TRIBUNALE DI TORINO; sentenza 16 aprile 1999; Giud. ARAGNO; Comitato difesa consumatori (Avv. BIN) c. Soc. Fiat auto (Avv. SPERANZA, CRIPPA, VALENTI), Soc. Progetto e Soc. Sogea
Contratto in genere, atto e negozio giuridico - Contratti dei consumatori - Azione inibitoria - Legittimazione attiva (Cod. civ., art. 1469 sexies).
Contratto in genere, atto e negozio giuridico - Contratti dei consumatori - Azione inibitoria
Legittimazione passiva - (Cod. civ., art. 1469 sexies).
Contratto in genere - atto e negozio giuridico- Contratti dei consumatori - Compravendita di autovetture - Garanzia per vizi - Esclusione della disciplina legale - Inibitoria (Cod. civ., art. 1469 bis, 1469 sexies, 1490).
Contratto in genere, atto e negozio giuridico - Contratti dei consumatori - Compravendita di autovetture - Garanzia c.d. anticorrosione - Delimitazione - Abusività - Esclusione (Cod. civ., art. 1469 bis, 1469 sexies).
Contratto in genere, atto e negozio giuridico - Contratti dei consumatori - Compravendita di autovetture - Caparra confirmatoria - Importo non manifestamente eccessivo - Abusivita’ - Esclusione (Cod. civ., art: 1385; 1469 bis, 1469 sexies).
Contratto in genere, atto e negozio giuridico: Contratti dei consumatori - Compravendita di autovetture - Deposito cauzionale - Mancato versamento - Facoltà di recesso, del professionista - Abusività - Esclusione (Cod. civ., art. 1469 bis, 1469 sexies);
Contratto in genere, atto e negozio giuridico - Contratti, dei consumatori - Compravendita di autovetture Inadempimento del, cliente - Diritto del professionista di trattenere la caparra ricevuta - Inibitoria (Cod. civ., art. 1385, 1469 bis, 1469 sexies).
È legittimata ad esperire l’azione inibitoria prevista dall'art. 1469 sexies c.c., un'associazione che ha quale scopo statutario la difesa dei consumatori, conta, un elevato numero di iscritti e ha sedi locali in numerose regioni. (6)
Va riconosciuta, in relazione all'azione inibitoria prevista dall’articolo 1469 sexies c.c., la legittimazione passiva del professionista che predispone e raccomanda l'adozione di condizioni generali di contratto. (7)
Deve essere inibita l'utilizzazione della clausola, contenuta nelle condizioni generali di un contratto di compravendita di autovetture, con cui si esclude, in caso di cattivo funzionamento del bene, l'applicazione della disciplina legale della garanzia per vizi della cosa venduta, ancorché il professionista si impegni alla riparazione gratuita del bene ovvero a, mettere a disposizione del cliente, a titolo di comodato gratuito, un 'autovettura sostitutiva. (8)
Non è abusiva la clausola, contenuta nelle condizioni generali di un contratto di compravendita di auto vetture, in virtù della quale la garanzia accordata per il caso di perforazione della carrozzeria provocata dalla corrosione viene esclusa con riguardo agli elementi riparati, modificati o montati fuori della rete assistenziale del costruttore ovvero nel caso in cui l'autovettura non sia stata sottoposta, entro il termine pattuito, ad ispezione presso un 'officina appartenente a detta rete assistenziale. (9)
Non è abusiva la clausola, contenuta nelle condizioni generali di un contratto di compravendita di autovetture, con cui si prevede che il consumatore versi, a titolo di caparra confirmatoria, una somma non superiore al dieci per cento del valore della fornitura, importo da non ritenersi manifestamente eccessivo. (10) .
Non è abusiva la clausola, contenuta nelle condizioni generali di un contratto di compravendita di auto vetture, con cui si attribuisce al professionista la facoltà di recedere in qualsiasi momento dal contratto nell'ipotesi di mancato versamento del deposito cauzionale, quantunque il consumatore possa esercitare analoga facoltà, in caso di ritardo nella consegna del bene, soltanto dopo quattro settimane dalla scadenza del termine pattuito. (11)
Deve essere inibita l'utilizzazione della clausola, contenuta nelle condizioni generali di un contratto di compravendita di autovetture, con cui, ove il consumatore non effettui il pagamento del prezzo entro due settimane dalla scadenza del termine pattuito, si attribuisce al professionista la facoltà di recedere dal contratto e di incamerare la caparra ricevuta, quante volte non sia previsto a favore del consumatore, nel caso di inadempimento del professionista, il diritto di recedere dal contratto e di ottenere il doppio della caparra versata. (12)
Svolgimento del processo.
