TRIBUNALE DI PALERMO 22 OTTOBRE 1997
Pres. MONTELEONE - Est. TULUMELLO
Soc. Siremar (Avv. Ferraro e Passanisi) c. Associazione regionale consumatori e ambiente (Avv. A. e G. Palmigiano)
Trasporto di persone - Trasporto marittimo - Condizioni generali di trasporto - Clausole vessatorie - Approvazione ministeriale - Irrilevanza.
Trasporto di persone - Trasporto marittimo - Condizioni generali di trasporto - Clausole sulla soppressione della partenza e mutamento di itinerario - Limitazione della responsabilità al prezzo di passaggio - Vessatorietà.
Trasporto di persone - Trasporto marittimo - Condizioni generali di trasporto - Clausole vessatorie - Tutela inibitoria cautelare - Giusti motivi d’urgenza - Requisiti di sussistenza.
FATTO
Con ricorso depositato il 24 luglio 1997, L’Associazione regionale consumatori e ambiente (Adiconsum) chiese inibirsi in via d’urgenza alla Sicilia regionale marittima s.p.a. (Siremar) l’utilizzazione di alcune clausole delle condizioni generali di trasporto marittimo, da questa utilizzate nei contratti con i consumatori, ai sensi dell’art. 1469-sexies, secondo comma, c.c. Con ordinanza del 5 settembre 1997 (in Foro it. 1997, I, 3009), il giudice designato accolse parzialmente la domanda di inibitoria.
DIRITTO
- omissis -
3. La qualificazione dell’attività della Siremar operata in precedenza consente preliminarmente, in punto di esame dell’abusività delle clausole impugnate, di sgombrare il campo da un evidente equivoco terminologico.
L’approvazione ministeriale del regolamento disciplinante le condizioni di trasporto non ha alcun rilievo nella materia in esame.
L’autorità amministrativa compie, in sede in approvazione, una valutazione di congruità in cui rimangono del tutto estranei i profili di equilibrio contrattuale, di buona fede e di vessatorietà riferiti al rapporto gestore - utente, trattandosi piuttosto di una valutazione discrezionale che si compie nel contesto della richiamata convenzione, e che dunque risulta strutturalmente ancorata (unicamente) al parametro della rispondenza di tale regolamento agli obiettivi che la pubblica amministrazione persegue attraverso la stipula della convenzione medesima e l’erogazione del relativo finanziamento : obiettivi che attengono alla tutela degli interessi pubblici sottesi all’erogazione del servizio, e non alla tutela civilistica del consumatore.
D’altra parte, lamenta la reclamante che in sede di recepimento della direttiva si è omesso di estendere la clausola di esclusione di cui all’art. 1469ter, terzo comma. c.c., oltre che alle leggi anche ai regolamenti (come previsto dalla direttiva stessa) : a parte il fatto che, in punto di qualificazione formale, seri dubbi sussistono sulla esatta percezione della categoria delle fonti secondarie del diritto nel contesto della prospettazione in esame (atteso che la direttiva si riferiva - espressamente ed opportunamente - alle sole “disposizioni regolamentari imperative”, e non anche ad atti di natura convenzionale portanti il mero nomen iuris di “regolamenti”, ma privi dei requisiti di forma e di sostanza da cui discende l’attributo dell’imperatività), in ogni caso sfugge a tale prospettazione la circostanza che la stessa direttiva (art. 8) ha stabilito che “Gli Stati membri possono adottare, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore”.
Ora, non si sa bene se per adeguare la disciplina comunitaria ad un contesto ordinamentale interno in cui il termine “regolamento” designa le più svariate categorie di fonti normative (anche nell’ambito dell’autonomia privata), sicché un recepimento letterale della direttiva avrebbe sollevato numerose questioni interpretative in sede applicativa, ovvero in esito ad una precisa scelta tendente ad individuare il livello primario delle fonti del diritto quale unico limite alla tutela civilistica in esame (evidentemente nei confronti di un soggetto in qualche modo pubblico), certo è che il legislatore italiano ha ritenuto di offrire al consumatore un “livello di protezione” sicuramente più elevato rispetto a quello riconducibile al testo della direttiva, di tal che è del tutto contrario alla logica del sistema far discendere dalla rilevata difformità fra direttiva comunitaria e disposizione interna una reintroduzione surrettizia - in via interpretativa - di una limitazione di tutela espressamente esclusa dal legislatore interno.
