° comma, conv.). Viene infine chiarito che le condizioni generali di contratto applicabili all'utenza servita dalla società in vigore possono essere modificate in base alle proposte dell'autorità dell'energia (omissis).
Orbene, dopo avere ricordato che il ministero del tesoro è attualmente titolare di una quota pari al cento per cento del capitale dell'Enel s.p.a. che continua a svolgere in regime di monopolio il servizio di distribuzione dell'energia elettrica va quindi accertato se la configurazione societaria dell'ente convenuto lo faccia rientrare fra gli «organismi che indipendentemente dalla loro forma giuridica, sono stati incaricati, con atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest'ultima, un servizio di interesse pubblico e che dispongano a questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli».
Ora, non v'è dubbio che l'Enel s.p.a., proprio alla stregua dei tratti caratteristici dianzi evidenziati, risponde alle caratteristiche minimali che consentono di ritenerlo assimilabile agli enti pubblici e come tale deve ritenersi destinatario diretto dei precetti comunitari.
Va infatti evidenziato che la politica di dismissione che sta caratterizzando. da circa un quinquennio l'ordinamento interno e le modalità con le. quali la stessa è stata attuata non hanno nella sostanza prodotto significative differenze nella qualificazione del soggetto esercente il servizio pubblico di distribuzione dell'energia elettrica, bastando all'uopo rammentare,quanto già osservato dalla Corte costituzionale che,. chiamata in sede di conflitto di attribuzioni ad accertare se le società privatizzate dovessero sottostare al controllo della Corte dei conti sugli enti pubblici previsto dall'art. 12 L. 21 marzo 1958 n. 259, ha specificamente ritenuto che proprio la normazione sulle privatizzazioni ha di fatto stemperato la distinzione fra ente pubblico e società di diritto privato, conservando alle: società derivate connotazioni proprie della loro originaria natura pubblicistica quali quelle che si collegano all'assunzione della veste di concessionarie necessarie delle attività degli enti. originari ed alle attribuzioni in materia di. dichiarazione di pubblica utilità (art. 14 d.l. 333/92, cit.) (v. Corte cost. 28 dicembre 1993, n. 466, id., 1994, I; 325).
Né può seriamente disconoscersi che l'attività di esercizio di un servizio pubblico essenziale in forma di monopolio e il complesso di vincoli cui risulta sottoposta la società privatizzata Enel - già sopra - ampiamente evidenziato a proposito del capitale sociale, dei poteri speciali e dei quorum deliberativi - consentono di sussumere l'ente anzidetto nell' alveo della figura di impresa pubblica emersa proprio nella normativa comunitaria.
Valga in proposito rammentare che già la direttiva Cee 26 luglio 1971 n. 305 ha individuato la nozione di «organismo di diritto pubblico» alludendo a quell'ente istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale e che con la direttiva Cee n. 723 del 25 giugno 1980, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie con gli Stati membri, è stata definita come pubblica «ogni impresa sulla quale i poteri pubblici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante in ragione della proprietà, della partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina», poi chiarendo che «l'influenza dominante è presunta quando i pubblici poteri, direttamente o indirettamente, detengono la maggior parte del capitale sottoscritto dall'impresa, dispongono della maggioranza dei voti attribuiti alle quote emesse dall'impresa o possono disegnare più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell'impresa» (v. art. 2 dir. cit.).
Ora, se appare evidente che lo sviluppo a livello comunitario della figura di impresa pubblica nasce volutamente in contrapposizione alla ormai edulcorata partizione fra ente pubblico ed ente privato e mira piuttosto a cogliere, indipendentemente dagli strumenti, autoritativi o paritetici, prescelti dal legislatore, la funzionalizzazione dell'attività dell'ente al perseguimento di un interesse pubblico, non è men vero che tali principi non sono estranei all'esperienza giuridica italiana, bastando in proposito ricordare che proprio con riferimento alla procedura di appalti nei settori esclusi il legislatore nazionale, nel dare attuazione alle direttive 90/5311Cee e 93/38/Cee, ha recepito la nozione di impresa pubblica nell'identica accezione avanti ricordata (art. 2, 1 ° comma, lett. b, e 2° comma) peraltro qualificando come soggetti privati che si avvalgono di diritti speciali o esclusivi coloro che abbiano la potestà di avvalersi di procedure espropriative o di imposizione di servitù nella gestione di reti per la fornitura del servizio di energia elettrica (v. pure l'art. 8 L. 287/90 che estende alle «imprese», equiparando in tale espressione quelle private, pubbliche ed a partecipazione statale, i vincoli alla libertà di impresa discendenti dal diritto della concorrenza).
Ed è particolarmente significativo che proprio la direttiva 93/13/Cee di cui qui si discute, riconducendo alla figura del professionista l'esercente un'attività professionale pubblica o privata (art. 2, lett. c), ha inteso superare la nozione soggettiva di persona giuridica pubblica ed estendere il suo ambito anche all'attività da considerare «pubblica» in quanto sottoposta" ad un regime speciale.
Né può disconoscersi che nell'ordinamento interno è in atto un profondo mutamento del concetto di «atto amministrativo» e degli stessi principi cardine del diritto «pubblico», ove si consideri che accanto al ricorso sempre più generalizzato alla figura dei moduli convenzionali (omissis), alla privatizzazione del pubblico impiego, con i conseguenti risvolti in sede di tute!a giurisdizionale, e al superamento, de iure condendo, della tradizionale concezione autoritativa dell'agire amministrativo - si pensi al progetto di modifica della Costituzione attualmente in discussione alle camere ed all'art. 106 del testo proposto dalla commissione bicamerale a tenore del quale «Le pubbliche amministrazioni, salvo i casi previsti dalla legge per ragioni di interesse pubblico, agiscono in base alle norme di diritto privato» -emerge con sempre maggiore vigore la figura dell'atto «oggettivamente» amministrativo inteso come manifestazione volitiva proveniente da soggetto che non fa parte della pubblica amministrazione ma che da questa è investito dello svolgimento di una pubblica funzione (v., in proposito, Tar Lazio, sez. III, 27 gennaio 1995, id., Rep. 1995, voce Energia Elettrica, n. 18, secondo cui la trasformazione dell'Enel in società per azioni non ha determinato il venire meno dei poteri pubblicistici che al soggetto competevano nel settore elettrico, proprio in relazione alla fonte concessoria da cui gli stessi traggono origine).
E non v'è dubbio che le scelte di indirizzo politico-istituzionale adottate dal legislatore verso la privatizzazione degli enti pubblici, oltre a mostrare la consapevolezza di una ineludibilità dell'intervento pubblico all'interno di sfere sempre più vaste di interessi, mettono in chiara evidenza il radicale mutamento di prospettiva nel perseguimento dei fIni pubblici attuato non più attraverso meccanismi necessariamente autoritativi ma piuttosto mediante l'utilizzazione di soggetti che formalmente sottratti alla sfera pubblicistica sono per ciò stesso sottoposti ad una regolamentazione «speciale» che connota il loro agire.
Del resto, non è chi non veda che con la «privatizzazione» dell'originaria struttura pubblica lo Stato persegue vieppiù le sue finalità primarie. avvalendosi non di organismi autonomi costituiti all'interno dello Stato medesimo o comunque facenti parte della sua struttura periferica, ma piuttosto di entità in cui alla sua posizione di azionista unico lo stesso affianca un regime giuridico differenziato e «speciale» rispetto alle entificazioni che non mirano a perseguire finalità pubbliche.
Tirando le fila di quanto si è andato dicendo e tornando all'esame della fattispecie per cui è causa, può quindi concludersi,
che la struttura privatistica che un ordinamento, nell'ambito della discrezionalità delle sue scelte legislative, ritiene di approntare ad un determinato organismo - nella specie l'Enel - perché questi persegua in regime di monopolio finalità di interesse generale - fra le quali è certamente annoverabile la distribuzione di energia elettrica -, in stretta sintonia con l'amministrazione. pubblica e nell'ambito di poteri speciali a quest'ultima conferiti giustifica l'opponibilità immediata all'ente medesimo degli obblighi nascenti dalla direttiva 93/13/Cee.
Non colgono allora nel segno le prospettazioni difensive dell'ente convenuto laddove intenderebbero riconnettere alla natura privatistica della società in cui è stato trasformato l'ente originario l'impossibilità di assimilare la nuova struttura allo Stato, ove si consideri che così opinando lo Stato medesimo, trasferendo le proprie funzioni ad enti privati sui quali mantiene un'influenza dominante nel senso dianzi specificato, potrebbe agevolmente eludere l'obbligo di dare attuazione alle direttive sancito in termini generali dal trattato Cee e così vanificare la finalità perseguita attraverso il meccanismo dell'efficacia verticale della direttiva self-executing.
Del resto, appare utile sottolineare che il principio della tutela del consumatore, inteso quale base delle attività istituzionali «comuni», è andato assumendo all'interno dell'ordinamento comunitario un ruolo sempre più dominante (v., tra le altre, Corte giust. 7 marzo 1990, causa 362/88, id., 1992, IV, 105), come è reso palese non soltanto dal cospicuo numero di direttive emesse in materia e già sopra ricordate, ma anche dal riconoscimento di un livello di protezione elevato per i consumatori che la commissione deve perseguire nella sua attività propositiva (v. art. 18 l. 23 dicembre 1986 n. 909 che ha dato esecuzione all'atto unico europeo del 17 febbraio 1986 ed inserito in particolare l'art. 100 A del trattato) e dall'introduzione nel trattato degli art. 3, lett. s), e 129 A concernenti specificamente la politica di difesa dei consumatori.