Con atto di citazione notificato in data 14 dicembre 1996, 17 e 16 dicembre 1996 il Comitato difesa consumatori conveniva in giudizio la Fiat auto s.p.a. e le concessionarie Sogea s.p.a. e Progetto s.p.a. al fine di ottenere sentenza volta ad inibire alle convenute l'uso di clausole, specificamente indicate, contenute nelle condizioni generali di contratto dalle convenute concessionarie utilizzate e dalla Fiat auto predisposte e ciò ai sensi dell'art. 1469 sexies c.c., oltre alla pubblicazione della sentenza, a loro spese su tre quotidiani specificamente indicati nonché sul mensile Quattroruote.
Elencava analiticamente parte attrice i motivi di contrasto delle singole clausole con la normativa introdotta dal legislatore in attuazione alla direttiva 93/13/Cee sottolineando altresì che numerose delle clausole originariamente contenute nelle condizioni generali di contratto denominate «patto chiaro» erano state dalle convenute modificate in conseguenza dell'azione cautelare da essa attrice in precedenza proposta.
Si costituiva in causa la Fiat auto s.p.a. chiedendo dichiararsi inammissibili le domande avanzate e comunque la loro reiezione nel merito.
Rilevava infatti la convenuta di non svolgere alcuna attività impositiva nei confronti delle concessionarie, ma da limitarsi a consigliare a queste l'utilizzo delle condizioni generali contenute nel modulo «patto chiaro».
Nel merito contestava il giudizio di vessatorietà espresso dall’attrice alle clausole oggetto di doglianza.
Si costituivano in giudizio le concessionarie Progetto s.p.a. e Sogea s.p.a. chiedendo la reiezione delle domande avanzate analiticamente contestando le argomentazioni del comitato.
Istruita documentalmente la causa all'udienza 20 ottobre 1998 le parti precisavano le loro conclusioni definitive.
Il g.i. assumeva la causa a decisione assegnando alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c.
Motivi della decisione.
1. - Sulla legittimazione attiva del comitato. L'azione esercitata dal comitato rientra nell'ambito dei rimedi di carattere generale preventivo introdotti dal legislatore con la l. n. 52 del 1996, entrata in vigore il 25 febbraio 1996 in attuazione alla direttiva Cee 5 aprile 1993.
Con tale azione è stato consentito alle «associazioni rappresentative dei consumatori e dei professionisti» e alle «camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura» di «convenire in giudizio il professionista o l'associazione di professionisti che utilizzano condizioni generali di contratto» al fine di ottenere dal giudice competente sentenza che «inibisca l'uso delle condizioni di cui sia accertata l'abusività ai sensi del presente capo».
Nessun criterio di selezione per l'accertamento e l'individuazione delle associazioni legittimate a proporre l'azione in esame ha ritenuto il legislatore di dovere enucleare.
L'interprete può comunque agevolmente ricorrere a quegli in-, dici di rappresentatività richiamati, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in tutt'altre fattispecie e ,verificare così se, in considerazione delle finalità statutarie, del numero degli iscritti, della rilevanza territoriale, l'associazione ricorrente possa effettivamente essere considerata quale ente rappresentativo dei consumatori.
Nel caso concreto al quesito in esame deve sicuramente essere data risposta positiva: come risulta dalla documentazione prodotta il comitato ha, quale scopo istituzionale, quello della difesa degli interessi dei consumatori e degli utenti di beni e servizi da tutelare attraverso ogni azione volta a garantirli come singoli e come collettività; ha sedi locali in numerose regioni, italiane e conta circa quattrocentomila aderenti.
2. - Sulla legittimazione passiva della, Fiat auto S.p.a.
Del pari deve essere affermata la piena legittimazione passiva di tutte le società convenute.
Ovviamente, nulla quaestio per quanto attiene alle concessionarie. Relativamente alla Fiat il discorso è solo poco più complesso, ma parimenti dirimente.
Come si è visto sopra, si riferisce al professionista o alle associazioni di professionisti che utilizzano condizioni generali di contratto. Al termine «utilizzano»; deve essere data un'interpretazione ampia e concreta.
Utilizzare, nella fattispecie in esame, non può infatti essere intesa quale mera attività di uso delle condizioni contrattuali per la conclusione dei contratti rientranti nell’attività del professionista, ma deve invece essere comprensiva della ben più complessa attività di elaborazione e predisposizione delle medesime clausole.
Che tale interpretazione sia quella esatta discende principalmente dall’osservazione che la legittimazione passiva, lo si è visto, è stata riconosciuta anche dalle associazioni di professionisti che, come tali, non concludono contratti con il pubblico e, quindi, secondo l’accezione più limitata del termine, non utilizzano le condizioni generali.