Ciò posto, rileva il collegio come con i motivi di reclamo non si è contestato il provvedimento impugnato, se non nella prospettiva ora esaminata, sotto il profilo della ritenuta abusività delle clausole il cui utilizzo è stato inibito.
Ciononostante, un autorevole indirizzo interpretativo - che il collegio condivide - considera il reclamo ex art. 669terdecies c.p.c. come n rimedio a carattere sostitutivo, che implica un riesame della domanda cautelare nel suo complesso, investendo pertanto di pieni poteri, in relazione alla predetta domanda, il giudice del reclamo.
Tale considerazione impone al collegio da un lato di valutare il profilo in esame ancorché non espressamente impugnato, e dall’altro di estendere tale valutazione anche alle clausole, in relazione alle quali pure è stata chiesta l’inibitoria, non ritenute abusive dal giudice delegato (g.d.) ed il cui utilizzo la parte reclamata ha invece chiesto di inibire in sede di reclamo.
A quest’ultima estensione si giunge sia in ragione delle superiori considerazioni relative alla natura del reclamo, sia considerando il reclamo stesso un mezzo di impugnazione avverso il provvedimento di inibitoria concesso dal g.d., e ritenendo conseguentemente applicabile alla fattispecie in esame la disposizione generale in tema di impugnazioni incidentali tardive (art. 334 c.p.c.).
Ritiene il collegio che le clausole ritenute abusive dal g.d. presentino il predetto requisito, per le ragioni esposte nella motivazione del provvedimento impugnato, al quale si rinvia.
In particolare, corretta e condivisibile appare l’operazione di interpretazione e di qualificazione compiuta dal primo giudice in relazione alla sussunzione delle clausole contrattuali esaminate nelle corrispondenti categorie normative per le quali opera la presunzione di vessatorietà, non superata dal professionista predisponente.
Giusta la regola di rinvio contenuta nell’art. 1469sexies c.c., è poi evidente che il carattere dell’abusività, presupposto della tutela collettiva, si modella su quella della vessatorietà, definito nelle disposizioni relative alla tutela individuale, nel senso che al binomio vessatorietà - inefficacia corrisponde quello - diverso sotto il profilo della qualificazione (da un punto di vista di teoria generale) del vizio della clausola e degli effetti giuridici dello stesso in ragione del diverso stadio del procedimento di formazione del contratto in cui il vizio stesso viene in rilievo, ma identico quanto all’interesse tutelato ed all’individuazione delle previsioni contrattuali ritenute dal legislatore lesive di tale interesse - della abusività - inibitoria.
Quanto all’art. 15, secondo e terzo comma, del regolamento contrattuale, rileva questo collegio che tale clausola contiene una limitazione di responsabilità riconducibile al disposto dell’art. 1469 bis, n. 2 c.c..
È infatti senz’altro condivisibile l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, per cui “elemento non essenziale appare l’individuazione esatta della nave o dell’aliscafo a mezzo del quale il trasporto viene effettuato”, e che nessun connotato di abusività può essere ricondotto alla previsione di un’obbligazione alternativa in capo al professionista.
L’abusività della clausola risiede però nella limitazione di responsabilità (al “prezzo versato”) per l’ipotesi di risoluzione del contratto conseguente al rifiuto da parte del passeggero di un’obbligazione alternativa difforme qualitativamente o quantitativamente rispetto a quella dedotta in contratto (nave che parta “successivamente”), il che equivale a limitare i diritti del consumatore per l’ipotesi di adempimento inesatto da parte del professionista.
Quanto al terzo comma, valgono le medesime argomentazioni, atteso che in forza di tale clausola è il professionista predisponente a valutare l’imputabilità dell’inadempimento ed a limitare conseguentemente la propria responsabilità, in contrasto con la disposizione sopra richiamata.
Il requisito della sussistenza di giusti motivi di urgenza condiziona la concedibilità dell’inibitoria nelle forme del c.d. rito cautelare uniforme, anziché - è da ritenere - in quelle del giudizio ordinario di cognizione.