Da ciò consegue che il recepimento di una nozione riduttiva dell'ente assimilabile allo Stato fInirebbe con lo svilire la portata stessa dei principi che il legislatore comunitario ha invece. voluto adottare in un'ottica sempre più tesa al perseguimento del «mercato unico».
Né miglior pregio sembra avere l'asserzione, pure propalata dalla difesa della convenuta, secondo cui l'Enel, nei suoi rapporti con l'utenza, agisce come qualunque altro privato imprenditore che ricorra all'uso di condizioni generali di contratto e che lo stesso non gode di alcun speciale potere di supremazia al quale la sentenza Foster riconnetterebbe necessariamente l'applicabilità immediata di una direttiva self-executing, valendo in proposito due distinti ordini di considerazioni.
Mette conto anzitutto rilevare che se è vero che il rapporto di somministrazione di energia elettrica concluso con l'utente è generalmente connotato in termini di. pariteticità fra i contraenti, non può negarsi che la prospettazione della società convenuta è espressamente contraddetta dalla facoltà, riconosciuta all'Enel, di proporre. all'autorità per l'energia elettrica l'aggiornamento delle tariffe (v;' art. 28, 2° comma., convenzione stipulata con il ministero dell'industria, cit.) e dalla possibilità che tale proposta venga integralmente o parzialmente accolta dall'autorità, il cui silenzio prolungato per oltre quarantacinque giorni dalla richiesta determina l'accoglimento integrale dell'aggiornamento richiesto (art. 3, 4° comma, l. 481/95, cit.).
Ora, si è che siffatta evenienza, imponendo all'utente di sottostare ad un potere unilaterale riconosciuto al somministrante dal quale può scaturire una modifica significativa della controprestazione alla quale l'utente stesso resta del tutto estraneo, è in assoluta antitesi con i principi consensualistici - contrattualistici vigenti per le contrattazioni ordinarie ed eccede sicuramente i limiti dei poteri risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti interprivati.
Ma, indipendentemente dalle superiori già troncanti considerazioni, è opportuno precisare che la lettura della sentenza Foster fornita dall'ente convenuto - e il richiamo al presupposto della ricorrenza di poteri speciali «nel rapporto» in cui è parte l'ente che svolge servizi pubblici - non può essere comunque condivisa nei termini in cui la stessa è propugnata per un'altra assorbente considerazione.
Ed invero, se in termini generali non può dubitarsi che lo strumento negoziale si pone in. netta antitesi. con la possibilità che il predisponente eserciti, nel rapporto, potestà non riconducibili al contenuto negoziale e che deve quindi escludersi in radice - o ritenersi assolutamente residuale - la possibilità che lo Stato goda di poteri di supremazia nelle contrattazioni in cui agisce nell'ambito della sua capacità di diritto privato, ciò peraltro non è ostativo al fatto che allo Stato medesimo - o
ad altro ente a questo assimilabile disciplinato nel suo agire da un compendio di norme che tengono nel dovuto conto le finalità primarie perseguite, siano opposte le posizioni giuridiche soggettive costituite dalla direttiva 93/13/Cee ancorché questi assuma, all'interno di un rapporto negoziale paritetico concluso con iL privato,. la veste di imprenditore-professionista.
Ed infatti, proprio sul presupposto di tale base argomentativa, i giudici comunitari hanno riconosciuto, nel caso Marshall, che la direttiva self-executing può essere applicata nei confronti dello Stato indipendentemente dalla qualità nella quale questo agisce come datore di lavoro o come pubblica autorità», in tal modo rendendo palese che non è l'esistenza di poteri «speciali» nel rapporto in contestazione a consentire l'immediata effIcacia della direttiva non trasposta, ma piuttosto la sussumibilità dell'ente - Stato o istituzione a questo assimilabile - nell'alveo di organismi finalizzati al perseguimento di interessi della collettività che per tale motivo sono regolati da «diritti speciali»e sottoposti - ove si tratti di enti assimilati - a penetranti controlli nell'esercizio delle loro attività.Ed allora, sulla base di tali premesse, può quindi inferirsi che il requisito dei diritti speciali ed esclusivi richiesto per l'immediata effIcacia della direttiva self-executing, riguardando la complessiva sfera di attribuzioni di cui gode l'ente assimilabile all'ente pubblico, è pienamente riscontrabile nel caso dell'Enel
s.p.a. già alla stregua del ricordato art. 14, comma 4 bis, L. 359/92 (v., di recente, Tar Lombardia, sez. Milano 24 giugno 1996, n. 848 che nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale ultima disposizione nella parte in cui conserva le attribuzioni in materia espropriativa agli enti pubblici trasformati in s.p.a., ha ribadito che l'interesse generale possa essere perseguito da enti privati che perseguono un interesse pubblico).
Alla stregua delle superiori argomentazioni, vieppiù suffragate dal decreto del presidente del consiglio dei ministri del 18 settembre 1995 (in G.U. 23 settembre 1995, n. 223), concernente la bozza generale di riferimento della «carta dei servizi del settore elettrico» ove la massima autorità governativa nazionale ritenne di operare un espresso riferimento, già prima dell'attuazione interna della direttiva in argomento, ai «diritti degli utenti del servizio di fornitura di energia elettrica in bassa tenSione per usi civili, ciò per gli usi definiti nella direttiva 93/13 relativa alle clausole nei contratti stipulati con i consumatori», con ciò palesando in modo incontrovertibile la consapevolezza che la direttiva anzidetta fosse già pienamente operativa anche nei confronti dell'Enel, ritiene il tribunale che gli art. 1, 2, 3, 4 e 6, 10 comma, della direttiva siano direttamente applicabili alla società convenuta fin dall'epoca in cui lo Stato italiano non ha dato attuazione alla normativa comunitaria (1 ° gennaio 1995).
Non è a tal punto superfluo rammentare che l'immediata efficacia della direttiva 93/13/Cee esime il tribunale dall'esaminare la questione dell'applicabilità della l. 6 febbraio 1996 n. 52 di attuazione della direttiva 93/13/Cee, entrata in vigore medio tempore, ai contratti stipulati successivamente al 31 dicembre 1994 e non ancora esauriti - questione che andrebbe risolta in senso positivo sulla scorta del principio che la legge nuova può essere applicata ai fatti ed alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbono essere presi in considerazione per se stessi, prescindendosi dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che attraverso tale applicazione sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore - ma al contempo non elude né l'efficacia immediatamente precettiva della direttiva di cui si è detto né il carattere sovraordinato della fonte comunitaria anche al fine di una corretta interpretazione della norma interna, avendo anzi il pregio di qualificare in termini giuridici, attraverso il richiamo alla figura dell'inefficacia nei confronti del solo consumatore rileva bile anche d'ufficio, l'effetto connesso alla vessatorietà delle clausole abusive (art. 1469 quinquies, 10 e 30 comma, c.c.).
È necessario allora passare all'esame delle clausole contenute nelle condizioni generali e particolari del contratto di somministrazione di energia elettrica di cui è parte l'odierno attore, avendo quest'ultimo contestato l'abusività - peraltro, rilevabile d'ufficio - di tutte le pattuizioni contenute nel modulo predisposto dall'Enel e non solo di quelle approvate specificamente per iscritto in base all'art. 1341, 20 comma, c.c. (vedasi, a tal proposito pago 6 della citazione e le conclusioni ivi specificate).
Fatte le superiori premesse, occorre accertare se il contratto di somministrazione di energia elettrica stipulato dall'attore con l'Enel rientri fra quelli per i quali la direttiva 93/13/Cee prima e la legge di attuazione 52/96 prevede un controllo di vessatorietà;
Ciò posto, rileva il tribunale che nel caso di specie ricorrono le condizioni oggettive (art. 1469 bis, 10 comma, c.c.) e soggettive (art. 1469 bis, 20 comma, c.c.), richieste per l'operatività della direttiva 93/13/Cee e della legge di attuazione 52/96, bastando all'uopo evidenziare che il Romano, ancorché"segretario nazionale di una nota associazione di consumatori, ha agito nella conclusione del contratto come singolo che intende fruire dell'energia elettrica per un alloggio privato (e quindi per uso domestico), non spendendo in alcun modo la qualità di legale rappresentante dell'associazione anzidetta né agendo per «fini» o «scopi» diversi e che l'Enel, esercente in forma esclusiva l'attivitàdi distribuzione dell'energia elettrica, ha agito nel quadro della sua attività pubblica imprenditoriale.
Non può allora porsi in dubbio che l'attore abbia rivestito nel rapporto la qualità di consumatore nel senso che a tale dizione attribuiscono l'art. 2, letto b), della direttiva e l'art. 1469 bis, 20 comma, c.c. - norma quest'ultima che nell'escludere i contratti stipulati dalla persona che agisce per scopi estranei oltre che all'attività professionale anche a quella imprenditoriale ha inteso chiarire la portata del precetto comunitario a livello interno - e che l'Enel abbia stipulato il contratto in qualità di professionista, perseguendo nell'espletamento del servizio l'interesse ad una gestione economica della propria attività.