La direttiva Cee, fonte ispiratrice della presente normativa, poi, nel suo art. 7 statuisce che l’azione inibitoria può essere esercitata anche nei confronti di quelle associazioni che raccomandano l’inserzione delle stesse clausole contrattuali generali.
Il concetto di utilizzo, pertanto, pur in assenza di un’esplicita previsione da parte del legislatore, deve essere inteso in termini ampi essendovi compresa anche l’attività di predisposizione ed elaborazione delle clausole tutte le volte in cui tale attività si risolva nel raccomandare ai soggetti dei quali il professionista si serve per commercializzare i suoi prodotti l’utilizzo nei singoli rapporti commerciali delle clausole stesse.
D'altronde nell'interpretare la legge, come detta l'art. 12 delle preleggi: deve essere ad essa attribuito il significato «fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall'intenzione del legislatore».
La connessione delle parole, stante il richiamo alle associazioni dei professionisti impone un’interpretazione che potremmo definire dinamica del termine «utilizzo» e ad uguali risultati porta l'esame della norma sotto l'angolo visuale dell'intenzione del legislatore.
La novella in esame, infatti, è stata emanata in attuazione della direttiva 93/13/CEE, la quale, come si è già esplicitamente contempla la legittimazione passiva di quei professionisti che non utilizzano in senso stretto le clausole generali ma si limitano a predisporle ed a ca1deggiarne l'utilizzo ai proP!f intermediari nella catena distributiva.
Un'adeguata e concreta tutela deI" consumatore, invero, non poteva non prendere in considerazione tali ipotesi posto che la finalità dell'azione inibitoria di cui all'art. 1469 sexies c.c. è proprio quella di far «ritirare dal mercato» quelle clausole considerate abusive e cioè di vietare all'imprenditore di utilizzare in tutti i successivi contratti tali clausole.
È ovvio che un'imposizione di tal fatta limitata ai professionisti che utilizzano nei loro scambi commerciali dette clausole e non invece anche a coloro che le predispongono non assicurerebbe il raggiungimento di quei risultati voluti dal legislatore in quanto, anche in considerazione della problematica inerente estensione soggettiva dell'efficacia del giudicato non garantisce l'eliminazione dal mercato delle clausole reputate vessatorie.
Né tale estensione deve stupire in quanto la normativa in esame, sulla scia di altre norme, si è posta l'obiettivo della tutela del consumatore anche a scapito della libertà contrattuale dell’impresa andando ad incidere, inevitabilmente, sulla stessa esplicazione dell'iniziativa economica.
In tale ampia prospettiva, nella ricerca del soggetto «raccomandatore», l'accento non deve essere posto sul grado e sull'entità del potere impositivo del professionista che si esplica verso i suoi intermediari, bensì sulla natura dell'interesse che muove un oggetto, terzo rispetto alle parti contraenti a predisporre lo schema contrattuale.
Come ben sottolineato da parte della dottrina, per escludere l’applicazione della novella bisogna che «l'entità predisponente rappresenti una categoria di interessi quanto meno neutrale o comunque di raccordo tra le categorie di interessi cui si ricollegano rispettivamente i singoli contraenti».
Escluso che Fiat assuma, nel rapporto con le «sue» concessionarie, una veste neutrale, ne consegue a pieno diritto la sua legittimazione passiva nella presente causa.
È certo che Fiat «consiglia» alle, concessionarie di adottare condizioni generali di vendita al pubblico simili a quelle da lei utilizzate e predisposte (v. al punto 3.6 del contratto di concessione di vendita; doc. n. l produzioni parti convenute Progetto e Sogea): in tale situazione non ha alcuna rilevanza verificare quale intensità abbia tale «consiglio», né, come sottolinea invece Fiat, accertare se eventualmente in alcune, ovvero in numerose occasioni, le concessionarie non abbiano utilizzato dette clausole.
Come già più volte sottolineato, la finalità perseguita dalla legge è quella della tutela del mercato commerciale, attuata attraverso l'inibitoria all'utilizzo delle clausole reputate vessatorie e ciò per prevenire e quindi impedire il sorgere di rapporti contrattuali viziati da uno squilibrio di forze.
Così stando le cose è ovvio che non ha alcuna rilevanza la circostanza che le concessionarie abbiano, rispetto alle condizioni generali di vendita predisposte da Fiat, una qualche autonomia.
Ciò che rileva è che vi è la concreta possibilità che tali condizioni, proprio in forza del «consiglio», del predisponente, vengano adottate dalle concessionarie (e ne è una concreta conferma la circostanza che Sogea e Progetto le utilizzano): è sufficiente ciò per giustificare e rendere necessaria l'azione anche nei confronti di Fiat, in quanto, diversamente opinando, la norma non potrebbe esplicare tutti i suoi effetti e le eventuali clausole vessatorie presenti nelle condizioni generali non verrebbero eliminate dal mercato.
