Tribunale Roma sez. II - ordinanza 31 agosto 1998 - Giudice Delegato Costa - Adiconsum (Avv. P. Moreschini, G. Palmigiano e A. Palmigiano) - Enel S.p.A. (Avv. I. Cardarelli, E. Girino)
Contratto di somministrazione di energia elettrica ad uso privato - Vessatorietà di clausole - Inibitoria cautelare collettiva - Fumus boni iuris - Natura del servizio - Esclusione - Periculum in mora - Mancanza di pregiudizio dei singoli consumatori - Esclusione
Sono vessatorie le clausole suscettibili di determinare a prescindere dalla buona fede un significativo squilibrio dei diritti e dei doveri a carico del consumatore.
Il rapporto contrattuale intercorrente tra l'utente e l'Enel, portatore di un interesse costituzionalmente protetto, pur riconducibile alla figura privatistica del contratto di somministrazione, non può essere analizzato e valutato se non tenendo conto delle ragioni ed esigenze organizzative esistenti a monte del contratto, di cui le singole clausole sono diretta espressione.
Ciò che è predisposto per realizzare una utilità generale e soddisfare un preminente interesse generale non è vessatorio. Nessuno squilibrio può sussistere laddove le singole clausole, pur prevedendo vantaggi per il predisponente, siano dettate da giustificate esigenze organizzative e gestionali dell'impresa in difetto delle quali la stessa impresa non potrebbe svolgere in modo remunerativo la propria attività.
Rilevato che a fondamento della richiesta cautelare la ricorrente assume, quanto al fumus boni iuris, la gestione da parte dell'ENEL della fornitura dell'energia elettrica in regime di monopolio, utilizzando, a tal fine, moduli contrattuali contenenti clausole e condizioni vessatorie ed abusive sotto vari profili. In particolare con la clausola n. 1 verrebbe imposto all'utente di subire sulla sua proprietà la presenza e installazione degli apparecchi dell'ENEL utilizzati o utilizzabili anche per forniture di energia ad altri utenti, senza alcun corrispettivo per il peso imposto alla proprietà o in misura ridotta.Con la clausola n. 3 la posizione dell'utente sarebbe gravata dal rischio del ritardo nel pagamento delle fatture dato il termine piuttosto ristretto previsto per il pagamento delle stesse, collegato al sistema di consegna e distribuzione effettuato dal servizio postale, con applicazione, inoltre di una penale (interessi di mora) per il ritardo, oltre imposte e "maggiori spese", ed escludendo, per converso, qualsiasi efficacia sospensiva dei pagamenti al reclamo. Con la clausola n. 4 sarebbe prevista la cessione unilaterale da parte dell'ENEL del contratto di fornitura, senza però alcuna garanzia in ordine al terzo cessionario rispetto a quelle offerte dall'ENEL. Con la clausola n. 7 l'ENEL tenterebbe di sottrarsi alla responsabilità per le attività di verifica degli impianti dell'utente e per gli eventi dannosi verificatisi a valle del punto di consegna dell'energia.
Con la clausola n. 9 la responsabilità dell'ENEL per i danni causati dalle interruzioni e limitazioni delle erogazioni, dovute alla manutenzione degli impianti, a scioperi, ragioni di servizio o altre esigenze, verrebbe esclusa e, nel contempo, nessuna riduzione dei corrispettivi, risarcimento o risoluzione sarebbe prevista. Con clausola n. 10 verrebbero posti a carico dell'utente gli oneri fiscali o di altra natura, quindi indeterminati e ambigui. Con la clausola n. 11 sarebbe prevista la sospensione della fornitura in caso di inadempimento, anche se riferiti a precedenti titolari dell'utenza. Con la clausola n. 12, infine, verrebbe fissato il foro per le controversie avendo come riferimento la sede compartimentale dell'ENEL.
Quanto alla sussistenza del periculum in mora, la ricorrente evidenzia la natura di bene primario dell'energia elettrica, da cui il pregiudizio diretto in capo all'utente delle clausole abusive e vessatorie, giacché incidenti sui diritti fondamentali della persona, quali la vita e la salute, ed aggravata dal mancato adeguamento spontaneo alla direttiva comunitaria 93/13/CEE dell'ENEL dopo oltre tre anni dall'emanazione, nonché dalla riferita situazione di monopolista della stessa;
rilevato che l'ENEL, costituendosi in giudizio, contestava le avverse argomentazioni e chiedeva il rigetto del ricorso, deducendo l'infondatezza, inammissibilità e inutilità del ricorso e della misura cautelare richiesta, attesa l'imminente (settembre '98) sostituzione delle clausole censurate, quindi prima dell'esaurimento di qualunque giudizio di merito;
sentiti i procuratori delle parti all'udienza del 18 giugno 1998 e lette le note autorizzate depositate nel termine assegnato del 20 luglio 1998, sciogliendo la precedente riserva.
Osserva
Prima di esaminare nel dettaglio le singole clausole sospettate di vessatorietà da parte della ricorrente ADICONSUM, occorre analizzare il tipo e la natura degli interessi regolati dal contratto di fornitura di energia elettrica, nonché le particolari modalità con cui tale fornitura viene erogata in concreto, in modo da accertare - alla luce di tali concreti riferimenti - se risulti fondata o meno la censura di vessatorietà di tutte o di parte delle clausole del contratto.