Quanto alla natura del rapporto in oggetto, è sufficiente evidenziare che il contratto di somministrazione di energia elettrica rientra, per comune opinione, nell'ambito dei «contratti di utenza» riferendosi tale accezione, secondo la definizione proposta da autorevole dottrina, a quelle situazioni in cui a fronte dell' erogazione di cose o servizi un ente pubblico o una società privata costituita da enti pubblici o a prevalente capitale pubblico o concessionaria di un servizio pubblico opera sul mercato, in regime di monopolio o di concorrenza, ed offre in generale al pubblico dei consumatori cose o servizi che sono da intendersi essenziali per la vita umana.
Orbene, è opinione comune che siffatti contratti, nell' ambito dei quali il somministrante non esercita, generalmente, alcun potere di supremazia (salvo quanto già si è avuto modo di osservare proprio a proposito del potere di attivare la modifica della tariffa riconosciuto all'Enel), sono regolamentati dalla disciplina civilistica e soggiacciono alla disciplina della direttiva 93/13/Cee.
Tale affermazione di principio deve essere peraltro coniugata con la considerazione, anch'essa avente portata generale, che proprio la diffusione capillare del sistema di distribuzione dell'energia elettrica, il numero elevato di contratti di utenza e il regime di monopolio in cui agisce il somministrante, dal quale deriva l'obbligo del gestore di contrattare con chiunque faccia richiesta del servizio, impongono che il vaglio di vessatorietà delle clausole che l'interprete è chiamato a compiere venga necessariamente ed opportunamente correlato alla peculiare natura del rapporto, all’oggetto della prestazione ed alla comprese di esigenze pubbliche e private che, nel rapporto devo necessariamente trovare un equo bilanciamento.
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Da ciò consegue, come logico corollario di quanto si è andato affermando, che il controllo di vessatorietà deve tender, contemperare i principi - già vigenti nell'ordinamento - di eguaglianza ed equità propri dei contratti conclusi con il monopolista di un servizio pubblico con quelli, altrettanto imprescindibili, connessi alla gestione imprenditoriale di un servizio vizio indirizzato a diversi milioni di utenti.
Non è infine superfluo aggiungere che, diversamente da quanto opinato seppure in termini dubitativi dall'attore nell'atto introduttivo, la disciplina delle condizioni particolari e generali del contratto di somministrazione di energia elettrica non trae origine da norme regolamentari come invece avviene in altri settori dei pubblici servizi - fra i quali è sufficiente rammentare quellitelefonici, postali, ferroviari ed idrici - ma piuttosto, salve le prescrizioni che di seguito si faranno a proposito del prezzo dell'energia, da una regolamentazione autonoma dell'ente erogatore sicché nemmeno può porsi la questione, ancora dibattuta, della sottoponibilità al vaglio di vessatorietà delle clausole, che riproducono «regolamenti imperativi» secondo la dizione contenuta nell'art. 7 della direttiva comunitaria non riproposta, in sede di attuazione nell'art. 1469 ter, 30 comma, c.c.
Fatte le superiori precisazioni, non resta che passare all'esame delle clausole che l'attore assume essere abusive con la sola: precisazione che i moduli impiegati dall'Enel per la stipula dei contratti di somministrazione di energia elettrica distinguono le «condizioni particolari», variabili in relazione alla tipologia dell'utente che ne è parte, nelle quali si regolamentano prevalentemente le caratteristiche della fornitura, dalle «condizioni generali» che, valevoli per tutte le categorie di utenti, attengono alla predeterminazione del contenuto del rapporto.
Peraltro, la distinzione termino logica utilizzata dal predisponente non incide sulla natura delle pattuizioni contenute nelle condizioni particolari e in quelle generali, potendo con certezza".
affermarsi che tutte le clausole ivi contenute sono funzionali ad una disciplina uniforme dei rapporti di somministrazione al cui non partecipa l'utente e come tali vanno sottoposte nella loro integralità al vaglio di abusività.
Né tale controllo giudizi aIe può ritenersi superfluo in relazione al controllo amministrativo operato dall'autorità per l'energia elettrica - di cui già si è dato conto - anche sul contenuto delle condizioni generali, sullo svolgimento del rapporto, sul rispetto di soglie minime di qualità del servizio, muovendosi lo stesso in un' ottica diversa da quella imposta dalla direttiva ove viene data prevalenza, seppur con i bilanciamenti del caso, alla posizione del consumatore.
Occorre dunque partire dall' analisi della clausola n. 2 delle condizioni particolari, contenendo le clausole nn. 1, 3, 4, 5 e 7 l'individuazione di aspetti tecnici della fornitura che non assumono rilievo alcuno ai fini del giudizio.
Clausola 2: «Decorrenza: dalla data di allacciamento. Scadenza: dal termine del mese/anno indicati al punto c). Proroga annuale salvo disdetta con raccomandata un mese prima di ogni; scadenza» .
La pattuizione, per quel che interessa, specifica che il contratto va a scadere al termine del mese ed anno indicati al punto c) - nella specie gennaio 1996 - e che la proroga tacita deve intendersi annuale salvo disdetta con raccomandata da inviare un mese prima di ogni scadenza.
Ora, premesso che non può applicarsi in parte qua il divieto di rinnovo tacito dei contratti e la connessa nullità dei contratti stipulati in violazione del principio introdotto dall'art. 6 l. 24 dicembre 1993 n. 537 - poi modificato dall'art. 44 l. 724/94 poiché tale disposizione si riferisce espressamente e tassativamente alle amministrazioni pubbliche individuate alla stregua dell'art.
1,20 comma, d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, è necessario accertare se la pattuizione anzidetta integri il contenuto della letto h) dell'elenco annesso alla direttiva - prorogare automaticamente un con tratto di durata determinata in assenza di manifestazione contraria del consumatore qualora sia stata fissata una data eccessivamente lontana dalla scadenza del contratto quale data limite per: esprimere la volontà del consumatore di non prorogare il contratto e la previsione dell'art. 1469 bis, 30 comma, n. 9.
Giova premettere che la finalità della norma posta a tutela, del consumatore è quella di impedire che quest'ultimo decada dal potere di disdetta prima ancora di avere ponderato l'opportunità di prorogare il rapporto, di guisa che si presume abusiva quella clausola in cui il termine previsto per la comunicazione della disdetta risulti eccessivamente anticipato rispetto alla naturale scadenza.
Orbene, nel caso di specie la clausola negoziale, riconducendo il potere di disdetta al termine di trenta giorni anteriori alla scadenza appare congruo, anche in relazione all'oggetto del rapporto ed alla natura della prestazione offerta dal gestore, sicché deve escludersi che tale patto realizzi un significativo squilibrio negoziale in danno del consumatore, ove anche si ponga mente alla circostanza che la disciplina civilistica del contratto di somministrazione a tempo indeterminato - a cui è equiparabile la somministrazione a termine con proroga automatica - nel
prevedere che ciascuna delle parti possa recedere dal contratto dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o in mancanza in un termine congruo avuto riguardo alla natura della somministrazione (art. 1569 c.c.), consente di ritenere che lo spatium deliberandi concesso all'utente sia ragionevole.
Va solo aggiunto che la clausola anzidetta, non specificando che gli effetti della comunicazione si producano all'atto della ricezione della disdetta, non accolla all'utente il rischio connesso ad eventi allo stesso non imputabili. connessi al tempo trascorso dall'emissione della disdetta e che anche sotto tale profilo la stessa deve considerarsi non pregiudizievole delle ragioni del consumatore.
Clausola 6: «Tariffa. La tariffa applicata e il sovrapprezzo a favore della cassa conguaglio per il settore elettrico sono quelli previsti dai provvedimento Cip vigenti pro-tempore. La quota fissa mensile è dovuta per tutta la durata del contratto, indipendentemente dal prelievo di enèrgia. I corrispettivi tariffari sono al netto degli oneri e vari a carico dell'utente». .
Ritiene il collegio che l'etero-integrazione ex lege (art. 1339 c.c.) del rapporto operata attraverso il richiamo alla determinazione della:-tariffa da parte di un'autorità amministrativa terza rispetto alle parti - in atto autorità per l'energia elettrica ex art. 3 1. 481/95 - se per un verso impedisce di sottoporre la clausola ad un giudizio di squilibrio negoziale secondo la direttiva 93/13/Cee - peraltro escluso in via generale dall'arto 4 della direttiva secondo il quale «la valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell'oggetto principale del contratto né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio» - dall'altro non preclude all'utente la possibilità di esperire i rimedi giurisdizionali rispetto al provvedimento di determinazione illegittimo o in contrasto con i principi di equità sotto stanti alla gestione di un servizio pubblico in monopolio (cfr. art. 2, 12° comma, letto e, 3, 3° comma, e art. 2, 25° comma, 1. 481/95; vedasi, pure, Cass. 29 novembre 1978, n. 5613, id., Rep. 1978 voce Telefono, secondo cui la possibilità per il giudice ordinario di disapplicare l'atto amministrativo di determinazione di una tariffa di un servizio pubblico è limitata all'ipotesi in cui si affermi l'inesistenza dei presupposti essenziali per l'esercizio del potere).