3. - Sulla natura dell'azione inibitoria. Deve adesso essere affrontato il problema inerente la natura dell'azione inibitoria e, conseguentemente, quello relativo al tipo di controllo che deve essere effettuato dall'interprete per accertare l'eventuale vessatorietà di una clausola.
È certo rimarchevole l'operato del legislatore che, contrariamente a quanto previsto nella direttiva Cee, non ha statuito che il controllo general-preventivo venisse effettuato senza l'ausilio di quei criteri guida individuati negli articoli antecedenti che trovano il loro presupposto nell'analisi concreta della clausola inserita in un singolo contratto concluso fra le parti.
La direttiva comunitaria, infatti, all'art. 4, n. l, esclude esplicitamente l'applicazione nei procedimenti c.d. collettivi dei criteri di abusività nello stesso articolo individuati e che fanno riferimento alle circostanze concrete presenti al momento della conclusione del contratto, e «a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione ed a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende» (art. 41.1. direttiva 93/l3/Cee).
In mancanza di una simile esplicita esclusione spetta all'interprete individuare quale, fra quei criteri menzionati negli. articoli precedenti, risulta comunque compatibile con la particolare natura, necessariamente astratta, dell'azione inibitoria.
Il caso in esame risulta infatti assai differente rispetto a quello precedentemente esaminato al par. n. 2, ove si trattava di interpretare il significato e l'estensione di un termine utilizzato dal legislatore attraverso l'ausilio delle parole ad esso connesse. Qui non si può far dire alla legge quello che non dice, ma è certo che la norma dovrà essere interpretata in modo da garantire e permettere l'effettiva attuazione del rimedio general-preventivo.
Reputa pertanto questo giudice che l'accertamento della vessatorietà delle clausole contenute in formulari ed in contratti standardizzati effettuata in via preventiva debba sì svolgersi, come dice il legislatore, «ai sensi del presente capo», ma, ovviamente, se fra i criteri del «presente capo» ve ne sono alcuni che non possono trovare attuazione in considerazione dell’ovvia diversità fra un'azione preventiva ed una successiva questi ultimi dovranno essere ignorati dall'interprete.
Diversamente opinando si giungerebbe alla sostanziale abrogazione dell'art. 1469 sexies c.c.
Non possono pertanto essere condivise le osservazioni delle convenute Sogea e Progetto che pretendono che la valutazione della vessatorietà anche nell'ipotesi in esame venga effettuata tenendo conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto;
A differenza dell'azione promossa dal singolo consumatore che lamenta la presenza di clausole abusive nel contratto da lui concluso, la presente azione è, come più volte già sottolineato, azione collettiva e, quindi, necessariamente astratta: è quindi un non senso richiedere nella formulazione del giudizio di vessatorietà, l'applicazione di criteri ancorati alla stipulazione del singolo contratto; se nel caso in esame l’unico presupposto per l’esperibilità dell’azione è quello della presenza di delle condizioni generali di contratto.
Nemmeno può sostenersi, come ipotizzato da Fiat, che detta azione debba essere; esercitata solo in, presenza di singoli contratti effettivamente stipulati, poiché tutta affatto diversa è la ratio della disposizione in esame che, come già più volte detto, ha proprio la funzione di prevenire la stipulazione di contratti contenenti clausole vessatorie con l'intento di eliminare in radice possibili future controversie rimesse alla discrezionalità del singolo; e ciò non solo nell'ottica della tutela del consumatore ma con lo scopo, più ampio, di garantire trasparenza e correttezza nel mercato commerciale.
4. - Criteri per l'accertamento della vessatorietà compatibili con un'azione inibitoria. Recita l'art. 1469 bis c.c. «. . . si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto».
Si ritiene che sulla base di un'interpretazione sistematica del contenuto della legge italiana con quello della direttiva Cee e delle leggi di recepimento negli altri Stati, la «buonafede» debba essere intesa e, valutata in senso oggettivo e cioè quale lealtà e correttezza nella fase delle trattative;
Alla stregua di tale interpretazione incombe pertanto sul professionista, UIT, dovere di informativa a favore, del consumatore avente ad oggetto l’esposizione dettagliata delle clausole del testo; contrattuale. e finalizzata a permettere al consumatore un'agevole lettura delle singole clausole.
Quello della buona fede oggettiva rappresenta, pertanto, uno di quei ,criteri, guida che; non può essere esaminato dall'interprete quando viene esercitata l’azione inibitoria in considerazione della natura astratta ditale rimedio.