Il dato di maggior rilievo, al riguardo, è costituito dall'essere, tale tipo di fornitura, un servizio essenziale per la collettività, tanto da aver portato, in passato, alla scelta della cosiddetta nazionalizzazione dell'energia elettrica, cui la nuova forma giuridica adottata dall'ente di gestione della stessa, secondo il modello privatistico della società per azioni, non ha apportato sostanziali mutamenti quanto al tipo e natura del servizio.
Per rendersi conto di ciò, ed avere, nel contempo, la certezza dell'essenzialità del servizio e prestazione offerta dall'ENEL è sufficiente ricordare la rilevanza costituzionale di tale situazione.
L'art. 43 della Costituzione - al quale va ricollegato l'art. 42 Cost. con riguardo ai beni economici - non a caso prevede la riserva in favore dello Stato ed enti pubblici di imprese operanti nell'ambito di servizi pubblici essenziali o delle fonti di energia con carattere di preminente interesse generale, in quanto tale riserva di proprietà è finalizzata a realizzare l'utilità generale della collettività.
Ciò significa che il rapporto contrattuale intercorrente tra l'utente del servizio e l'ENEL, pur riconducibile alla figura privatistica del contratto di somministrazione, non può essere analizzato e valutato se non tenendo conto delle ragioni ed esigenze organizzative esistenti a monte del contratto, di cui le singole clausole sono diretta espressione.
Pertanto, queste, dovranno essere valutate con riferimento alla sussistenza o meno delle ragioni che ne hanno dettato l'adozione da parte dell'ENEL, in quanto soggetto predisponente, e se tali ragioni siano di tale natura da giustificare l'eventuale vantaggio per lo stesso predisponente, quindi per poter stabilire se lo squilibrio dei diritti tragga origine da obiettive esigenze e ragioni organizzative o lato sensu gestorie, ovvero realizzino condizioni di favore sfornite di reale giustificazione, di modo che alterano l'equilibrio delle prestazioni dei contraenti.
Da questa rilevanza costituzionale dell'interesse tutelato discende un ulteriore elemento di perplessità riguardo al dedotto vizio di abusività delle codizioni di contratto adottate dall'ENEL, in quanto sembra incompatibile la finalità costituzionale dell'utilità generale con la predisposizione di clausole e condizioni di contratto vessatorie, in quanto contrarie agli interessi dei consumatori, per giunta largamente in uso e predisposte dall'ENEL, quando ancora era un ente pubblico. Ciò che avrebbe dovuto essere predisposto per realizzare una utilità generale e soddisfare un preminente interesse generale, si rivelerebbe, in realtà, vessatorio, cioè contrario all'interesse generale per un servizio pubblico essenziale, qual è certamente l'erogazione dell'energia elettrica.
D'altra parte, non vi è dubbio che tali condizioni di contratto siano in uso già da prima della trasformazione dell'ENEL in società per azioni, quindi concepite in un contesto pubblicistico per il soddisfacimento di quell'interesse pubblico tracciato dal legislatore costituzionale.
Questo dato di fatto assume rilievo decisivo ai fini che qui interessano, in quanto la predisposizione di tali clausole e condizioni contrattuali non è riferibile all'ENEL nella sua attuale natura di soggetto privato, bensì a quella precedente di soggetto pubblico, che quindi va tenuta presente per l'accertamento oggetto del ricorso.
Questo aspetto si riverbera, inoltre, ed assume rilievo fondamentale, sul contenuto dell'art. 1469 ter, primo comma, Codice civile, in quanto quest'ultimo ricollega il giudizio in ordine alla vessatorietà delle clausole alla natura del bene o del servizio ed alle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto.
Quindi, se per un verso il legislatore con l'art. 1469 bis, primo comma, Codice civile ha descritto il concetto di vessatorietà appuntandolo sulle clausole suscettibili di determinare (a prescindere dalla buona fede) un significativo squilibrio dei diritti e obblighi a carico del consumatore, per altro verso, ha puntualizzato e circoscritto l'ambito della valutazione con riferimento all'oggetto specifico del contratto (natura del bene o servizio) ed alla situazione di fatto esistente al momento della sua conclusione, quindi, in altri termini, al contesto economico e normativo esistente al momento della conclusione del contratto e della predisposizione delle clausole.
A ben vedere, tali limiti posti dal legislatore in ordine all'accertamento concreto dell'abusività delle clausole esprimono quella ragionevole esigenza di dover tenere conto, in sede di giudizio, delle ragioni di fatto e di diritto che hanno condotto alla conclusione e predisposizione delle singole clausole, e non limitare l'analisi valutativa delle stesse a criteri puramente teorici ed astratti, applicabili assetticamente ad ogni tipo di contratto tra il professionista ed il consumatore.
L'impostazione qui accolta, cioè quella di analizzare le singole clausole impugnate di vessatorietà attraverso la ricerca delle motivazioni eventualmente esistenti che ne hanno determinato la formulazione, appare collimante con quella adottata dal legislatore, tenuto conto del fatto che non qualunque equilibrio tra le prestazioni dà luogo alla vessatorietà delle clausole ma solo quello "significativo", il cui contenuto concreto deve essere ricercato dall'interprete (cioè il giudice) attraverso l'analisi dell'oggetto del contratto (natura del bene e servizio) e delle condizioni esistenti all'atto della predisposizione e conclusione.