Quanto alla seconda parte della clausola, relativa ai corrispettivi per l'impegno di potenza, l'esame deve essere compiuto allorché si parlerà della clausola n. Il delle condizioni generali di contratto.
Clausola l: Condizioni generali. «La fornitura è subordinata:
- all'ottenimento a cura dell'utente dal proprietario dell'immobile ove si effettuerà la fornitura, dei consensi all'esecuzione e al mantenimento degli impianti occorrenti che restano di proprietà dell'Enel s.p.a. e potranno utilizzarsi anche per terzi, nonché, se necessario, dell'uso di idoneo locale-cabina da utilizzare anche per forniture fuori dall'immobile: queste, se prevalenti, daranno luogo ad equo compenso per l'uso del locale;
- al versamento di quanto dovuto per contributo di allacciamento;
- all'ottenimento ed alla permanenza delle autorizzazioni e servitù --necessarie».
Il contenuto negoziale di siffatta disposizione, oltre a non eccellere per chiarezza, crea un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi dei contraenti nella parte in cui consente indiscriminatamente all'Enel di usufruire, anche per l'approvvigionamento di terzi estranei al rapporto, di locali e proprietà fondiarie dell'utente concedendo a quest'ultimo, ma solo se le forniture fuori dell'immobile sono prevalenti, il diritto ad un equo compenso.
Giova sul punto ricordare che tale patto traeva in parte giustificazione dal provvedimento Cip n. 42 del 1986 contenente le «norme in materia di contributi di allacciamento alle reti di distribuzione di energia elettrica» che al n. 2 del titolo I disponeva fra l'altro che da domanda di allacciamento per nuovi insediamenti deve contenere l'impegno a rendere disponibili locali o porzioni di terreno adeguati alla realizzazione delle cabine di trasformazione eventualmente occorrenti e che in tale evenienza l'impresa fornitrice era tenuta a corrispondere al proprietario un compenso commisurato al valore di mercato dei locali o dei terreni».
Ora, non può dubitarsi che la pattuizione in oggetto, oltre a discostarsi in maniera evidente dalla previsione del comitato interministeriale prezzi che riconnetteva all'uso tout eourt degli immobili dell'utente - e non alla prevalenza dell'utilizzo per forniture fuori dall'immobile - un compenso pari al valore di mercato dei cespiti - e non un equo compenso - determina comunque un'ingiustificata compressione della posizione del consumatore che per utilizzare l'energia elettrica si vede costretto a subire l'occupazione di un proprio cespite sulla base di una valutazione unilaterale e discrezionale dell'ente erogato re - «se necessario» - dalla quale pure dipende il riconoscimento di un «equo compenso» non agganciato al valore d'uso del bene e subordinato all'utilizzazione prevalente di altre forniture anch'essa dipendente da scelte unilaterali dell'ente erogatore.
Tale pattuizione, conclusivamente, determina un ingiustificato svantaggio a carico del consumatore e risulta per l'effetto vessatoria non solo in relazione all'art. 3 della direttiva 93/13 - e all'art. 1469 bis, l° comma, c.c. che lo ha trasposto nel
l'ordinamento interno - ma anche con riferimento alla letto
e) dell'allegato alla direttiva che presume l'abusività per quel patto che prevede un impegno definitivo del consumatore mentre l'esecuzione delle prestazioni del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà (poi trasposta fedelmente dall'art. 1469 bis, 3° comma, n. 4, c.c.).
La clausola anzi detta va dunque dichiarata inefficace nella parte in cui prevede il riconoscimento di un equo compenso per l'utilizzazione di locale cabile all'interno di beni di proprietà dell'utente solo nell'ipotesi di uso prevalente per forniture fuori dall'immobile.
Clausola n. 2: «L'utente versa un anticipo sul consumo commisurato all'entità della fornitura e periodicità di fatturazione, con conguaglio finale».
La clausola suddetta, prevedendo il versamento anticipato di un importo in denaro da parte dell'utente, non crea uno sbilanciamento del contratto in danno dell'utente, ove si consideri che il detto importo è soggetto a conguaglio finale e non è dunque destinato ad essere acquisito comunque dall'ente erogatore nell'ipotesi in cui i consumi non siano conformi a quelli presunti, giustificandosi piuttosto in relazione alla periodicità della somministrazione ed ai tempi tecnici necessari per la rilevazione e
fatturazione dei consumi. .
Non può dunque profilarsi la riconducibilità della clausola alla letto d) dell'elenco - e all'art. 1469 bis, 3° comma, n. 5, c.c. - che presume l'abusività del patto teso a permettere al professionista di trattenere somme versate dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o ne recede, ove si consideri che dal contenuto letterale della clausola in parola non è dato nemmeno inferire che la stessa consenta all'ente erogatore di trattenere le somme versate quale corrispettivo per le sue prestazioni non ancora fornite nell'ipotesi in cui lo stesso rescinda il rapporto.
Clausola 3: «Le fatture saranno pagate alla presentazione o con le modalità in esse indicate, nei cinque giorni successivi; quelle inviate per posta o altro mezzo, entro otto giorni dalla data di spedizione. Decorsi tali termini, l'Enel s.p.a., ferma la facoltà di sospendere la forni tura e risolvere il contratto, potrà addebitare gli interessi di mora del 7,5 annuo più eventuali aumenti del tasso ufficiale di sconto in vigore al 14 agosto 1969 oltre le maggiori spese. L'Enel s.p.a. può modificare in ogni momento la periodicità di fatturazione, i termini o le modalità di pagamento ed emettere fatture d'acconto. Eventuali reclami dell'utente non esimono dall'obbligo del pagamento».
La prima parte della norma negoziale indica i tempi, rispettivamente di cinque e di otto giorni a seconda delle modalità di invio, entro i quali l'utente deve onorare il pagamento delle fatture indicando come decorrenza per quelle inviate «per posta o altro mezzo» la data di spedizione. Al ritardo nel pagamento viene poi riconnessa la facoltà dell'Enel di addebitare gli interessi di mora, maggiorati degli aumenti del tasso ufficiale di sconto in vigore al 14 agosto 1969 e delle maggiori spese.
È quindi necessario acclarare con priorità se la previsione negoziale che riconduce al mancato rispetto dei tempi nel pagamento della fattura le gravi conseguenze derivanti dal ritardo - sospensione, risoluzione e addebito di somme - sia vessatoria.
Ritiene il collegio che la previsione di un brevissimo termine di adempimento correlato alla spedizione della fattura o all'inoltro con altro mezzo - che nemmeno consentirebbe di accertare l'epoca dell'invio - e non alla materiale ricezione della stessa aggrava in modo ingiustificabile la posizione contrattuale dell'utente, al quale per un ritardo che può a ragione ritenersi non patologico viene pure accollato il rischio dell'intempestività nella consegna della fattura addebitabile alla condotta di un terzo estraneo alla sfera di influenza dello stesso: id est al servizio di distribuzione adibito dall'ente erogatore o comunque al l'incaricato della distribuzione della posta.
E poiché la previsione negoziale omette peraltro ,di valutare qualsiasi controllo in ordine alla gravità dell'inadempimento conseguente al ritardo la stessa, integrando un grave pregiudizio ai diritti del consumatore, va considerata senz'altro abusiva.
Quanto al patto relativo agli addebiti in caso di ritardo, giova ricordare che se è vero, come già ricordato; che la direttiva comunitaria guarda all'assetto normativo del regolamento contrattule e non all'equilibrio economico fra le prestazioni principali del contratto, non è men vero che la stessa prende invece posizione in ordine allo squilibrio economico che potrebbe derivare al consumatore da una serie di condizioni disciplinanti gli aspetti secondari delle obbligazioni, connessi a spese, clausole penali ed oneri posti a carico della parte debole del rapporto.
Ed in tale ottica deve essere acclarato se detto patto sia vessatorio alla stregua della letto e) dell'elenco annesso alla direttiva che presume la vessatorietà delle clausole che impongono al consumatore che non adempie ai propri obblighi un indennizzo per un importo sproporzionatamente elevato o «manifestamente eccessivo», secondo l'accezione prescelta dal legislatore nazionale nell'art. 1469 bis, 3° comma, n. 6, c.c.
Ora, la determinazione di un saggio di interessi convenzionali appena superiore a quello vigente - pari al cinque per cento dopo la recente modifica all'art. 1284 c.c. - a cui deve aggiungersi un ulteriore importo correlato alle variazioni in aumento del tasso ufficiale di sconto vigente il 14 agosto 1969 - pari a quell'epoca al quattro per cento secondo l'art. 2 d.m. 14 agosto 1969 in G.U. 14 agosto 1969, n. 208 - contiene una liquidazione convenzionale del danno per il ritardo nel pagamento del debito dell'utente in parte determinata ed in parte determinabile per relationem che va assunta nella figura della clausola penale, ma che tuttavia non appare tale da mettere a repentaglio l'equilibrio negoziale in danno dell'utente, riconnettendo all'inadempimento del debitore un onere economico che può ritenersi «giusto» in relazione alla natura imprenditoriale dell'attività svolta dal somministrante, ove pure si consideri che il tasso ufficiale di sconto attuale ammonta. al 5,50 per cento secondo l'ultima determinazione disposta dal governatore della Banca d'Italia il 24 dicembre 1997,
Ritiene però il collegio che la pattuizione che consente all'Enel s.p.a. di addebitare all'utente, oltre alla quantificazione convenzionale del risarcimento di cui si è detto, anche le maggiori spese determina, in relazione all'ambiguità della sua formulazione, un irragionevole squilibrio negoziale in danno dell'attore, autorizzando il somministrante ad una determinazione unilaterale delle conseguenze dell'inadempimento collegata a parametri in alcun modo valutabili e verificabili dal Romano.
