Tribunale Palermo 10 gennaio 2000 - Giud. D'Antoni - Adiconsum c. Azienda Municipalizzata Acquedotto di Palermo
L'azione inibitoria promossa da un'associazione di consumatori nei confronti dell'ente erogatore del servizio di distribuzione dell'acqua dopo l'entrata in vigore dell'art. 33 comma 2 lett. f) d.lgs.n. 80/98 è riservata alla giurisdizione del giudice ordinario, agendo il sodalizio in qualità di ente rappresentativo della sommatoria degli interessi di cui sono portatori i singoli contraenti-consumatori e non come soggetto delegato alla tutela di interessi collettivi.
Il ricorso all'azione inibitoria cautelare è giustificato quando vi è l'esigenza di evitare che contratti vessatori ad alta diffusività incidano su interessi dei consumatori con caratteristiche di essenzialità.
Non sono abusive le clausole del regolamento concernente le condizioni del contratto di erogazione dell'acqua che pur riproducendo alcune delle previsioni contenute nell'art. 1469 bis comma 3 c.c. risultano funzionali alla corretta gestione del servizio e si giustificano in relazione alla peculiare natura dell'oggetto del contratto.
... Omissis ...
1) Esigenze di priorità logica impongono preliminarmente l'esame delle eccezioni di difetto di giurisdizione e di difetto di legittimazione attiva sollevate dal resistente, ed al riguardo può subito dirsi che la ricostruzione critica dell'attuale quadro normativo milita nel senso della loro infondatezza.
1a) Con riferimento alla prima, l'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 - espressamente richiamato dalla resistente a sostegno dell'eccezione in commento - devolve in effetti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ma dopo aver elencato esemplificativamente le principali tipologie di controversie devolute alla giurisdizione amministrativa, specifica (comma 2, lett. f) che queste comprendono anche quelle concernenti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati.
Alla stregua di tale ultima notazione la controversia nella specie promossa dalla ricorrente può ben ritenersi ancora devoluta alla cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, atteso che l'ADICONSUM agisce in qualità di ente rappresentativo di interessi di cui sono portatori i singoli consumatori in qualità di contraenti con l'ente erogatore del servizio idrico, e non già in qualità di soggetto delegato alla tutela di interessi collettivi astrattamente inidonei alla configurazione di una controversia individuale.
Spunti di riflessione in tal senso, del resto, possono cogliersi nell'ordinanza del 15 dicembre 1998 n. 1884 con cui il Consiglio di Stato, nel valutare il ricorso proposto dal Codacons contro la decisione relativa al trasferimento di voli dall'aeroporto di Linate a quello di Malpensa, ha appunto incidentalmente affermato la giurisdizione amministrativa nell'ipotesi - all'evidenza diversa da quella che qui ci occupa - di ricorso promosso da un'associazione portatrice di un interesse collettivo riconducibile ad una serie indeterminata di soggetti non legati da alcun vincolo contrattuale con l'ente gestore del servizio.
L'interesse tutelato dalla ricorrente costituisce quindi una mera sommatoria di interessi individuali degli utenti dell'AMAP, e si giustifica perciò l'intervento del giudice ordinario per valutare la vessatorietà, o meno, delle clausole contenute in contratti che seppur sottesamente connotati da interesse pubblico si caratterizzano comunque per l'assenza di poteri autoritativi e sono perciò assoggettati alla disciplina civilistica di cui agli artt. 1469 bis ss.c.c.
1b) L'eccezione di difetto di legittimazione attiva è smentita invece dalla considerazione che non risulta ancora pubblicato - al momento dell'assunzione del ricorso in decisione - l'elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale previsto dall'art. 5 della L. 30 luglio 1998 n. 281 (Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti), di tal che non può farsi ancora ricorso, al fine di valutare la sussistenza della legittimazione attiva dell'ADICONSUM, al criterio dettato dall'art. 3 della citata Legge (diversamente da quanto prospettato dall'AMAP), ché altrimenti per le associazioni rappresentative resterebbe esclusa in radice la possibilità di agire per l'inibizione delle clausole vessatorie, in contrasto sia col disposto di cui allo stesso art. 1469 sexies c.p.c. sia con l'art. 7 della direttiva 93/13/CEE concernente appunto le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.