E' necessario, pertanto, fare una prima precisazione, in modo da distinguere ciò che appartiene al meccanismo sinallagmatico che con la vessatorietà si ritiene alterato, e che dà luogo al significativo squilibrio di cui all'art. 1469 bis Codice civile, da quello che riguarda la maggiore o minore vantaggiosità delle prestazioni, che attiene, viceversa, all'aspetto economico e di mercato del rapporto contrattuale.Un contratto può, infatti, risultare complessivamente meno favorevole per il consumatore senza per questo presentare un tale squilibrio dei diritti e obblighi da renderlo vessatorio, ossia alterato nel rapporto sinallagmatico.
Quest'aspetto esprime semplicemente la dinamica economica e di mercato del contratto, di modo che le offerte meno vantaggiose (giuridicamente contenute in schemi contrattuali predisposti dal professionista) subiranno la concorrenza di quelle complessivamente più favorevoli, senza tuttavia dover necessariamente risultare vessatorie per il consumatore, quindi essere assoggettate ad un controllo-gravame inibitorio da parte del giudice.
Il rischio di commutare i due termini - quello economico con quello giuridico - nell'accertamento e valutazione della vessatorietà è stato puntualmente avvertito dal legislatore, il quale ha, per questo, escluso ogni possibile riferimento all'oggetto del contratto ed all'adeguatezza dei corrispettivi dei beni e servizi forniti dal professionista (cfr. art. 1469 ter, secondo comma Codice civile).
Tale scelta legislativa si giustifica pienamente in quanto, diversamente opinando, si perverrebbe ad una valutazione sul merito dell'attività dell'imprenditore, quindi sulla convenienza del modello contrattuale dallo stesso predisposto, che, viceversa, non è consentita al giudice. Il controllo giurisdizionale deve riguardare esclusivamente il contenuto e il bilanciamento delle prestazioni contrattuali sotto il profilo meramente giuridico, senza involgere la convenienza o meno del contratto predisposto dal professionista.
Per tale ragione, è indispensabile enucleare la struttura essenziale del meccanismo sinallagmatico di ogni tipo di contratto predisposto dal professionista (moduli, formulari, condizioni generali) per verificare se sussista o meno il vizio di vessatorietà.
Evidentemente, tale verifica concreta, nel caso di imprenditore monopolista (come nel caso dell'ENEL) deve essere condotta avendo costantemente presente tale singolare condizione di mercato e le ragioni che l'hanno determinata, giacché, nel caso del monopolista, venendo meno la possibilità di scelta tra più opzioni di mercato da parte del consumatore, assumono rilevanza le ragioni economiche e giuridiche che presiedono alla creazione di tale condizione di favore per il professionista.
In questi casi, l'analisi sulla vessatorietà delle clausole contrattuali risulta notevolmente più complessa, considerato il rischio di far rifluire in ambito giuridico aspetti attinenti al dato economico della convenienza del rapporto contratttuale, molto elevato che nel caso di professionista non monopolista.
I confini ed i limiti che segnano lo squilibrio dei diritti e obblighi delle parti tendono a confondersi con quelli che attendono al dato economico della vantaggiosità o meno del contratto e della prestazione offerta dal professionista.
Proprio in relazione a ciò è necessario verificare quali aspetti entrano a far parte della sfera economica e di vantaggio patrimoniale dell'imprenditore monopolista per distinguerli da quelli costituenti il dato normativo del rapporto giuridico con il consumatore, al fine di accertare se vi sia da parte del professionista monopolista uno sfruttamento e utilizzo di questa sua peculiare posizione per conseguire e ritrarre (attraverso condizioni generali o singole clausole) vantaggi economici che non trovano giustificazione in alcuna particolare esigenza o interesse dell'impresa, quindi solo produttive di un sostanziale e significativo squilibrio.
In definitiva, si può ritenere in linea di principio che nessuno squilibrio può sussistere laddove le singole clausole, pur prevedendo vantaggi per il predisponente, siano dettate da giustificate esigenze organizzative e gestionali dell'impresa in difetto delle quali la stessa impresa non potrebbe svolgere in modo remunerativo la propria attività, di modo che non può ritenersi esistente quel significativo squilibrio dei diritti ed obblighi che dà luogo alla vessatorietà delle clausole.
Analizzando nel dettaglio le singole clausole impugnate si rileva, pertanto, quanto segue.
La clausola n. 1 è stata censurata per la mancata previsione della corresponsione di un indennizzo al proprietario che debba sopportare sul proprio fondo l'installazione delle apparecchiature ENEL, potendo le stesse essere utilizzate anche per fornire l'energia elettrica a terzi.
In realtà, la clausola prevede, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la corresponsione di un indennizzo rapportato al valore di mercato dei locali o dei terreni gravati dalle attrezzature e strutture dell'ENEL, come previsto dall'inciso finale della stessa clausola. Questo, infatti, richiama la diretta applicabilità delle norme vigenti, quali integranti il contratto ai sensi dell'art. 1339 Codice civile, tra le quali certamente vi rientra il provvedimento del C.I.P. (cfr. provv. CIP n. 42 del 30 luglio 1986) relativo alla corresponsione di un compenso al proprietario in relazione al valore di mercato dei locali e dei terreni interessati.