Mette infatti conto rilevare che la direttiva comunitaria e la legge che l'ha trasposta nell'ordinamento interno, muovendo dal presupposto che la mancanza di trasparenza impedisce la corretta formazione dell'accordo, hanno non soltanto univocamente ribadito l'obbligo del predisponente di formulare le clausole in modo chiaro e comprensibile (cfr. art. 4, 1 comma, dir. 93/13/Cee e art. 1469 quater, 10 comma, c.c.) ma anche ricondotto le clausole non chiare ad un vaglio di vessatorietà all'interno del quale l'interprete è chiamato ad accertare nella fattispecie concreta l'esistenza di un significativo squilibrio del contratto in danno del consumatore - qui utente - e la contrarietà del patto ai canoni di buona fede obiettiva.
Ne consegue che detta pattuizione, ponendosi in contrasto con l'art. 3, l° comma, della direttiva 93/13/Cee e con l'art. 1469 bis, 1° comma, c.c. deve ritenersi inefficace.
Va poi affermata. la vessatorietà della clausola che consente all'ente erogatore di modIfIcare la periodicità di fatturazione, i termini e le modalità di pagamento e di emettere fatture conto poiché la stessa autorizza il professionista a modificare unilateralmente, senza valido motivo, le condizioni del Con1 to (lett. j dell'allegato alla direttiva 93/13/Cee e art. 1469 bis 3° comma n. 11, c.c.).
In proposito, mette conto rilevare che la normativa comunitaria e quella di recepimento hanno inteso ridurre al minimo lo ius variandi che il professionista era solito garantirsi nell'ambito delle contrattazioni di massa e che si poneva in sostanzialmente in antitesi rispetto al principio consensualistico del negozio anche nell'ambito delle stipulazioni in cui le parti avevano concordato: fin dall'inizio talune- facoltà di modifica in favore di. uno/deicontraenti, presumendo la vessatorietà ove tale facoltà non presupponesse l'esistenza di «giustificati e/o validi motivi».
Ora, ritiene il collegio che al di là della natura elastica dell'espressione di cui si è detto e delle difficoltà che il giudice può incontrare nell'applicazione pratica di tale principio alla fattispecie concreta posta al suo vaglio, non può revocarsi in dubbio che la tipizzazione, all'interno del contratto, come si cura di specificare la direttiva comunitaria, delle circostanze concrete che abilitano la parte predisponente all'esercizio di modifiche unilaterali appare preliminare per consentire all'interprete-di compiere il vaglio di cui si è detto.
Da ciò non può che conseguire che la previsione di una modifica unilaterale del contenuto negoziale non suffragata dalla previsione di un giustificato motivo fa presumere l'abusività della pattuizione e conseguentemente il significativo squilibrio in danno del consumatore quando dal complessivo tenore dei patti non sia altrimenti possibile individuare le ragioni giustificatrici del
potere riconosciuto al professionista.
Fatte le superiori premesse, appare quindi evidente l'abusività della previsione negoziale di cui si discute, volta che la stessa consente all'ente erogatore di modificare a proprio arbitrio le modalità di esecuzione della controprestazione cui è tenuto l'utente e soprattutto i termini di pagamento, già significativamente ridotti secondo quanto disposto dalla stessa clausola, senza che tale potere appaia in alcun modo giustificabile in relazione alla natura del rapporto che invece richiederebbe una particolar re attenzione alle ragioni dell'utente, non potendo nemmeno con." dividersi l'assunto dell'ente convenuto, seguendo il quale si dovrebbe pervenire alla conclusione, invero paradossale, che la natura portable dell'obbligazione dell'utente consentirebbe al creditore di modificare a suo arbitrio le modalità di pagamento.
Quanto al patto che impone all'utente l'obbligo del pagamento dell'energia anche in ipotesi di inoltro di reclami - c.d. clausola solve et repete - lo stesso impone all'utente di adempiere ai propri obblighi anche in caso di eventuale mancato adempimento degli obblighi incombenti sul professionista impedendo
gli di opporre l'eccezione di inadempimento. .
Tale clausola, limitando la facoltà di sollevare l'eccezione di inadempimento, pur astrattamente lègittima alla stregua dell’articolo 1462, ultimo comma, c.c., determina però uno squilibrio negoziale in danno dell'utente che, costretto ad adempiere comunque le proprie obbligazioni, dovrebbe poi attendere gli esiti e sopportare i costi - dell'azione di ripetizione per ottenere la restituzione di quanto non dovuto in relazione al contegno inadempiente dell'ente erogatore.
E poiché tale squilibrio è stato tipizzato dalla lett. o) dell'allegato alla direttiva comunitaria e dall'art. 1469 bis, 3° comma, n. 16, c.c. anche tale clausola, come le precedenti, deve considerarsi inefficace nei confronti dell'attore.
Clausola n. 4: «L'Enel s.p.a. potrà cedere il contratto ad altra tra impresa».
Come è noto la letto p) della direttiva 93/13 e poi -l'art. 1469 bis, 3° comma, n. 17, c.c. presumono la vessatorietà delle clausole che consentano al professionista di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto qualora, secondo il tenore letterale della direttiva, ne possono risultare inficiate::le garanzie per il consumatore o - secondo l'art. 1469 bis (omissis) - risulti diminuita la tutela dei diritti di quest'ultimo.
Una volta chiarito che non è utile qui affrontare le questioni connesse alla almeno apparente non coincidenza della. clausola abusiva specificata dal legislatore comunitario con quella indicata in ambito interno dalla legge di attuazione, va invece evidenziato che con la tutela sul punto approntata dalla direttiva comunitaria si è inteso preservare il consumatore dai possibili rischi, in termini di diminuzione di garanzie, che potrebbe causare la sostituzione del professionista nel rapporto contrattuale con un soggetto non determinato né determinabile.
Ora, se non può dubitarsi che la facoltà che si è riservata l'Enel attiene appunto alla cessione del rapporto nei confronti di un soggetto sconosciuto all'utente all'atto della conclusione del rapporto ed una volta chiarito che ai fini che qui importano l'individuazione del momento in cui può farsi valere la vessatorietà della clausola deve necessariamente coincidere con il momento anteriore a quello della possibile cessione, va premesso che il contratto di somministrazione di energia elettrica non può certo annoverarsi fra quelli intuitu personae per i quali le qualità personali dei contraenti sono esse stesse determinanti del consenso.
E se è pur vero che l'utente potrebbe astrattamente temere che il soggetto subentrante non sia in grado di fornire la prestazione secondo uno standard qualitativo accettabile, come postula l'attore, non è men vero che allo stato attuale della legislazione l'Enel s.p.a. può stipulare concessioni per l'esercizio della distribuzione di energia elettrica con le. imprese elettriche degli enti locali che ne hanno fatto richiesta (art. 21 I. 9 gennaio 1991 n. 9 e ar1. 2, 4° comma, d.m. 10 aprile 1992 contenente la convenzione quadro per il rilascio delle concessioni alle imprese degli enti locali, in G.U. 22 aprile 1992, n. 94, o con altre società da essa interamente partecipate o partecipate ad altra impresa concessionaria: art. 12 conv. stipulata con il ministero dell’industria, già cit.
È comunque indiscutibile che in entrambe le ipotesi le convenzioni accessive stipulate dall'Enel, regolate sulla base della convenzione quadro approvata con d.m. 10 aprile 1992 (in G. U. 22. aprile 1992, n. 94) sono soggette all'assenso del ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato (cfr. ar1. 2. I. 9/91 e art. 12 conv. cit.), e prevedono espressamente l'obbligo dell'impresa'- chiamata a concorrere al conseguimento dei fini di utilità generale sanciti dall'ar1. 1, 3° comma, I. 1643/62 secondo quanto previsto dall'art. 1 d.m. citato di applicare alla propria utenza le tariffe, le condizioni di fornitura ed i contributi di allacciamento previsti dalla convenzione stipulata fra l'Enel e il ministero dell'industria (art. 12 conv. cit.),.nonché i provvedimenti e le direttive degli organi preposti alla politica tariffaria del settore elettrico (v. art. 9 d.m. 10 aprile 1992, cit.).
Sulla base di tali considerazioni ed avuto anche riguardo al compendio di penetranti controlli che l'autorità per l'energia elettrica può e deve esplicare sui soggetti esercenti il servizio nel settore elettrico (cfr. art. 3, 8° comma, I. 481/95), va allora escluso il carattere vessatorio della clausola suddetta, non potendosi profilare veruna riduzione di tutela dei diritti del Romano dall'eventuale cessione del rapporto negoziale.