Siffatta norma, invero, prevede espressamente che gli Stati membri devono fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori, ed aggiunge che i mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabiliscano se le clausole contrattuali redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di siffatte clausole. Non v'è dubbio che posticipare, fino al momento della costituzione dell'elenco di cui all'art. 5 della L. 30 luglio 1998 n. 281, la possibilità, per le organizzazioni rappresentative dei consumatori, di adire l'autorità giudiziaria, costituirebbe un'illegittima compressione delle possibilità riconosciute dalla direttiva europea, e svuoterebbe di efficacia anche la legittimazione che l'art. 1469 sexies c.p.c. attribuisce direttamente alle associazioni rappresentative dei consumatori a prescindere dall'inserzione in qualsiasi speciali elenco.
Spetta al giudice ordinario, quindi, accertare se le associazioni o organizzazioni di volta in volta rivoltesi all'autorità giudiziaria abbiano, o meno, le caratteristiche idonee per poterle considerare legittimate a rappresentare i consumatori, ed in tale prospettiva non pare dubitabile il riconoscimento in capo all'ADICONSUM dei requisiti all'uopo necessari, siccome inserita in una più ampia struttura dotata di ben 111 sedi diffuse sull'intero territorio nazionale ed attivamente impegnata per la tutela, l'informazione, e l'assistenza dei consumatori, come ampiamente risultante dalla documentazione prodotta dalla ricorrente, ed in particolare dal resoconto sull'attività svolta e sui programmi in via di attuazione contenuti nel periodico di informazione datato 26 marzo 1999.
Risulta peraltro che l'ADICONSUM contribuisce a comporre il Consiglio Nazionale Consumatori e Utenti di cui all'art. 4 della L. 281/98 (si veda il doc. 5 della documentazione prodotta dalla resistente) ed il Consiglio Regionale dei Consumatori e degli Utenti (decreto del Presidente della Regione Siciliana n. 61 del 14 marzo 1996, doc. 4 della produzione della ricorrente), ed ha già avuto pertanto formali riconoscimenti del rilievo della propria attività in relazione alla tutela degli interessi dei consumatori rappresentati.
Né il ricorso risulta inammissibile - diversamente da quanto prospettato dalla resistente - a causa della mancanza dell'atto di diffida e messa in mora previsto dall'art. 3 della L. 281/98 quale presupposto per la proposizione della domanda giudiziale.
Quand'anche il citato art. 3 dovesse ritenersi applicabile pur in mancanza della formazione del ripetuto elenco di cui all'art. 5 della stessa Legge, risulta infatti che con atto notificato il 27 marzo 1999 il legale rappresentante dell'ADICONSUM diffidò l'AMAP ai sensi del 5í comma della L. 281/98, e con raccomandata ricevuta dal destinatario il 23 aprile 1999 l'avvocato Palmigiano, per conto e nell'interesse dell'ADICONSUM, reiterò l'invito a modificare le clausole vessatorie contenute nel regolamento per la distribuzione dell'acqua.
2) Passando alla valutazione dei presupposti per l'inibitoria di cui al 2í comma dell'art. 1469 sexies c.c., è innanzitutto da evidenziare che il Legislatore richiede la sussistenza di "giusti motivi d'urgenza", ed utilizza con ciò una formula (riproposta dalla L. 281/98) del tutto innovativa (e da numerosi commentatori stigmatizzata come "sfuggente", "inafferrabile", "ambigua", o più semplicemente "fonte di disagio"). La scelta sembra rispondente all'esigenza di svincolare la tutela cautelare in questione dal più rigido presupposto del "pregiudizio imminente e irreparabile" di cui all'art. 700 c.p.c., ma non può dubitarsi del fatto che oltre ad una valutazione sul fumus boni iuris - id est sulla vessatorietà delle clausole contrattuali - il giudice debba procedere anche all'esame della sussistenza di un periculum in mora, ovverosia di una situazione tale da giustificare l'anticipazione degli effetti di una decisione che altrimenti potrebbe essere adottata solo in esito al procedimento di inibitoria ordinaria di cui al comma 1 del ripetuto art. 1469 sexies c.c.