A fronte di detta disposizione, sembra superflua ogni altra analisi circa l'abusività di detta clausola, riproducente esattamente la delibera del CIP, quindi non sottoponibile ad alcun giudizio di vessatorietà in quanto direttamente scaturente da atti a valore e contenuto normativo, come, peraltro, ribadito espressamente dall'art. 1469 ter, terzo comma, Codice civile.
In ogni caso, non sembra ravvisabile alcuna vessatorietà della clausola in considerazione delle circostanze esistenti al momento della sua predisposizione, come previsto dall'art. 1469 ter, primo comma, Codice civile, sempre in dipendenza della citata delibera del CIP, alla quale l'ENEL, anche volendo, non avrebbe potuto sottrarsi.
La stessa delibera, peraltro, ha limitato e definito il contenuto dei diritti e obblighi delle parti (quindi l'oggetto del contratto) in quanto ha previsto espressamente l'impegno dell'utente - richiedente l'allaccio dell'energia elettrica - di rendere disponibili i locali o terreni eventualmente occorrenti per realizzare l'allaccio della fornitura dell'energia.
Si tratta, come detto, di aspetti riguardanti il contenuto del contratto dettati e imposti, secondo precise modalità, da un atto normativo esterno, come tali sottratti a qualunque giudizio di vessatorietà, in applicazione del secondo comma dell'art. 1469 ter Codice civile.
Sotto il profilo sostanziale, detta clausola ha una sua intrinseca ragion d'essere che si ricollega alla efficienza del servizio, poiché con l'impegno del proprietario a consentire la realizzazione delle cabine elettriche sul proprio fondo viene eliminata la complessa procedura espropriativa che sarebbe necessaria in assenza di autorizzazione del titolare del diritto di proprietà, alla quale l'ENEL dovrebbe ricorrere normalmente per installare gli impianti via via necessari per la fornitura dell'energia elettrica.
Per rendere più celere la procedura e svolgerla nell'ambito meramente privatistico e paritetico, è stata predisposta tale clausola che introduce un obbligo del privato di accettare l'installazione sul proprio fondo all'atto della richiesta di allaccio dell'energia elettrica, ricevendo, per contro, un compenso riferito al valore di mercato del bene, in analogia con l'indennità espropriativa, ma con un meccanismo estremamente più agile, quindi sostanzialmente a vantaggio del servizio per gli utenti.
La clausola n. 3 è stata censurata per via dei tempi ristretti di pagamento delle fatture dalla data di spedizione.
Prescindendo dal dato di comune esperienza, in base al quale la data indicata sulle singole fatture consente tranquillamente di provvedere al pagamento senza particolari problemi di tempo, vi è da tener presente un altro aspetto della vicenda, assolutamente trascurato dalla ricorrente, cioè che la fornitura dell'energia elettrica fa sorgere un rapporto di durata stabile nel tempo fortemente caratterizzata dall'automatismo e ripetitività delle prestazioni che comporta l'emissione delle bollette bimestrali di addebito all'utente del consumo rilevato, di modo che quest'ultimo sa già in anticipo - data la ripetitività costante dell'addebito - che dovrà provvedere al pagamento dei consumi di energia.
Su questi presupposti di fatto, assume scarso rilievo il fatto della fissazione di termini non molto ampi per l'adempimento dell'obbligazione di pagamento, in quanto, come detto, si tratta di pagamenti periodici largamente conosciuti dall'utente, tali che in nessun caso lo stesso può trovarsi esposto al fattore sorpresa e rischio di inadempimento per il ricevimento della bolletta a ridosso del pagamento.
Non può, inoltre, non tenersi presente la normale prassi adottata dalla maggior parte degli utenti di effettuare il pagamento delle utenze domestiche, proprio in virtù della loro ripetitività costante nel tempo, attraverso gli istituti bancari, i cui costi, peraltro, non risultano superiori a quelli applicati dal servizio postale, nel caso di pagamento allo sportello postale. Si tratta, evidentemente, di comportamenti comunemente adottati dalla maggior parte degli utenti, la cui rilevanza - sotto il profilo che qui interessa - si riflette sul piano degli usi integrativi del contenuto contrattuale esistenti in un determinato contesto sociale, come si ricava dal combinato degli artt. 1374 e 1375 Codice civile.
Per tali ragioni, la censura di vessatorietà si rivela inconsistente, oltre che priva di rilievo pratico anche nel caso di astratta condivibilità.
In base alle norme citate deriva in capo all'utente un dovere di attivarsi, programmando in modo costante e stabile, per provvedere al pagamento dei consumi di energia, tenuto conto, come detto, della periodicità costante della fatturazione dei consumi da parte dell'ENEL.
Peraltro, tale dovere si rivela ancor più pregnante in considerazione delle dimensioni del servizio effettuato dall'ENEL e della complessa organizzazione interna che tale servizio essenziale richiede. Per ciò non sembra seriamente proponibile, proprio in base ai principi della correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, una censura di vessatorietà riferita ai termini di pagamento per un servizio costante nel tempo e contabilizzato a scadenze prestabilite, le quali escludono per definizione qualunque sorpresa e impreparazione dell'utente.