Il significato del richiamato elemento della fattispecie normativa non può certamente sovrapporsi a quello della categoria del periculum in mora, elaborato dalla giurisprudenza proprio in materia cautelare, per la evidente inconciliabilità fra canoni di giudizio strutturalmente teologicamente ancorati a controversie individuali e tendenzialmente successive ad un evento pregiudizievole, ovvero anteriori a questo, ma nell’imminenza della sua manifestazione, ed un giudizio di carattere preventivo e generale, la cui peculiarità funzionale è proprio quella di evitare che un pregiudizio, anche potenziale, abbia a colpire la categoria dei consumatori, a prescindere, come giustamente affermato nel provvedimento impugnato, “da una attuale lesione di diritti soggettivi”.
Poiché, come è stato osservato, l’inibitoria mira ad evitare che il contenuto di condizioni generali inique venga trasfuso nei contratti individuali, essa opera in una fase anteriore a quella in cui può configurarsi un pregiudizio, tradizionalmente inteso, in danno del singolo consumatore, sicché ricondurre i “giusti motivi di urgenza”, nella terminologia o nei contenuti, al periculum in mora, vuol dire non tener conto della specificità del giudizio, con conseguente svuotamento della pratica operatività del nuovo strumento di tutela.
Parimenti inaccoglibile è l’altra tesi estrema, quella che propone un capovolgimento radicale del rapporto regola - eccezione indicato nei primi due commi dell’art. 1469 sexies c.p.c., nel senso che il ricorso alla tutela urgente costituirebbe - in considerazione della natura della domanda e degli interessi coinvolti - la regola e non l’eccezione.
Non di un’interpretazione correttiva si tratterrebbe infatti, ma di una esegesi del testo legislativo radicalmente contrastante con il chiaro ed insuperabile principio ordinatore espresso dal testo medesimo, peraltro in rapporto di perfetta coerenza e sistematicità con le caratteristiche generali del sistema processuale in cui la domanda di inibitoria è calata, sistema che concepisce in chiave di eccezionalità e comunque di strumentalità rispetto al procedimento ordinario i rimedi latu sensu cautelari.
Non è dunque autorizzata dal dato testuale - né, come visto, da considerazioni di ordine sistematico - la tesi della tipizzazione legislativa dell’inibitoria come autonoma misura cautelare, rispetto alla quale il periculum in mora sarebbe in re ipsa, in relazione alla natura del fenomeno regolato.
D’altra parte, l’inibitoria, in quanto tale, non è un mezzo di tutela la cui previsione normativa implica una valutazione o presunzione di pericolo attuale o potenziale, tale da richiedere il (necessario) ricorso a forme di tutela extra ordinem : in materia di responsabilità aquiliana, come in materia di immissioni, l’azione inibitoria costituisce un tradizionale strumento di tutela che anche quando è posto a presidio di diritti di rango non inferiore a quelli in esame (si pensi al diritto alla salute) si propone, in assenza del positivo accertamento della sussistenza dei requisiti per l’emissione di un provvedimento cautelare, nelle forme del rito ordinario.
Nessuna significativa differenza, tale da giustificare la radicale inversione della prospettiva tradizionale, discende dalla trasposizione dell’inibitoria dal settore della tutela individuale dei diritti a quello della tutela collettiva, se non nel senso che si sta per precisare.
Conseguentemente, la concessione dell’inibitoria c.d. urgente richiede la sussistenza di ragioni specifiche, ancorché non parametrate su di un concreto pregiudizio ma modellate in relazione al particolare tipo di azione proposto, tali da giustificare il ricorso al rimedio previsto in via eccezionale piuttosto che a quello previsto in via ordinaria.
Ritiene che il collegio che, in tale operazione ermeneutica, sicuri e condivisibili punti fermi siano stati individuati nell’ordinanza impugnata con riferimento alla natura del diritto per il cui esercizio è necessario accedere alla stipulazione del contratto le cui clausole sono ritenute abusive, alla situazione strutturale del mercato, ed alla potenziale diffusività delle clausole abusive anche in relazione alle caratteristiche stagionali del mercato stesso.