Come già sottolineato, in precedenza, poi, non potranno certamente essere valutate le circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto ovvero quelle presenti in un altro contratto ad esso collegato o da cui dipende (art. 1469 ter, 1° comma, seconda parte, c.c.) stante la necessità di ancorare tali criteri ad aspetti concreti incompatibili con l'azione inibitoria.
Nessuna incompatibilità sussiste invece fra la presente azione e l’adozione, nella valutazione della vessatorietà, di quelle linee guida legate alla natura del bene o del servizio oggetto del contratto, nonché all'esame delle altre clausole del contratto medesimo (art. 1469 ter, l° comma, c.c.).
Così come possono sicuramente trovare attuazione quei criteri di cui all'art. 1469 ter, 2° e 3° comma, c.c.
Per quanto attiene, in ultimo, alla trattativa privata e cioè a quel c.d. limite negativo, ovvero sia a quella situazione che se presente impone all'interprete, ad eccezione di alcune ipotesi, di non verificare nemmeno se la clausola è vessatoria poiché la sua abusività è già stata esclusa. dal legislatore (art. 1469 ter, 4° comma, c.c.), è chiaro che trattasi di criterio guida che potrà trovare applicazione esclusivamente nelle azioni promosse dal singolo consumatore che impugna il contratto da lui concluso e non invece nella presente controversia, poiché totalmente incompatibile con la natura astratta dell'azione inibitoria.
La circostanza, sottolineata dalle convenute, che le clausole contenute nel formulario «patto chiaro» siano clausole suscettibili di essere modificate per effetto di una trattativa individuale è, pertanto, del tutto irrilevante.
Né deve stupire la circostanza che si possa giungere a risultati differenti a seconda del tipo di azione, se individuale o collettiva, esercitata. Ciò discende dai differenti scopi che con ciascuna di queste azioni il legislatore si è prefisso.
La presente azione è finalizzata ad eliminare dal mercato quelle condizioni di contratto che risultano essere vessatorie ed in. tale ottica, più ampia rispetto a quella del giudizio individuale, non ha rilevanza accertare se quella clausola avrebbe potuto essere modificata in una contrattazione individuale. Ciò che rileva, è che quella clausola, reputata in sede preventiva vessatoria, sarebbe stata potenzialmente in grado di essere inserita in singoli contratti e di inficiare così quella posizione di «uguaglianza normativa» fra il professionista ed il consumatore che il legislatore, con la normativa in esame, auspica di raggiungere.
La ratio dell'azione di cui all'art. 1469 quinquies c.c., come più volte sottolineato, è quella di prevenire future ed eventuali situazioni di squilibrio eliminando, a monte, quelle fonti di squilibrio, eliminando a monte quelle fonti di pericolo che potrebbero, invece, nel caso concreto, non risultare così pericolose e foriere di svantaggi per il consumatore: questo, d'altronde, è il rischio, ma anche la forza delle azioni; preventive ed astratte.
5. - Le singole clausole impugnate: la clausola 4.1. Tale clausola statuisce: «Il venditore assume le obbligazioni di garanzia sottodescntte le. quali sostituiscono, a tutti gli effetti, la garanzia di cui all'art. 1490 ss. c.c. . . .»; segue a tale enunciazione un elenco di attività che il venditore si impegna ad effettuare; a favore del compratore risolventesi, come concordemente sottolineato dalle parti, in una garanzia di buon funzionamento.
Gli impegni che il venditore si è assunto con tale clausola (riparazione gratuita; disponibilità, a titolo di comodato gratuito, di un'autovettura sostitutiva) costituiscono sicuramente posizioni di vantaggio per il consumatore anche in considerazione del fatto che il riconoscimento di tale tipo di garanzia non costituisce un obbligo per il venditore.
Ciò non di meno reputa il giudicante che l'esclusione (che di questo nella sostanza si tratta anche se mascherato sotto la dizione «sostituzione») delle garanzie legali disciplinate per i). contratto di compravendita negli art. 1490 ss. c.c. costituisca un'indubbia clausola vessatoria ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1469 quinquies, n. 2, c.c.
Con tale esclusione, infatti, il consumatore viene, ad. essere, privato di numerose azioni che potrebbero per lui risultare più convenienti e, comunque, viene eliminata in radice la sua facoltà di scegliere se mantenere in vita il contratto o risolverlo, od ancora chiedere una riduzione del prezzo pagato.
Tale situazione determina una situazione di vantaggio per il professionista il quale non. potrà mai. trovarsi nell'a condizione di vedersi restituita la vettura e di dovere.,restituire il prezzo ottenuto quale corrispettivo.