L'accertamento dello squilibrio nei diritti delle parti non può prescindere da tutto questo, diversamente si porrebbe in contrasto con l'evidenza dei fatti, ossia contro quelle "circostanze esistenti" di cui va tenuto conto ai sensi dell'art.1469 ter, primo comma, Codice civile.
Questo fatto si traduce, come accennato sopra, nella necessità di valutazione delle ragioni di fondo che presiedono all'inclusione di una determinata clausola, ragioni che, quantunque inespresse, fanno parte del contenuto contrattuale, nel senso che costituiscono espressione degli interessi sostanziali delle parti.
Altro riscontro normativo è il fatto che, in base all'art. 1469 bis, primo comma, Codice civile, non qualsiasi alterazione sinallagmatica (squilibrio) dà luogo ad un giudizio di vessatorietà della clausola, bensì solo quello connotato dalla significatività, quindi, appare chiaro, che l'individuazione di questa condizione invalidante del contenuto contrattuale deriva dall'accertamento degli interessi sostanziali delle parti, variabili di caso in caso. Al quale si aggiunge il riferimento, sempre normativo (cfr. art. 1469 ter, primo comma, Codice civile), dell'analisi complessiva delle clausole in relazione all'intero contenuto contrattuale, o a quello del contratto collegato e preordinato.
Ciò significa che il legislatore ha vincolato l'interprete alla valutazione delle clausole impugnate di vessatorietà all'interno dell'intero contenuto contrattuale nel senso più lato possibile, tanto da includere il contenuto del contratto collegato.
Il significato di questo limite posto dal legislatore non può essere altro che quello sopra enucleato, per cui l'effettiva sussistenza dello squilibrio dei diritti e obblighi delle parti non può che dipendere dallo squilibrio e rilevanza assunta dagli interessi regolati dal rapporto negoziale tra il professionista ed il consumatore, quindi con riferimento alle singole clausole, al contratto nella sua interezza ed a quelli eventualmente collegati e preordinati.
Tornando al caso in esame, appare evidente che, come detto, l'interesse primario perseguito dall'ENEL, sotto il profilo qualitativo, assume un rilievo decisivo nella valutazione della vessatorietà, e, nel contempo, l'aspetto organizzativo conseguente al dato quantitativo del numero dei rapporti posti in essere, svolge ugualmente un ruolo fondamentale a questo stesso fine.
La questione, quindi, dell'adempimento dell'obbligazione del pagamento della fornitura non può essere trattata con la prospettiva limitata del singolo contratto con l'utente come realtà a se stante, ma deve tener conto, in aderenza al dato concreto, della complessità della gestione della prestazione di un servizio quale quello della fornitura dell'elettricità.
Per queste stesse ragioni, deve escludersi la vessatorietà della clausola (la n. 3) nella parte in cui prevede l'addebito degli interessi di mora, attesa l'applicabilità del principio generale secondo cui il creditore di un'obbligazione pecuniaria ha diritto agli interessi di mora nel caso di ritardo nell'adempimento (cfr. art. 1224 Codice civile), diritto che può essere regolato per accordo tra le parti, stabilendo una diversa misura degli interessi di mora.
La ratio di tale clausola è, peraltro, d'intuita evidenza, avendo questa la funzione di scoraggiare possibili inadempimenti - o ritardi nell'adempimento - su larga scala dell'utenza, che viceversa potrebbero essere incoraggiati o stimolati proprio dall'assenza di conseguenze di tipo sanzionatorio.
La necessità di un sistema di autotutela per il soggetto erogatore giustifica ampiamente l'adozione di tale clausola, stante il potenziale pregiudizio derivabile da ripetuti inadempimenti dei consumatori.
La clausola n. 4 è stata censurata in quanto prevede la possibilità di cessione del contratto ad un terzo, senza garanzie sul mantenimento delle condizioni praticate dall'ENEL.
La censura va disattesa, giacché la previsione pattizia della cessione del contratto e della sostituzione di un terzo nell'erogazione del servizio può ritenersi una clausola vessatoria nel solo caso in cui - a seguito della sostituzione - mutino in concreto le condizioni di tutela del consumatore e dei diritti di questo (cfr. art. 1469 ter, terzo comma, n. 17, Codice civile).
E' evidente, quindi, che tale mutamento peggiorativo deve risultare dalla stessa clausola o comunque dal contenuto del contratto, diversamente la valutazione della diminuzione della tutela dei diritti dell'utente opererebbe su un piano aprioristico ed astratto, e in tal caso non vi sarebbe stata alcuna necessità da parte del legislatore di ancorare la vessatorietà della cessione del contratto al mutamento dei diritti del consumatore, in quanto sarebbe stato sufficiente la previsione in se stessa della sostituzione del professionista per ritenere vessatoria la clausola, a prescindere da ogni altra considerazione.