Clausole nn. 5 e 6: «L'energia non può essere utilizzare con potenza superiore a quella contrattuale nei luoghi o per usi diversi da quelli convenuti, né ceduta a terzi». «L'utente risponde della conservazione ed integrità degli apparecchi Enel s.p.a. esistenti presso di lui».
Le clausole non pongono alcun problema di vessatorietà.
Clausola n. 7: «Gli impianti ed apparecchi dell'utente debbono rispondere alle norme del Comitato elettrotecnico italiano (CEI) ed il loro uso non deve provocare disturbi alla rete dell'Enel s.p.a.
L'Enel s.p.a. può modificare con preavviso di sei mesi le caratteristiche dell'energia restando a carico dell'utente la trasformazione dei suoi impianti ed apparecchi. L'Enel s.p.a. senza assumere responsabilità potrà verificare impianti ed apparecchi dell'utente e sospenderà la fornitura in caso di irregolarità per il tempo occorrente alle modifiche. L'Enel s.p.a. non risponde dei danni causati dall'energia a valle del punto di consegna».
La prima parte della clausola, individuando le caratteristiche degli impianti e degli apparecchi dell'utente attraverso il riferimento espresso alle norme tecniche adottate dal Comitato elettrotecnico italiano che gli art. 1 e 2 I. 1 ° marzo 1968 n. 186 ritengono necessarie al fine di considerarli come costruiti a regola d'arte non contiene alcun profilo di vessatorietà.
Rileva poi il tribunale che la facoltà, riservata all'ente erogatore, di modificare unilateralmente le caratteristiche dell'energia elettrica con preavviso di sei mesi, astrattamente sussumibi1e nell'ambito operativo della letto k) dell'elenco annesso alla direttiva e dall'art. 1469 bis, 3° comma,. n. 11, c.c., seppure in mancanza di una precisa tipizzazione delle ragioni che consentano un simile potere all'interno del contratto, appare giustificata in relazione all'ambito in cui la stessa si muove, concernente scelte di politica energetica che l'ente erogatore non può certo adottare senza il preventivo assenso delle autorità preposte al controllo ed alla vigilanza in materia.
Sicché nella comparazione fra ragioni pubblicistiche ed interesse privato deve in questo caso assumere prevalenza l'interesse pubblico perseguito dall'ente erogatore che pure giustifica la previsione secondo cui i costi per la trasformazione degli impianti e apparecchi dell'utente connessi alla modifica dell'energia rimangano a carico dello stesso.
Per contro, il successivo patto che autorizza l'Enel a verificare gli impianti ed apparecchi dell'utente ed a sospendere la fornitura in caso di irregolarità senza assumere responsabilità realizza un ingiusto squilibrio del rapporto in danno del consumatore laddove viene esclusa ogni responsabilità dell'Enel nell'attività di verifica, integrando tale previsione negoziale la clausola di cui alla letto a) dell'elenco della direttiva comunitaria 93/13 recepita dall'art. 1469 bis, 3° comma, n. 1, c.c., avente ad oggetto l'esclusione o la limitazione della responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona risultante da un fatto od omissione del professionista.
Non può infatti revocarsi in dubbio che nell'esecuzione dell'attività verificatoria l'Enel non potrebbe andare esente dalla responsabilità connessa alla sua attività ovvero alle cause, allo stesso imputabili, che hanno reso necessario il controllo sugli impianti dell'utente.
Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione al patto che esclude la responsabilità dell'Enel per i danni causati dall'energia a valle del punto di consegna, ove si consideri che tale patto, oltre a contrastare con quanto previsto dall'art. 12 d.1eg. 24 maggio 1988 n. 224 che ha attuato nell'ordinamento nazionale la direttiva 374/75/Cee in tema di danni da prodotti difettosi - applicabi1e alle forniture di elettricità in forza del richiamo espresso contenuto nell'art. 2, 2° comma - determina, in base alla genericità della sua formulazione, un esonero di responsabilità dell'ente erogatore per i danni causati dall'elettricità somministrata, ivi compresi quelli prodotti da sbalzi di tensione.
Non può dunque condividersi l'assunto della difesa dell'Enel secondo il quale gli obblighi dell'ente erogato re si esauriscono con. la consegna dell'energia e che i rischi legati agli impianti in uso o di pertinenza dell'utente dovrebbero gravare su quest'ultimo, solo che si consideri che tale assunto omette di considerare l'ipotesi, compresa nell'alveo di operatività del patto negoziale, in cui il pregiudizio sia riconducibile non alla sfera giuridica del fruitore del servizio ma piuttosto alla difettosità dell'energia somministrata.
Detta clausola deve allora ritenersi inefficace nei confronti dell'attore.
Clausola n. 8: «L'Enel s.p.a. ha diritto di accesso ai propri impianti e apparecchi. Le spese per verifiche ai misuratori richieste dall'utente sono a suo carico se gli errori risultano compresi entro i limiti stabiliti dalle norme CE!. Diversamente, fanno carico all'Enel s.p.a. che ricostruirà i prelievi in base alla percentuale di errore effettivamente accertata, dal momento in cui l'irregolarità si è prodotta, se determinabile, o contrariamente, dal mese in cui è stata effettuata la verifica».
La clausola appare improntata ad un equo contemperamento delle esigenze delle parti contraenti, dal momento che il potere di ricostruzione dei prelievi in caso di cattivo funzionamento dei misuratori e di impossibilità di accertamento dell'epoca precisa del momento dell'irregolarità riconosciuto all'Enel viene necessariamente correlato al mese antecedente alla verifica.
Clausola n. 9: «L'energia è fornita con continuità salvo patti speciali o casi di forza maggiore. L'Enel s.p.a. può interrompere la fornitura per manutenzione degli impianti o altre esigenze, arrecando, compatibilmente con le necessità di servizio, il minimo disturbo all'utenza. Le interruzioni o limitazioni di fornitura per cause accidentali, scioperi, ragioni di servizio, ordini delle autorità. e le variazioni di frequenza o tensione per cause accidentali non danno luogo a riduzione di corrispettivi, risarcimento danni e risoluzione di contratto».
Va premesso che la clausola in parola disciplina con priorità le conseguenze sul rapporto dell'interruzione della somministrazione di energia elettrica dipendenti da casi di, forza maggiore escludendo ogni responsabilità dell'ente erogatore.
Ora, se è noto che con l'espressione «forza maggiore» si ha riferimento a quegli eventi imprevisti e imprevedibili che, sottraendosi a qualsiasi controllo umano, rendono inevitabile il verificarsi di un determinato fatto - nella specie.!'inadempimento del somministrante - e che sotto tale profilo. la; clausola pattizia si sottrae ad ogni tipo di censura, diverse considerazioni devono operarsi in ordine al patto che consente all'Enel di interrompere la fornitura per «altre esigenze») e che esclude in tal caso per l'utente il diritto alla risoluzione e al risarcimento dei danni anche quando le interruzioni e limitazione dipendano da «scioperi e ragioni di servizio».
Deve in proposito osservarsi che il potere - unilaterale dell'Enel di interrompere il servizio per compiere la manutenzione della rete o degli impianti appare compatibile con la tipologia del rapporto e con la necessità che l'ente erogatore predisponga, per la migliore gestione del servizio, un programma di interventi a cui il singolo utente deve sottostare, peraltro con la garanzia di subire «il minimo disturbo»), ove anche si consideri che il disservizio provocato al singolo utente trova ampia giustificazione nell'esigenza di scongiurare situazioni di pericolo di dimensioni potenzialmente illimitate.
Medesime considerazioni non possono però farsi in relazione alla facoltà di interruzione e sospensione per altre esigenze, ove si consideri che la genericità dell'espressione lascia in buona sostanza libero l'ente erogato re di interrompere il flusso di energia per qualunque ragione non determinata né determinabile, privando in tal modo l'utente del «bene energia» che in relazione alla natura monopolistica dell'Enel il predetto non potrà ottenere diversamente e ponendosi in chiaro contrasto con il precetto di chiarezza e buona fede, deve ritenersi vessatoria in relazione al combinato disposto di cui agli art. 1469 bis, 3° comma, n. 11, c.c., lett. J) e k), dell'allegato alla direttiva 1469 quater, l° comma, c.c.
Né può disconoscersi la vessatorietà della clausola limitativa della responsabilità dell' ente erogato re e del diritto di risolvere il rapporto in presenza di un'interruzione dell'energia oltre che per altre esigenze anche in dipendenza di scioperi o ragioni di servizio.
Ed invero, tale pattuizione, in relazione all'ampia dizione letterale che la caratterizza - accollando sull'utente il pregiudizio dipendente da una condotta riferibile esclusivamente all'ente erogatore, tale dovendo si ritenere-anche lo sciopero del personale dipendente dell'ente erogatore (cfr. Cass. 18 ottobre 1994, n. 8496, id., Rep. 1995, voce Sciopero, n. 50, e Il giugno 1986, n. 3858, id., Rep. 1986, voce Obbligazioni in genere, n. 27) - determina non-soltanto una ingiusta limitazione di responsabilità del professionista in caso di morte o lesione personale dell'utente per un atto dipendente dal professionista - letto a) dell'allegato alla direttiva comunitaria e art. 1469 bis, 3° comma, n. l - ma anche un'indebita restituzione dei diritti dell'utente nei confronti del professionista in caso di inadempimento totale o adempimento difettoso da parte di quest'ultimo - letto b) dell'allegato alla direttiva e art. 1469 bis, 3 ° comma, n. 2, c.c. - non valendo ad escludere l'abusività nemmeno la circostanza che l'onere di provare che l'interruzione dell'erogazione dipende dalle cause di giustificazione anzidette incombe sul somministrante (così Cass. 9 giugno 1997, n. 5144, id., Rep. 1997, voce Somministrazione, n. l).