Come giustamente evidenziato dal comitato l'ipotesi classica che viene alla mente, è quella di un'autovettura che presenti un difetto così grave da non riscontrare più la: fiducia del compratore il quale ben può preferire chiedere la risoluzione del contratto piuttosto che ottenere la riparazione del pezzo individuato come difettoso.
Nessuna rilevanza ha la circostanza che il compratore possa esercitare nei confronti del venditore tutte le azioni necessarie per ottenere l'adempimento degli obblighi di garanzia: ciò che rileva è che deve essere lasciata al consumatore la facoltà di scegliere quale azione esercitare e tale facoltà, in considerazione del tenore della clausola in esame, non è stata a lui riservata poiché, anzi, gli è stata in radice esclusa.
La clausola 4.1 è pertanto vessatoria ai sensi e per gli effetti di cui agli art. 1469 bis, n. 2, e 1469 quinquies, n. 2, c.c. poiché crea uno squilibrio fra le posizioni del professionista"e del consumatore tutto i danno di quest'ultimo.
Reputando il giudicante che le norme in esame, ai sensi delle quali è stata accertata l'abusività della clausola 4.1, non siano di stretta interpretazione (nemmeno quella di cui all'art. 1469 quinquies c.c., che non pone alcuna inversione dell'onere della prova, ma si limita a stabilire l'irrilevanza della trattativa privata), è poi incontroversa la loro applicazione al caso in esame anche se letteralmente la norma contempla la sola ipotesi d'inadempimento.
L'utilizzo degli altri criteri sopra riconosciuti come applicabili non mutano il giudizio di abusività non risultando, dall'esame delle altre clausole contenute nello schema contrattuale predisposto da Fiat, un'attenuazione della riconosciuta posizione di svantaggio del consumatore;
6. - La clausola 4.1 lett. c).
Sostiene parte attrice che tale clausola sia vessatoria là dove esclude dalla garanzia contro la corrosione «gli elementi di carrozzeria riparati, modificati o montati fuori dalla rete assistenziale del costruttore» e ove stabilisce che il cliente decade dalla garanzia «se, al termine del terzo o del quinto anno dalla consegna l’autoveicolo non è stato sottoposto ad ispezione presso un’officina appartenente alla rete assistenziale.
In particolare, rileva parte attrice che la clausola è vessatoria sia perché da’ vita ad una situazione di squilibrio fra le parti risolvendosi in una sanzione nei confronti del cliente che non ha scelto la rete assistenziale del venditore, sia perché determina una restrizione del1a libertà contrattuale del consumatore nei confronti dei terzi (art. 1469 bis; n. 18 c.c.).
Reputa il giudicante che le osservazioni svolte dal comitato debbano essere disattese; La clausola in esame non risulta creare alcuna posizione di squilibrio fra le parti posto che appare più che congruo stabilire che il venditore non assume alcun onere di garantire gli elementi di carrozzeria montati da persone diverse da esso venditore (ed anzi, estendendo la garanzia anche alle parti di carrozzeria montate dalla rete assistenziale del costruttore, amplia la tutela del consumatore consentendogli una garanzia anche per elementi coniati o riparati da terzi diversi dalla persona del venditore).
Né la circostanza che la clausola non preveda esplicitamente un nesso causale tra la verificatasi corrosione e l'esclusione della garanzia può destare perplessità poiché se la corrosione trova la sua causa in un difetto o vizio della vettura e l'azione viene esercitata entro un anno troverà applicazione la garanzia di buon funzionamento e, per effetto della precedente decisione, la garanzia legale, mentre se trova la sua causa in un difetto del pezzo d altri montato non si può pretendere alcun obbligo di garanzia in capo al venditore.
Quanto, poi, alla circostanza che la garanzia prevista da tale clausola, della durata di otto anni, sia subordinata al fatto che il compratore non abbia portato, entro il terzo od il quinto anno dalla consegna (e perciò in un periodo nel quale la garanzia legale non sarebbe più dovuta) a visionare la vettura presso una officina appartenente alla rete assistenziale del costruttore, lungi dal potere essere considerata come limitazione alla libertà contrattuale del consumatore si configura esclusivamente come una congrua «contropartita» del riconosciuto ampliamento della garanzia.
Ben altre ed assai più pregnanti sono infatti le limitazioni alla libertà contrattuale cui aveva riguardo il legislatore nel disciplinare la statuizione di cui al n. 18 dell'art. 1469 bis c.c.
7. - La clausola 7. Prevede tale disposizione l'obbligo del versamento da parte del cliente di un importo (non superiore al dieci per cento del valore delle fornitura) a titolo di cauzione, a garanzia dell'esatto adempimento delle obbligazioni di pagamento e ritiro:dell'autoveicolo. Tale somma, così statuisce la clausola 8, potrà essere trattenuta a titolo di danno forfetariamente predeterminato, dal venditore qualora, dopo un periodo di tolleranza di due settimane, il cliente non provveda al pagamento del prezzo.