Non sembrano del tutto condivisibili in parte qua, infatti, le osservazioni formulate il 7 maggio 1998 dal Governo Italiano nella procedura d'infrazione 98/2026 aperta dalla Commissione Europea per l'inesatto recepimento della direttiva 93/13/CEE, segnatamente là dove si afferma che il procedimento delineato dall'art. 1469 sexies comma 2 si inserisce tra i procedimenti cautelari nei quali il legislatore esplicitamente consente che il giudice possa (e debba) emanare un provvedimento cautelare prescindendo da qualsiasi indagine sulla sussistenza del periculum, e ciò perché è lo stesso legislatore ad aver valutato a livello di previsione generale e astratta l'esistenza di un periculum. Siffatta impostazione, azzerando la rilevanza dell'indagine del giudice sul periculum in mora , svilisce invero la sindacabilità dei giusti motivi d'urgenza richiesti dal legislatore proprio nel 2í comma dell'art. 1469 sexies, e finisce col creare le premesse per una vera e propria fagocitazione della tutela ordinaria in quella urgente, che dovrebbe invece essere accuratamente esclusa proprio per mantenere la differenziazione tra due distinti rimedi previsti dal Legislatore nell'ambito di una stessa disposizione normativa.
Vero è, piuttosto, che l'accertamento sull'esistenza del periculum deve essere condotto con criteri più sfumati rispetto a quelli previsti dalla citata norma del codice di rito, onde valorizzare adeguatamente la differenziazione tra il comma 2 dell'art. 1469 sexies c.c. e l'art. 700 c.c. voluta dal legislatore ed oggettivata nell'innovativa formula sopra riportata.
Nell'incertezza giurisprudenziale sul punto (si veda esemplificativamente il florilegio di ordinanze del Tribunale di Roma pubblicate in Foro it. 1999, I, 3331 ss..), ed a fronte di un'oggettiva difficoltà di individuare un criterio discretivo tra tutela inibitoria ordinaria e urgente che da un lato non comporti la totale fagocitazione della prima nella seconda o, al contrario, non finisca col minimizzare l'applicabilità di quest'ultima relegandola ad ipotesi talmente marginali da renderla sostanzialmente inattuata, appare ragionevole e sufficiente individuare i giusti motivi d'urgenza quanto meno nell'esigenza di evitare che contratti vessatori ad alta diffusività ed imposti da un contraente che agisce in condizioni sostanzialmente monopolistiche continuino a spiegare efficacia, e - soprattutto - ad essere stipulati, in danno di interessi dei consumatori con caratteristiche di essenzialità.
Tanto appare coerente col sistema delineato dal Legislatore, in linea con le considerazioni dell'esecutivo (complessivamente improntate verso un'interpretazione della norma idonea a consentirne la massima attuazione possibile), e rispondente allo spirito dell'Autore della direttiva comunitaria 93/13/CEE - al quale deve informarsi il giudice di ogni Stato membro - così come significativamente interpretato dalla Commissione Europea con l'apertura della procedura d'infrazione verso l'Italia.
E tanto e proprio quel che accade nel caso di specie, vertendosi appunto in materia di contratti stipulati dall'Azienda che nel territorio del Comune di Palermo gestisce in condizioni sostanzialmente monopolistiche il servizio idrico, e cioè un servizio incidente su interessi primari dei cittadini.
Ricorrono le condizioni, pertanto, per ritenere sussistente, nello specifico caso, il requisito del giusto motivo di urgenza, e per passare alla valutazione del fumus boni iuris , ovverosia della vessatorietà delle clausole stigmatizzate dal ricorrente.
3) Orbene, riservando doverosamente al giudizio di merito la più approfondita analisi e trattazione delle clausole stigmatizzate dalla ricorrente, va in questa sede osservato:
Clausola n. 5): Modalità di recesso del contratto di fornitura
L'ADICONSUM censura la clausola n. 5 perché imporrebbe al consumatore un termine (3 mesi) eccessivamente lungo per esercitare il diritto di recesso, laddove poi all'intempestivo esercizio di tale diritto conseguirebbe la rinnovazione del contratto per altri cinque anni.
La censura trova un riferimento normativo nell'art. 1469 bis, comma 3, n. 9, che presume la vessatorietà delle clausole che stabiliscono, per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione, un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto, ma a ben vedere il termine di tre mesi non appare intollerabile per l'utente, avuto riguardo sia alla natura ed all'oggetto della prestazione, sia ai tempi di previsione ordinariamente inerenti al rilascio di un immobile, in definitiva determinanti ai fini della previsione di cessazione del contratto di utenza idrica. La rigidità della clausola trova ragionevole mitigazione, peraltro, là dove la stessa prevede la cessazione del contratto, anche in mancanza di preavviso, in caso di stipula di un nuovo contratto per la stessa presa.