Nel caso di specie, il contratto prevede la cessione ma non sussiste alcuna concreta possibilità di prospettare una diminuzione della tutela dell'utente. Per altro verso, la natura del bene e del servizio prestato dall'ENEL, è tale da escludere la cessione del contratto generalizzata, ossia a un terzo qualsiasi, giacché i possibili cessionari dovranno possedere una struttura organizzativa e dei requisiti di capacità tecnica tale da garantire l'erogazione dell'energia alle stesse condizioni dell'ENEL.
Non va tralasciato, a questo riguardo, che quest'ultima può regolamentare l'effettuazione dell'erogazione dell'energia elettrica nei confronti di tutti i soggetti a ciò autorizzati, e che tale potere conferitogli dalla legge è strumentale alla creazione di quelle condizioni della fornitura uguali per tutti gli utenti. Pertanto, è un'ipotesi irrealizzabile in concreto, quella della cessione del contratto a qualunque terzo la cui organizzazione operativa in questo delicato settore non sia tale da conservare le condizioni di erogazione dell'energia uguali a quelle dell'ENEL.
La clausola n. 7 contempla l'esclusione di responsabilità per le verifiche effettuate sugli impianti in disponibilità dell'utente, esclusione collegata sia alle irregolarità eventualmente riscontrate, sia ai danni verificatisi a valle del punto di consegna dell'energia.
A parte il fatto della modifica di tale clausola con l'inciso "salvo che per cause imputabili all'ENEL", che rende superata ogni questione pratica e teorica sulla vessatorietà della stessa, tale integrazione appare assolutamente pleonastica giacché anche senza detto inciso non vi era alcuna possibilità per l'ENEL di sottrarsi alla responsabilità per fatti direttamente imputabili alla stessa, anche con il testo previgente della clausola.
In ogni caso, la clausola non appare vessatoria in quanto l'ambito di operatività della stessa riguarda, come detto, l'attività di verifica degli impianti, assolutamente necessaria e doverosa da parte dell'ENEL, di conseguenza, anche nella originaria formulazione, non comportava una generale esclusione della responsabilità in favore della stessa, bensì un'esclusione strettamente collegata e dipendente dall'attività di verifica degli impianti, in quanto necessaria e obbligatoria.
La clausola aveva lo scopo di escludere la responsabilità dell'ENEL nello svolgimento dell'ordinaria manutenzione e verifica degli impianti, non certo per i fatti dolosi o colposi imputabili all'ENEL, sia pure in occasione di detta attività.
Relativamente, poi, ai danni verificatisi a valle del punto di consegna dell'energia, non sembra seriamente argomentabile alcuna alternativa, salvo il caso di attribuire all'ENEL una responsabilità per un fatto non soggetto alla propria sfera di controllo e dominio, quindi non imputabile alla stessa, cosa assolutamente contraria ai principi dettati dall'ordinamento in materia di responsabilità civile.
Analogo discorso va fatto in relazione alla clausola n. 9 per quanto concerne l'esonero della responsabilità dell'ENEL in dipendenza da interruzioni della fornitura dell'energia per manutenzione degli impianti o per altre esigenze, ovvero a seguito di scioperi o ragioni di servizio, in relazione alle quali non è prevista alcuna riduzione dei corrispettivi, ovvero il risarcimento danni o la risoluzione del contratto.
Appare evidente come la clausola escluda la responsabilità dell'ENEL in relazione alle interruzioni della fornitura dell'energia non dovute a cause alla stessa imputabili, quali appunto gli scioperi, ovvero a cause accidentali, come tali non preventivabili a monte.
In caso contrario, se si ritenesse l'ENEL responsabile anche in questi casi, si affermerebbe il principio dell'imputabilità di un fatto a prescindere dalla riferibilità dello stesso alla volontà del soggetto.
Nel caso, invece, dell'interruzione dovuta alla manutenzione degli impianti, viene in evidenza l'interesse prevalente al mantenimento della piena efficienza degli stessi per la migliore e costante fruizione del servizio da parte della collettività dei consumatori, di conseguenza, vertendosi in un ambito di esercizio di un diritto-dovere da parte dell'ENEL, non può ad essa collegarsi la responsabilità per il fatto stesso di assolvere ad un compito primario. Senza la manutenzione degli impianti verrebbe minata la stessa efficienza del servizio con danno per i consumatori certamente superiore a quello che si vuole sostenere da parte dei ricorrenti, appuntabile al massimo in capo ad un'esigua minoranza di utenti. A questo si aggiunga il fatto che non sembra possibile ipotizzare l'effettuazione della manutenzione senza sospensioni dell'erogazione dell'energia, poiché questo fatto, come sottolineato dalla resistente, esporrebbe a rischio elevatissimo gli stessi operatori dell'ENEL, da cui discenderebbe sicuramente in capo a quest'ultima una grave responsabilità sia civile che penale.
Le censure rivolte poi con riferimento alle clausole n. 10, 11 e 13, oltre ad essere totalmente immotivate, appaiono assolutamente destituite di fondamento. Infatti, per gli oneri fiscali in vigore per la tassazione dei consumi di energia elettrica, mentre per quanto concerne l'addebito di "altri oneri" deve essere tenuto presente il limite posto dall'art. 1469 ter, secondo comma, Codice civile, alla censurabilità delle clausole per gli aspetti che attengono all'adeguatezza dei corrispettivi previsti.