Sostiene il comitato che tale clausola sia vessatoria in relazione al disposto di cui all'arto 1469 bis, n. 6, c.c., in considerazione dell'importo manifestamente eccessivo della caparra.
Reputa il giudicante che la domanda avanzata sul punto da parte attrice debba essere rigettata.
Invero, perché possa trovare applicazione il disposto di cui all'art. 1469 bis, n. 6, c.c., e la conseguente inversione dell'onere della prova, è necessario che si tratti di somma d'importo «manifestamente eccessivo».
Una somma corrispondente quale tetto massimo al dieci per cento del valore della prestazione richiesta non pare agli occhi di questo giudicante e sulla base di un giudizio astratto, quale è quello che deve essere effettuato in questa sede, manifestamente eccessiva.
La somma in esame, che può essere trattenuta dal venditore in caso d'inadempimento del compratore, si configura quale caparra confirmatoria avente la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento. I criteri da utilizzare al fine di verificare l'importo del danno forfetariamente liquidato sia manifestamente eccessivo sono quelli del «significativo squilibrio» di cui al IO comma dell'art. 1469 bis C:C., nonché, stante l'analogia della materia e l'equivalenza dei termini utilizzati dal legislatore, quei criteri enucleati dall'interprete in sede di applicazione del potere di riduzione della penale di cui all’art. 1384 c.c.
Premesso che il concetto di significativo squilibrio deve essere inteso in senso normativo e sottolineato che, come già esposto, per squilibrio normativo si intende, in via esemplificativa, avvantaggiarsi di quella posizione di forza derivante dal fatto che il consumatore è privo di forza contrattuale, è certo che il ter:. mine di paragone in base al quale poter esprimere 'un giudizio in termini di manifesta infondatezza non è esclusivamente - quello prettamente economico.
Per quanto attiene, invece, ai criteri di cui all'art. 1384 c.c. ed avuto riguardo alla giurisprudenza sul punto sviluppatasi, si deve sottolineare che i criteri in base ai quali. condurre la nostra indagine possono essere individuati nell'interesse del creditore all'adempimento; nel valore della prestazione rimasta inadempiuta; nonché, nei limiti in cui può essere effettuato, nel pregiudizio subito dal venditore in conseguenza dell'inadempimento.
Ciò posto e considerato che, come giustamente sottolineato dalle convenute le vetture ordinate dai; clienti. 'sono'; oramai, macchine estremamente personalizzate, di talché non pare agevole una loro immediata rivendita ad altro. soggetto interessato, avuto riguardo agli esborsi finanziari effettuati dal venditore per l'acquisto della vettura ordinata dal cliente, alle aspèttative della vendita ed all'utilità. che il venditore ne avrebbe,ricavato, reputa il giudicante che la cifra indicata quale livello massimo della cauzione (dieci. per cento) non sia manifestamente. eccessiva.
L'esito dell'indagine potrà sicuramente essere differente se rapportata al caso concreto; si prenda. ad esempio:in considerazione l'ipotesi che il cliente originario, non più interessato all'acquisto e pertanto inadempiente nel pagamento del prezzo, porti alla concessionaria altra persona interessata ad acquistare quella macchina da lui già ordinata: in questo caso la concessionaria non subisce alcun danno e quindi l'importo della cauzione, qualunque esso sia, risulta, essere manifestamente eccessivo.
Ma questi sono casi limite che mal si attagliano con il giudizio astratto che si è chiamati a fare in questa sede in astratto l'importo del dieci per cento non è manifestamente eccessivo; lo potrà essere in concreto, e ciò dovrà allora essere giudicato da altro giudice e cioè nel corso di- un eventuale giudizio di tipo individuale successivo.
8. - La clausola 7 in relazione alla clausola 3.2; letto b): Sostiene il comitato che la clausola sopra esaminata debba essere considerata vessatoria se letta in relazione al disposto di cui alla clausola 3.2, letto b).
Premesso che la lettura sistematica delle clausole è imposta dall'art. 1469 ter, 10 comma, c.c., linea guida che abbiamo visto essere compatibile con il presente giudizio, esaminiamo il disposto di tale articolo.
La clausola dispone che in caso di ritardo nella consegna della vettura che si protrae oltre un periodo, definito di tolleranza, di quattro settimane dallo scadere del termine pattuito, il cliente può recedere dal contratto ottenendo in restituzione la cauzione versata oltre agli interessi calcolati al tasso del dieci per cento annuo.