Sotto il primo profilo non si può non condividere l’affermazione del giudice delegato per “l’oggetto del contratto riguarda l’esercizio di un diritto fondamentale della persona, quale quello di libertà di movimento, che sovente si tramuta in una vera e propria necessità per coloro che si spostano per esigenze cogenti (ad es. di lavoro).
Quanto più la conclusione del contratto si rivela per il consumatore un mezzo necessario per esercitare un diritto fondamentale della persona, tanto maggiore sarà la diffusività delle clausole contrattuali abusive, e tanto più rilevante sarà il pregiudizio arrecato ai consumatori dalla sottoposizione necessitata ad un regime contrattuale iniquo, essendo l’effettiva libertà di determinazione del consenso inversamente proporzionale all’importanza che riveste per l’esplicazione della personalità umana - nell’ambito della gerarchia dei valori indicata dalla Costituzione - il diritto per il cui esercizio il consumatore è costretto ad aderire ad un regolamento contrattuale eterodeterminato.
Quanto al secondo aspetto, non ha molto senso la contestazione, da parte della difesa reclamante, dell’affermazione del g.d. per cui è pacifico tra le parti che il trasporto marittimo è esercitato dalla Siremar in regime di monopolio.
Nel provvedimento impugnato la riferita affermazione si dà per pacifica tra le parti in relazione a “determinate mete” ; la stessa Siremar, nel foglio di deduzioni in data 27 agosto 1997 (pag. 3), aveva affermato che essa opera “in alternativa e concorrenza con operatori privati in diverse ‘tratte’ quale incaricata di un servizio pubblico” : il che evidenzia come esattamente il g.d. abbia fatto riferimento all’esistenza, pacifica tra le parti, di un monopolio (parziale) della Siremar.
Inoltre, dagli atti - ed in specie dalle produzioni documentali di parte reclamante - emerge che laddove la Siremar non opera come monopolista, essa agisce in regime di sostanziale oligopolio.
Ebbene, se la funzione dell’inibitoria è quella di evitare che condizioni generali di contratto abusive vengano trasfuse nei contratti individuali di consumo di beni e servizi, sul versante della sussistenza dei giusti motivi atti a giustificare concessione dell’inibitoria stessa in via di urgenza non può non avere un rilievo decisivo la circostanza che mentre in un regime di libera concorrenza l’utilizzo di clausole contrattuali abusive da parte di un professionista presenta una potenzialità diffusa inversamente proporzionale al numero dei professionisti concorrenti che operano in quello stesso settore di mercato (salvo che costoro applichino le medesime condizioni contrattuali, e sempre a condizioni dell’effettiva identità del ben o servizio offerto), invece in caso di monopolio od oligopolio l’abusività delle clausole è naturalmente - secondo una valutazione legata all’id quod plerumque accidit - destinata a numerosi rapporti contrattuali individuali, ove non ne venga tempestivamente inibito l’utilizzo.
Come è stato acutamente osservato in dottrina, è stata da tempo superata la convinzione che i contratti per adesione fossero espressione di un potere monopolitico ed oligopolistico.
Il rischio della predisposizione di clausole abusive, dunque, non è maggiore quando il predisponente sia un monopolista : quello che aumenta in questo caso, è il rischio della rilevante e rapida diffusione delle clausole stesse, tenuto anche conto che i residui settori di mercato ancora sottratti all’effettiva concorrenza sono, come in questo caso, quelli relativi all’esercizio di servizi od all’acquisto di beni di primaria necessità.
A tale considerazione si aggiunga poi, nello specifico, che nella stagione estiva aumenta considerevolmente il numero degli utenti del trasporto marittimo che concludono contratti individuali regolati dalle condizioni generali abusive.
Se lo scopo della tutela offerta con l’inibitoria è quello di evitare e prevenire la formazione di contratti individuali modellati su schemi generali viziati dal connotato dell’abusività, allora il criterio discretivo fra inibitoria c.d. ordinaria ed inibitoria c.d. urgente non può che risiedere, nel rispetto della lettera e dello spirito sia della legge che della direttiva, negli elementi indicati.
Pertanto, il reclamo principale risulta infondato anche sotto questo profilo.