Clausola n. 10: «Gli oneri fiscali o di altra natura inerenti al contratto e alla fornitura fanno carico all'utente».
Ritiene il collegio che la pattuizione in oggetto addossa in modo ingiustificato all'utente un onere economico - id est oneri di altra natura - assolutamente ambiguo ed indeterminato all'atto della stipula del contratto di somministrazione, in spregio al precetto della buona fede obiettiva che impone fra l'altro a ciascuna parte di improntare la propria condotta alla lealtà e chiarezza nei confronti dell'altro contraente per salvaguardare, per quanto possibile, l'altrui sfera giuridica (art. 1469 quater, 1 ° comma, c.c.).
Ora l'indicazione generica ed imprecisa di un effetto negoziale posto dal predisponente - Enel s.p.a. - a carico dell'utente dà luogo, a giudizio del collegio, ad un irragionevole squilibrio negoziale in danno del secondo sicché il relativo patto va considerato vessatorio alla stregua dell'art. 3, l° comma, della direttiva 93/13/Cee e dell'art. 1469 bis, 1 ° comma, c.c.
Clausola n. 11: «L'Enel s.p.a. può: sospendere la fornitura per ogni inadempienza dell'utente, anche relativa a precedenti forniture cessate, addebitando le spese di sospensione e riattivazione, nonché i corrispettivi pattuiti; risolvere il contratto ai sensi dell'art. 1456 c.c. con addebito immediato dei corrispettivi dovuti fino alla scadenza ed eventuali maggiori danni per violazione agli art. 1, 2, 3, 5 e 6 delle condizioni generali o per prelievo fraudolento; sospendere l'esecuzione di tutti i contratti con l'utente o risolverli di diritto per violazioni all' art. 3 delle condizioni generali o per prelievo fraudolento».
Ritiene il collegio che la prima pattuizione, che deve essere esaminata unitamente alla parte finale che consente all'Enel di sospendere e di risolvere tutti i contratti stipulati dall’utente in violazione dell’art. 3 delle condizioni generali, limita in modo, irragionevole il diritto dell'utente all'erogazione dell'energia elettrica, ove si consideri che la facoltà riconosciuta all’ente erogatore di sospendere la fornitura ha riguardo ad ogni inadempienza dello stesso anche dipendente da altre forniture anche cessate.
Vale in proposito rammentare che la disciplina normativa del contratto di somministrazione, facendo applicazione dell'istituto dell'exceptio inadimpleti contractus previsto dall'art. 1460 cod.civ.
prevede la possibilità di sospensione della prestazione nell'ipotesi di inadempimento di lieve entità del soggetto titolare del diritto alla somministrazione sempre che il somministrante dia un congruo preavviso (art. 1565 c.c.).
Ora, non può sottacersi che la clausola pattizia di cui si discute, riconoscendo all'Enel la facoltà di sospendere la fornitura anche in dipendenza di inadempienze non solo lievi quali quelle connesse al mancato rispetto dei termini di pagamento, delle fatture (art. 3 condizioni generali di cui si è detto) ma anche connesse a diversi contratti - anche se cessati -, stipulati dall'utente per esigenze diverse da quelle a cui si riferisce il rapporto, oltre a discostarsi in maniera evidente dalla previsione codicistica, pone l'utilizzatore in una posizione di ingiustificata e intollerabile coazione, connessa al regime di esclusività in cui agisce l'Enel, che appare contrastare con la previsione generale di vessatorietà di cui ai già citati art. 3, 10 comma, dir. 93/13/Cee, e 1469 bis, 10 comma, c.c.
Va poi considerato che tale pattuizione, come del resto la successiva, parrebbe individuare un nesso di collegamento fra tutti i contratti stipulati dall'utente dal quale deriverebbe la possibilità che le vicende di ciascun contratto si ripercuotono negativamente sugli altri in modo da consentire all'Enel la sospensione dell'esecuzione o la risoluzione anche relativamente a rapporti nei quali l'utente non si fosse reso inadempiente.
Ma tale ricostruzione, ancorché condivisa dalla corte di legittimità in un inedito precedente (Cass. 29 luglio 1995, n. 8353) nel quale è stato affermato che la pattuizione in oggetto tenderebbe a realizzare «una reductio ad unum di rapporti contrattuali formalmente distinti ma del tutto uniformi quanto ad oggetto, causa e contenuto» dando luogo ad un'ipotesi di «collegamento convenzionale assai intenso» non appare convincente né è comunque tale da elidere la vessatorietà del patto anzidetto.
Ed invero, è noto che il collegamento negoziale si configura come un meccanismo per il cui tramite le parti perseguono un risultato economico unitario attraverso una pluralità coordinata di contratti, ciascuno dei quali, pur conservando una causa autonoma, è finalizzato ad un regolamento unitario di interessi, sicché le vicende che investono uno dei contratti, quali quelle relative all'invalidità, all'inefficacia o alla risoluzione, possono
ripercuotersi sull'altro.
Ma perché possa configurarsi un collegamento di negozi è comunque necessario che ricorra oltre al nesso teleologico fra i contratti anche il comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento e il coordinamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, non essendo sufficiente che quel fine sia perseguito da una sola delle parti all'insaputa e senza la partecipazione dell'altra, per modo che occorre accertare se, oltre la finalità propria di ciascuno dei contratti contestualmente conclusi, sussista o meno un fine complessivo consistente in un assetto economico globale e inscindibile che le parti hanno voluto e che deve quindi essere rispettato in ossequio al loro potere di autonomia (così, Cass. 27 gennaio 1997, n. 827, id., 1997, I, 1142; 4 settembre 1996, n. 8070, id., Rep. 1996, voce Contratto in genere, n. 207, e lO giugno 1991, n. 6567, id., Rep. 1991, voce cit., n. 160).
Ora, non è chi non veda che la ratio ispiratrice del patto in oggetto, lungi dal costituire un effettivo nesso di interdipendenza fra le diverse stipulazioni, è quella di perseguire la finalità, a cui l'utente Romano non partecipa menomamente, di garantire all'Enel l'afflusso di mezzi economici corrispondenti alla quantità di energia erogata e di tutelare comunque il patrimonio aziendale, fine che rimane estraneo ai singoli rapporti e che è certamente inidoneo a prefigurare l'esistenza di un collegamento negoziale ed a giustificare che le vicende di un contratto si riverberino sugli altri conclusi dagli stessi soggetti.
Peraltro, anche a non voler condividere il superiore assunto, non può non evidenziarsi che la predisposizione unilaterale di un collegamento fra più negozi stipulati dall'utente per il perseguimento di interessi - esteriorizzati all'atto della conclusione del contratto in cui viene chiarita la tipologia di utenza e l'utilizzo dell'energia - fra loro non necessariamente omologhi, realizza ex se un ingiusto squilibrio negoziale in danno dell'aderente proprio in relazione alla natura monopolistica del servizio prestato dal soggetto erogatore, addossando al primo un sacrificio incommensurabile ed ingiustificato (si pensi all'ipotesi in cui il Romano, rimasto inadempiente rispetto alle utenze asservite all'esercizio di un'attività professionale, subisca la sospensione e/o risoluzione del contratto di somministrazione relativo alla propria residenza, regolarmente adempiuto).
Deve quindi affermarsi la vessatorietà dei patti contenuti nella prima e nell'ultima proposizione della clausola n. 11 e la conseguente inefficacia nei confronti dell'attore.
Del pari vessatorio, alla stregua di quanto superiormente affermato, deve considerarsi il patto che autorizza l'Enel a sospendere l'esecuzione o risolvere di diritto tutti i contratti per violazioni all'art. 3 delle condizioni generali, ove proprio si consideri che. tale facoltà, correlata ad un inadempimento che viene ritenuto convenzionalmente significativo per un semplice ritardo di pochi giorni nel pagamento delle fatture, contrasta in modo insanabile con i canoni di buona fede ed equità sottesi ai contratti di utenza, penalizzando in modo irragionevole la posizione dell'utente senza che a tale potere corrisponda veruna esigenza pubblica da preservare.
Analogo giudizio di abusività va fatto in ordine alla clausola che consente all'Enel di risolvere il contratto con addebito immediato dei corrispettivi dovuti sino alla scadenza e degli eventuali maggiori danni per violazione degli art. 1, 2, 3, 5 e 6 delle condizioni generali.
Tale patto, come del resto i precedenti contenuti nella stessa clausola, deve ritenersi vessatorio integrando il contenuto della clausola abusiva indicata nella lett. j) dell'elenco allegato alla direttiva 93/13 e all'art. 1469 bis, 3° comma, n. 7, c.c., ove si consideri che nel contratto non è prevista analoga facoltà di risolvere il rapporto in favore dell'utente.