Sostiene il comitato che la vessatorietà della clausola di cui all'art. 7, là ove prevede la facoltà del venditore di recedere dal contratto in qualsiasi momento in caso di mancato versamento del deposito cauzionale, emerga con evidenza se messa a confronto con il disposto di cui all'art. 3.2, letto b), in considerazione della palese disparità di trattamento riservata alle due parti contraenti a totale svantaggio del consumatore.
Reputa il giudicante che non sia ravvisabile dalla formulazione di tali norme alcuna disparità di trattamento.
A detta di parte attrice il «significativo squilibrio» di cui all'art. 1469 bis c.c., si sostanzierebbe nel fatto che, mentre il venditore può recedere in qualsiasi momento, il consumatore per potere esercitare analoga facoltà deve attendere un periodo di quattro settimane.
Reputa il giudicante che tale asserito squilibrio non sussista. Innanzi tutto deve essere sottolineato che, trascorse due settimane dallo. scadere del giorno previsto per:' la consegna, il cliente ha diritto ad una macchina sostitutiva nonché la facoltà di recesso riconosciuta al compratore non fa venir meno l'esercizio delle azioni connesse all'inadempimento, così come previsto dall'ultimo comma della clausola 3.2, letto b), pertanto non vi è lesione di diritti in capo al Cliente ed il disagio che lo stesso subisce a causa del ritardo nella consegna è parzialmente affievolito dalla macchina che gli viene concessa in comodato gratuito.
In seguito si deve porre mente al fatto che, mentre il mancato versamento della cauzione dipende esclusivamente da fatto proprio del cliente ed è tale da fare venire meno la fiducia sulla persona del contraente che mostra di non volere, o di non esse in grado di adempiere le sue obbligazioni, la mancata consegna, della vettura non dipende da fatto del venditore ma da una sere di circostanze estranee alla volontà della concessionaria.
Quanto appena detto - trova una palese conferma nel fatto che la disposizione in esame non si applica se la vettura ordinata dal cliente è già presente presso la concessionaria (v. l'art. 3.2, lett.a).
Le situazioni, pertanto, sono completamente diverse e ciò è sufficiente per giustificare un diverso trattamento che lungi dall'essere espressione di una posizione di forza del professionista, risponde invece a tutt'altre logiche.
9. - La clausola 8.1. In ultimo, il comitato lamenta la vessatorietà della clausola 8.1 là ove prevede la facoltà del venditore di recedere: dal contratto e d'incamerare la cauzione versata se, dopo un periodo di tolleranza di due settimane dallo scadere del termine contrattualmente previsto, il cliente non effettui il pagamento del prezzo.
In particolare, sostiene il comitato che tale clausola rientra pienamente nella previsione di cui all'art. 1469 bis, n. 5, c.c., in quanto non è previsto, da altre clausole contrattuali, il diritto del consumatore di recedere dal contratto e di ottenere il doppio della caparra in caso d'inadempimento del professionista.
La formulazione della disposizione normativa in esame non risulta di agevole lettura ma, conformemente a quanto ritenuto da parte della dottrina e avuto riguardo a quella che risulta essere la ratio della disposizione (su cui infra), nonché al contenuto dell'articolo della direttiva da cui tale norma «proviene», reputa iL giudicante che rientrino nella previsione della medesima gli istituti, conosciuti dal nostro ordinamento, della caparra penitenziale e confirmatoria caratterizzati dal fatto che si tratta di. somme di; denaro (o altri beni fungibili), dati da una parte all'altra anche; successivamente alla conclusione del contratto.
La disposizione, poi, trova applicazione anche nelle ipotesi di recesso legale, conseguente all'inadempimento di una delle due parti.
Ciò posto si sottolinea che la ratio (forse l'unica) della disposizione in esame è quella di accordare e garantire una bilateralità dell'obbligazione restitutoria, indipendentemente dalla funzione che assolve tale obbligazione e ciò al fine di evitare, nel caso di mancata esecuzione delle obbligazioni nascenti dal contratto nell'ipotesi di sua mancata conclusione, ingiustificati arricchimenti.
E se così è, è agevole semplicemente rilevare che tale bilateralità non è prevista nelle condizioni generali del «patto chiaro» poiché"nessuna norma consente al consumatore di recuperare .il. doppio;della, «cauzione» (in verità caparra) da lui versata in caso d'inadempimento del venditore.
Palese è pertanto la vessatorietà della clausola in esame.
10. - La richiesta di pubblicazione della sentenza. Deve essere accolta la domanda del comitato di pubblicazione del dispositivo della sentenza sui quotidiani che verranno indicati nel dispositivo.
Tale possibilità, prevista espressamente dall'ultimo comma dell'art. 1469 sexies c.c., conferisce concretezza all'efficacia della pronuncia inibitoria.