Si tratta evidentemente di oneri non predeterminabili da parte dell'ENEL al momento della conclusione del contratto i quali possono derivare da successive norme impositive di natura pubblicistica, e che, di conseguenza, non possono che gravare sull'utente. E' di palmare evidenza, infatti, che non si può trattare di oneri arbitrariamente decisi dall'ENEL, in quanto tutta la materia delle forniture dei servizi essenziali, ivi compresi i costi del servizio, è regolata a livello normativo, e non da unilaterali ed autonome decisioni speculative dell'ENEL.
Per quanto riguarda la sospensione dell'erogazione in caso di inadempimento dell'utente agli obblighi contrattuali, si rileva l'assenza di qualsiasi profilo di vessatorietà atteso il carattere ed il contenuto di autotutela sotteso dalla clausola in esame, di fronte al problema potenziale rappresentato dall'inadempienza del consumatore, avuto riguardo al rischio, connesso all'innumerevole quantità di utenze installate, di generalizzati inadempimenti da parte dei consumatori nel caso in cui l'ENEL fosse comunque tenuta a fornire l'energia. In questo caso, il danno sarebbe certamente incalcolabile, sia per l'aspetto economico degli ammontari non corrisposti dagli utenti per l'energia consumata, sia per l'intrinseca potenzialità diffusiva di siffatti comportamenti, se non fosse prevista alcuna conseguenza negativa nei confronti dei medesimi.
Per la clausola n. 12 non è stata espressa alcuna motivazione a sostegno della dedotta vessatorietà, se non un generico riferimento al contrasto con l'art. 1469 bis, secondo comma, n. 20, Codice civile, assolutamente insufficiente a sostenere le ragioni della ricorrente, a parte ogni altra motivazione, in quanto il richiamo di detta norma appare totalmente inconferente, vertendosi, nella specie, nell'ambito della concreta definizione del termine iniziale di efficacia del contratto per l'ENEL, collegato all'inizio dell'erogazione, pertanto, non vi vede, per un verso, in che modo tale clausola possa risultare vessatoria sotto il profilo dello squilibrio significativo dei diritti; per altro verso, come tale previsione contrattuale possa contrastare con la norma citata (n. 20 art. 1469 bis Codice civile), posto che la stessa considera vessatorio l'inserimento della condizione potestativa per l'efficacia del contratto a fronte di un'obbligazione immediatamente efficace per il consumatore. Si tratta evidentemente di due ipotesi diverse e non assimilabili.
Nel caso in esame, infatti, appare evidente che l'efficacia del contratto per l'utente è strettamente collegata, in linea sostanziale, al consumo dell'energia elettrica, da cui deriva il pagamento delle fatture, di conseguenza il riferimento contenuto nella clausola alla messa a disposizione dell'energia quale momento di efficacia concreta del contratto, oltre che logico, risponde esattamente al contemperamento degli interessi delle parti. L'ENEL, infatti, rimane obbligata a partire da detto momento e l'utente solo da tale momento beneficerà del servizio, quindi sarà tenuto, solo ad energia erogata, al pagamento dei corrispettivi.
Non è dato intravedere, al di là delle formule lessicali usate, quale diverso obbligo possa gravare sull'utente prima della concreta messa a disposizione dell'energia, per cui viene meno in radice ogni elemento materiale per ritenere sussistente uno squilibrio nei diritti delle parti.
Infine, la fissazione del foro territoriale competente, con riferimento alla sede compartimentale dell'ENEL non solo non appare squilibrare il rapporto, ma al contrario deve ritenersi vantaggioso anche per il consumatore, in quanto questo avrà verosimilmente la propria residenza e dimora abituale nell'ambito territoriale del compartimento ENEL dove il contratto di fornitura è stato concluso. Di conseguenza, la sede del compartimento ENEL coincidente con il foro della giurisdizione sarà coincidente per la maggior parte dei casi anche con la residenza e domicilio del consumatore.
In ogni caso, dato l'elevatissimo numero di utenze installate, quindi di contratti conclusi, cui potenzialmente può scaturire un rapporto contenzioso, appare comprensibile la fissazione di un foro convenzionale indicato dal professionista sulla base delle proprie esigenze organizzative, dato che non sembra seriamente prospettabile la fissazione di volta in volta del foro competente con i singoli utenti.
Per le ragioni sopra dette non sussiste alcuna vessatorietà delle clausole impugnate dall'Adiconsum, né, in generale, delle condizioni di contratto applicate dall'ENEL, di conseguenza il ricorso va rigettato.
Quest'ultimo appare infondato anche sotto il profilo della sussistenza del pericolo nel ritardo.
Non sussiste in alcun modo tale requisito per l'adozione della cautela inibitoria richiesta.
Al riguardo, infatti, si deve tener conto della particolare natura dell'interesse tutelato dall'art. 1469 bis Codice civile, in quanto norma riferita alla collettività dei consumatori e non ai singoli consumatori individualmente considerati. Pertanto, si tratta di interessi di natura generale riferiti alla massa indistinta dei consumatori, ed è quindi a questo tipo di interesse collettivo che bisogna fare riferimento al fine di accertare se vi sia una lesione attuale e immediata dello stesso, tanto da dover ricorrere al mezzo urgente della tutela cautelare inibitoria regolata dal secondo comma dell'art. 1469 sexies Codice civile.