Peraltro, dopo avere chiarito che in relazione alla natura essenziale del bene oggetto della somministrazione la previsione di reciprocità appare poco incline a tutelare in senso sostanziale la posizione dell'utente, occorre aggiungere che l'anzidetta clausola integra comunque un significativo squilibrio dei diritti del consumatore laddove riconnette la risoluzione del contratto all'inosservanza delle modalità di pagamento per le considerazioni già esposte a proposito della clausola 3 delle condizioni generali di contratto.
Non resiste nemmeno ad un vaglio di vessatorietà la pattuizione che consente all'Enel di addebitare, all'atto della risoluzione, «i corrispettivi dovuti sino alla scadenza» ed «eventuali maggiori danni».
Giova ricordare,. in proposito, che nel contratto di somministrazione di energia elettrica il cosiddetto impegno di potenza, che si concreta nell'obbligo del somministrante di mettere a disposizione dell'utente una determinata quantità di energia, configura una prestazione continuata, accessoria e strumentale a quella principale di somministrare l'energia cui corrisponde un corrispettivo fisso da pagarsi periodicamente, maturando coevemente al consumo dell'energia, tanto nel caso di rapporto a tempo indeterminato quanto nel caso di rapporto a tempo determinato con previsione di rinnovazione tacita.
Orbene, la previsione negoziale che consente all'Enel di addebitare, al momento della risoluzione «i corrispettivi sino alla scadenza del contratto» finisce con l'attribuire all'ente erogatore il potere di trattenere un quid in denaro pari all'ammontare dell'impegno di potenza dovuto dall'epoca della risoluzione e fino alla scadenza del contratto senza che la prestazione principale - somministrazione di energia - venga messa a disposizione dell'utente, con conseguente vessatorietà della pattuizione ex letto j) dell'elenco allegato alla direttiva 93/13 e all'art. 1469 bis, 3° comma, n. 7, c.c.
Va poi soggiunto che analogo giudizio di vessatorietà deve formularsi per la clausola che autorizza l'Enel, all'atto della risoluzione, ad addebitare eventuali maggiori spese.
Ed invero, la portata di tale pattuizione è talmente lata da determinare un notevole squilibrio dei diritti del consumatoreutente che, in esito al proprio inadempimento, oltre a subire la sospensione della fornitura e la risoluzione del contratto, è chiamato a sottostare al potere dell'ente erogatore che potrà direttamente addebitargli, a suo arbitrio, quei maggiori danni, non determinabili al momento della conclusione del contratto né sulla base delle stesse previsioni negoziali, ritenuti unilateralmente dipendenti dal contegno inadempiente dell'utente medesimo.
Appare dunque chiaro che tale pattuizione evidenzia vieppiù l'inosservanza del predisponente dall'obbligo di improntare la propria condotta a principi di lealtà e correttezza ponendo l'utente, all'atto della conclusione del contratto, in una posizione di incertezza in ordine alle conseguenze del rapporto che dovrà comunque stipulare con quel gestore per poter usufruire dell'energia elettrica.
Dette disposizioni vanno conseguentemente dichiarate inefficaci nei confronti dell'attore.
Clausola n. 12: «Il presente contratto viene sottoscritto dall'utente che ne assume così tutte le obbligazioni relative; l'Enel rimarrà obbligata dal momento in cui l'energia verrà messa a disposizione».
La clausola, nel prevedere un impegno definitivo del consumatore utente e nel subordinare l'esecuzione delle prestazioni del professionista - id est messa a disposizione dell'energia ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dall'Enel, deve ritenersi vessatoria alla stregua della letto c) dell'elenco della direttiva 93/13 e recepita nell'art. 1469 bis, 3° comma, nn. 4 e 20, c.c., senza peraltro considerare che tale pattuizione, consentendo al somministrante la scelta ad libitum dei tempi per rendere vincolante il rapporto, finirebbe anche col riconoscere al medesimo la facoltà di recesso ad nutum da considerare vessatoria in relazione al disposto di cui al n. 7 dell'art. 1469 bis, 3° comma, c.c.
Clausola n. 13: «L'utente elegge domicilio nel luogo della fornitura. Per le controversie è competente il foro di Palermo per le forniture di energia ubicate nell'ambito territoriale delle province di Agrigento, Caltanissetta, Palermo, Trapani; il foro di Catania per le forniture di energia ubicate nell'ambito territoriale delle province di Catania, Enna, Messina, Ragusa, Siracusa» .
La clausola oltre a stabilire come sede del foro competente una località, coincidente nella specie con quella ove si trova il compartimento Enel, diversa da quella di residenza e domicilio effettivo dell'utente-attore, che ad onta di quanto postulato dall'ente convenuto non risulta risiedere in Palermo (v. sul punto condizioni particolari di contratto), impone altresì a quest'ultimo l'elezione del domicilio presso il luogo della fornitura.
Appare quindi provata la vessatorietà di tale patto sulla base di quanto previsto non soltanto dal n. 19 dell'art. 1469 bis c.c. e dalla lett. q) dell'elenco annesso alla direttiva 93/13/Cee, ma anche del generale principio contenuto dall'art. 1469 bis, l° comma, c.c., ove si consideri che detto patto, addossando in modo irragionevole sull'attore i notevoli costi per la tutela giurisdizione in sede diversa da quelle di residenza e domicilio, incide sottilmente, comprimendo la, sulla scelta dell'utente di tutelare giudizialmente i propri diritti senza che tale situazione possa in alcun modo giustificarsi in relazione alla natura del rapporto ed alla pluralità dei contratti di somministrazione intrattenuti dall'ente erogatore.
Sulla scorta delle superiori considerazioni, vanno quindi dichiarate inefficaci nei confronti dell' attore le seguenti clausole contenute nelle condizioni generali di contratto:
- n. l nella parte in cui prevede il riconoscimento di un equo compenso per l'utilizzazione di idoneo locale all'interno di beni di proprietà dell'utente solo nell'ipotesi di uso prevalente per forniture fuori dall'immobile;
- n. 3 nella parte in cui: a) individua i termini di adempimento per l'utente; b) addebita al suddetto in caso di ritardo il pagamento delle maggiori spese; c) esclude che eventuali reclami dell'utente possano esimere dall'obbligo del pagamento;
- n. 7 nella parte in cui: a) autorizza l'Enel a verificare gli impianti ed apparecchi dell'utente ed a sospendere la fornitura in caso di irregolarità senza assumere responsabilità; b) esclude la responsabilità dell'Enel per i danni causati dall'energia a valle del punto di consegna; .
- n. 9 nella parte in cui: a) consente all'Enel di interrompere la fornitura per «altre esigenze»; b) esclude per l'utente il diritto alla risoluzione o al risarcimento dei danni in ipotesi di interruzioni e limitazione per «scioperi e ragioni di servizio»;
- n. 10 nella parte in cui lascia a carico del Romano gli oneri di altra natura;
- n. Il nella parte in cui consente. all'Enel di: a) sospendere la fornitura per ogni inadempienza dell'utente anche relativa a precedenti forniture cessate; b) sospendere l'esecuzione di tutti i contratti con l'utente o risolverli di diritto per violazione dell'art. 3 delle condizioni generali; c) risolvere il contratto con addebito immediato dei corrispettivi dovuti sino alla scadenza e degli eventuali maggiori danni per violazione degli art. l, 2, 3, 5 e 6 delle condizioni generali; d) risolvere il contratto in seguito all'inosservanza delle modalità di pagamento previste dalla clausola 3 delle condizioni generali di contratto; e) addebitare, all'atto della risoluzione, «i corrispettivi dovuti sino alla scadenza» ed «eventuali maggiori danni»;
- n. 12 nel punto in cui dispone che l'Enel s.p.a. rimarrà obbligata dal momento in cui l'energia verrà messa a disposizione dell'utente;
- n. 13 ove individua come foro competente quello della sede distrettualedell'Enel competente per il contratto di fornitura.
È a tal punto opportuno rilevare che il vincolo negoziale nascente dal contratto di somministrazione per cui è causa, pur pesantemente colpito dal giudizio di vessatorietà di buona parte delle condizioni generali predisposte dall'Enel s.p.a., non pone in discussione l'esistenza del rapporto per le parti passate indenni dal vaglio di abusività, ove si consideri che la disciplina negoziale divenuta inefficace sarà integrata dalle norme dispositive che regolano il rapporto medesimo proprio nell'ottica, voluta dal legislatore, di preservare comunque l'interesse del consumatore-utente al conseguimento del bene oggetto del contratto (art. 1469 quinquies, 10 comma, c.c.).
L'accoglimento della domanda principale proposta dal Romano esime,il collegio dall'esaminare l'ulteriore pretesa avanzata in via subordinata dall'attore rimanendo questa assorbita.
Deve essere infine disattesa la richiesta di condanna dell'ente convenuto alla pubblicazione della presente sentenza su alcuni quotidiani, non avendo il Romano avanzato in questa sede alcuna domanda risarcitoria, né potendo per l'effetto profilarsi un pregiudizio ristorabile attraverso il ricorso allo strumento dell'art. 120 c.p.c.