Appello Milano sez. I - 18 dicembre 2001 - pres. De Ruggiero - est. Tavassi - Taglienti (avv. Albertoni e Di Ciollo) c. Mediofactoring s.p.a. (avv. Benatti).
In genere - clausole abusive - artt. 1469 bis e ss. Codice civile - natura retroattiva - esclusione - direttiva 93/13/CEE - efficacia retroattiva - ammissibilità - limiti.
Fideiussione - del socio in favore della società - disciplina ex artt. 1469 bis e ss. Codice civile - applicabilità - esclusione.
Gli artt. 1469 bis e ss. Codice civile non si applicano ai contratti stipulati anteriormente alla loro entrata in vigore; nondimeno, la direttiva comunitaria, in applicazione della quale sono state introdotte nel nostro ordinamento le norme suddette, essendo sufficientemente dettagliata, è direttamente applicabile ai contratti stipulati successivamente ad essa, e comunque è rinvenibile nel nostro ordinamento un principio generale, secondo cui lo ius superveniens si applica ai contratti di durata.
La disciplina di cui agli artt. 1469 bis e ss. Codice civile non è applicabile alla fideiussione stipulata dal socio di una società di capitali a garanzia dei debiti di quest'ultima, quando risulti che il socio stesso prestava la propria attività lavorativa in favore della società.
FATTO
Una società di capitali cedeva pro solvendo i propri crediti nei confronti di un cliente ad un factor, il quale anticipava al cedente l'importo del credito. Il factor esigeva, altresì, che - nel caso in cui il credito ceduto non fosse stato onorato - l'obbligo restitutorio del cedente fosse garantito da fideiussione, che nella specie veniva prestata da un socio, il quale svolgeva la propria attività lavorativa in favore della società.
In seguito alla insolvenza sia del debitore ceduto, sia del creditore cedente, il factor cessionario conveniva in giudizio il fideiussore del cedente, chiedendone la condanna al pagamento della quota di credito ceduto restato insoluto.
Il fideiussore, per quanto qui rileva, eccepiva la nullità di una nutrita serie di clausole contrattuali (quella che derogava alla competenza dell'autorità giudiziaria, e varie altri), per contrasto con l'art. 1469 bis Codice civile.
L'eccezione è stata rigettata dal tribunale in primo grado, con pronuncia confermata dalla corte d'appello.
MOTIVI
La Corte ha ritenuto l'inapplicabilità, al contratto di specie, degli artt. 1469 bis e ss. Codice civile per varie ragioni concorrenti.
In primo luogo, perché il contratto era stato stipulato prima dell'entrata in vigore delle suddette norme, introdotte nell'ordinamento con la legge 6 febbraio 1996 n. 52. Inoltre - prosegue la sentenza - se pure si volesse invocare l'applicazione diretta della direttiva comunitaria sulle clausole abusive (dir. 93/13/CEE), che era anteriore al contratto in contestazione, rimarrebbe comunque il limite stabilito dalla direttiva medesima (art. 10, secondo comma), che prescrive l'applicabilità della disciplina a tutti i contratti stipulati successivamente al 31 dicembre 1994, data entro la quale gli ordinamenti interni erano chiamati a dare attuazione alle disposizioni comunitarie.
In via ulteriormente gradata, peraltro, la Corte ha osservato che la direttiva si potrebbe ritenere applicabile anche ai contratti stipulati prima del 31 dicembre 1994, in forza di principi generali dell'ordinamento interno che consentono l'applicazione delle nuove norme alle clausole contrattuali i cui effetti si protraggano nel tempo, dopo l'entrata in vigore della nuova legge, o che siano destinate a divenire efficaci dopo tale entrata in vigore.
Questa conclusione, tuttavia, nella specie sarebbe stata impossibile, perché il fideiussore non poteva vantare la qualifica di "consumatore", ex art. 1469 bis Codice civile.
Nella specie, infatti, il fideiussore aveva prestato la garanzia in quanto era socio del debitore, ed in quanto lavorava per lo stesso. Il fideiussore dunque non era esclusivamente una partecipante al capitale sociale, ma collaborava attivamente all'attività d'impresa. Non era dunque un "consumatore".
Infatti - prosegue la sentenza - l'art. 1469 bis, secondo comma, Codice civile definisce il "consumatore" come "la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata". La norma nazionale si differenzia di poco, dalla corrispondente norma comunitaria; l'art.2 lett. b) della Dir. 93/13/CEE definisce "consumatore", "qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale".
La definizione di "consumatore" è caratterizzata da " behaviorismo ": la medesima persona fisica, cioè, può rivestire o meno il ruolo di consumatore a seconda del comportamento seguito ed a seconda dello scopo che oggettivamente denota la sua attività negoziale. Se la sua attività negoziale è da porre in relazione all'esercizio, individuale o collettivo, di una impresa o di una professione, allora, in tal caso, la persona fisica non è qualificabile come "consumatore" ed il suo atto negoziale non è regolato dagli artt. 1469 bis e segg. Codice civile.
L'art. 1469 bis Codice civile, dunque, va applicato solo alle persone fisiche che agiscono per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale; diversamente, come indicato nella definizione del professionista, il legislatore avrebbe ugualmente specificato "persona fisica o giuridica". Così stando le cose, solo il soggetto fisico che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale, ha diritto, in base all'art. 1469 bis Codice civile, di essere tutelato da clausole vessatorie che possono creare squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Tutti gli altri consumatori ne restano fuori.
L'ambito di applicazione dell'art. 1469 bis Codice civile va dunque individuato sottolineando il connotato oggettivo della relazione posta dalla norma tra l'atto negoziale e l'attività imprenditoriale o professionale. Il fatto che il negozio posto in essere dalla persona fisica sia in relazione oggettiva con una attività imprenditoriale o professionale, ponendosi il negozio quale "strumento" o "scopo", per raggiungere un vantaggio per detta attività imprenditoriale o professionale, è sufficiente ad escludere che tale negozio sia soggetto alle disposizioni dell'art. 1469 bis e segg. Codice civile.
Tale principio ha trovato conferma in alcune recenti pronunce della Cassazione, la quale - occupandosi della analoga disposizione di cui alle lett. da a) a d) dell'art. 1, D. LGS. 15 gennaio 1992 n. 50, concernente la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, ha precisato che ciò che rileva, ai fini dell'assunzione della veste di "consumatore" non è il "non possesso", da parte della persona fisica che ha contrattato con un 'operatore commerciale', della qualifica di "imprenditore commerciale", ma lo scopo avuto di mira dall'agente, nel momento in cui ha concluso il contratto.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto "evidente" che la garanzia prestata dal socio era funzionale all'attività della società, e trovava causa nell'attività dallo stesso prestata e nel ruolo dal medesimo svolto nell'ambito dell'impresa.