Il riscontro dalla natura collettiva e generale della tutela apprestata dal legislatore a tale tipo di interesse si coglie sotto il profilo della legittimazione ad agire prevista, nella stessa norma, dal legislatore, il quale ha individuato tale legittimazione attiva in capo alle associazioni di categoria dei consumatori e dei professionisti, oltre che alle camere di commercio, escludendola, per converso, per i singoli consumatori.
Questa scelta legislativa dimostra quanto sopra affermato in ordine alla natura dell'interesse tutelato da detta norma, al quale, quindi, bisogna fare riferimento per accertare se sussista o meno una lesione dello stesso. Più in particolare, accertato il requisito del fumus boni iuris, dovrà riscontrarsi il periculum in mora, ossia l'esistenza di un potenziale pregiudizio per l'interesse tutelato non suscettibile di riparazione patrimoniale, ed in senso lato, di una situazione modificativa attuale i cui effetti lesivi non appaiano eliminabili con la decisione di merito. Sussistendo siffatti presupposti, infatti, il sistema consente il ricorso allo strumento cautelare, caratterizzato proprio dall'essere strumentale alla conservazione dei prevedibili effetti della decisione di merito per quelle situazioni di fatto insuscettibili di essere ripristinate in senso stretto o per equivalente (cfr. in generale ord. Trib. Roma 15 marzo 1998, Federconsumatori c/o Assitalia).
Nel caso in trattazione, nulla di tutto ciò sembra seriamente prospettabile, tenuto conto che si tratta di condizioni contrattuali in uso da notevole tempo nei confronti di un numero elevatissimo di utenti, senza che oggettivamente sia derivato alcun pregiudizio irreparabile sia rispetto all'interesse generale preso in considerazione dalla norma, sia rispetto alle posizioni dei singoli consumatori, ancorché, come detto, tale riferimento individuale non sia corretto.
A fronte di tale situazione pregressa, sarebbe assai strano ritenere sussistente un pericolo di danno irreparabile con riferimento all'interesse generale della collettività dei consumatori, allorché questo stesso pregiudizio non sia riscontrabile in capo ai singoli utenti, tenuto conto dell'inevitabile connessione e la complementarietà esistente tra i due interessi (collettivo e individuale), fondamento della creazione di organizzazioni espressive dell'esponenzialità degli stessi.
Il notevole tempo intercorso in cui le condizioni di contratto in questione hanno avuto concreta esecuzione, senza alcun significativo ed apprezzabile danno per l'interesse dei consumatori, e in particolare la non individuabilità concreta di un danno avente caratteristiche di irreparabilità per la generalità degli utenti, conduce, di per sé, ad escludere il requisito del periculum.
Il ricorso alla tutela cautelare si giustifica, come detto, laddove sia necessario impedire nell'immediatezza il nesso causale tra un determinato fatto o comportamento e gli effetti lesivi da questo prodotti su una situazione giuridica soggettiva che se riconosciuta tale in sede di giudizio di merito non sarebbe suscettibile di completa reintegrazione.
Per l'insieme di questi motivi, l'accertamento sulla vessatorietà delle clausole contrattuali - diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente associazione Adiconsum - non può essere compiuto dando alla locuzione "giusti motivi" utilizzata dal legislatore (art. 1469-sexies Codice civile) il significato di escludere la necessità del pericolo nel ritardo, quale requisito essenziale della tutela cautelare, e di limitare lo stesso alla verifica dell'esistenza del solo fumus boni iuris.
Questo Tribunale, nella richiamata ordinanza del 15 marzo 1998, ha già illustrato il rapporto intercorrente tra il riferimento ai giusti motivi d'urgenza, di cui all'art. 1469- sexies Codice civile, e il requisito del periculum in mora, alla quale si rinvia totalmente per questo aspetto, trattandosi di provvedimento citato e richiamato da entrambe le parti del presente procedimento.
In questa sede può solo ribadirsi come i giusti motivi d'urgenza non possono tradursi in un criterio assolutamente discrezionale dell'interprete privo di elementi concreti di riferimento e controllo, quale diventerebbe se venisse sganciata dal requisito del pericolo nel ritardo.
L'unico riferimento attendibile e riscontrabile è, a ben vedere, l'accertamento, insieme al fumus, del periculum, senza il quale la tutela cautelare in questa materia dipenderebbe probabilmente "dall'umore" del giudice, col risultato che non vi sarebbe più alcuna differenza (se non quella dei tempi del provvedimento giurisdizionale) tra la tutela cautelare e quella di merito.
Nel caso di specie, ossia della tutela offerta dall'art. 1469 sexies, primo e secondo comma, Codice civile non può confondersi il pregiudizio eventualmente derivabile in capo al singolo consumatore con quello riferibile alla collettività dei consumatori, giacché il primo non può essere azionato né tutelato, in via diretta, attraverso la norma citata, quindi non può essere preso a riferimento in questa sede sia per quanto riguarda il fumus, sia per ciò che attiene al periculum.
Dalla reiezione del ricorso discende la condanna della ricorrente associazione alla refusione delle spese del giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
1) rigetta il ricorso.
(Omissis)