Clausola n. 15): Rifiuto o revoca delle forniture
L'ADICONSUM censura la clausola n. 15 perché questa, consentendo all'AMAP di rifiutare o revocare in qualsiasi tempo le forniture per usi diversi da quello domestico ove sorgano gravi motivi che spetta all'Azienda valutare insindacabilmente, consentirebbe al professionista di interpretare unilateralmente una clausola del contratto e di limitare la propria responsabilità in caso di inadempimento, in violazione dell'art. 1469 bis, comma 3, nn. 1, 2, 14 e, 18, e dell'art. 1469 quinquies nn. 1 e 2.
La censura è fondata, perché la clausola, oltre a consentire all'Azienda di rifiutare o revocare la fornitura ove di verifichino condizioni eccezionali di erogazione o di servizio - la qual cosa richiama la nozione di "forza maggiore" o di "evento imprevedibile" che ben può giustificare l'interruzione del servizio - attribuisce all'Azienda anche la possibilità di interrompere la somministrazione per motivi la cui gravità è rimessa alla sua unilaterale ed insindacabile valutazione, con inaccettabile esposizione dell'utente al rischio di un'incomprensibile revoca di un servizio essenziale, peraltro fornito in regime sostanzialmente monopolistico, e per di più in assenza della possibilità di agire fruttuosamente (proprio a cagione dell'abdicazione, in favore del professionista, di ogni decisione al riguardo) per il ripristino della fornitura o per il risarcimento dei danni. L'ipotesi integra perciò quanto meno le fattispecie indicate dalla ricorrente.
Clausola n. 16): Contratto di fornitura - Versamenti
L'ADICONSUM censura la clausola là dove prevede che l'AMAP alla scadenza del contratto possa trattenere - sulla somma originariamente versata a titolo di garanzia del pagamento dei consumi - quanto spettantele per qualsiasi titolo attinente all'utenza. La genericità dell'espressione "a qualsiasi titolo" violerebbe, secondo la ricorrente, le stesse norme indicate con riferimento alla clausola n. 15, e costituirebbe inoltre violazione degli artt. 1782 e 1815 c.c. là dove non viene prevista alcuna remunerazione sul deposito cauzionale.
Anche tale censura è fondata: l'AMAP, infatti, può legittimamente trattenere la somma in deposito per compensare il credito maturato per il pagamento di consumi, tale essendo il motivo contrattualmente convenuto per il deposito al momento della stipula del contratto (la stessa clausola premette infatti: al momento della stipula del contratto l'utente dovrà versare. a garanzia del pagamento dei consumi, una somma pari all'importo, a tariffa vigente, di 95 metri cubi per ogni contatore di 13 mm.), ma non può certo - se non alterando inaccettabilmente l'equilibrio negoziale - trattenere il deposito per compensare crediti maturati per titoli diversi, sia pur attinenti all'utenza, quale potrebbe essere - a titolo meramente esemplificativo - un risarcimento per presunti danni arrecati dall'utente agli impianti.
La clausola determina in parte qua, pertanto, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, mentre non altrettanto può dirsi per la mancata previsione di una remunerazione del deposito, attesa la sua natura di pegno irregolare.
Clausola n. 17): Decorrenza dei contratti
L'ADICONSUM censura la clausola là dove questa non prevede un termine per l'attivazione della presa d'acqua, mentre il precedente art. 16 impone all'utente di pagare un deposito infruttifero ed una cauzione già al momento della stipula del contratto.
In questo caso il significativo squilibrio delle prestazioni è addirittura evidente, risolvendosi - unitamente alla clausola n. 16 - nell'imposizione, sull'utente, di un sacrificio immediato senza alcuna indicazione sui tempi di attivazione dell'impianto, con preclusione, in definitiva, della necessaria programmazione sui tempi di possibile utilizzo di un immobile. Vi è peraltro una violazione dell'art. 1469 bis, comma 3 n. 2 e n. 20 c.c., perché la clausola, consentendo al professionista di procrastinare indefinitamente l'attivazione della presa, finisce con l'escludere la possibilità, per l'utente, di pretendere alla scadenza di un determinato termine l'esecuzione della prestazione e di proporre ogni altra azione al riguardo utile, ed in definitiva subordina la prestazione alla volontà del professionista, finendo con l'attribuirgli sostanzialmente una facoltà di recesso ad nutum, vessatoria ai sensi dell'art. 1469 bis, comma 3 n. 7 c.c.
Clausola n. 21): Risoluzione per inadempimento
L'ADICONSUM censura la clausola perché questa, prevedendo la risoluzione del contratto per l'infrazione di qualsiasi patto contrattuale, configurerebbe un ulteriore profilo di squilibrio tra le posizioni delle parti.
Anche tale censura è fondata, dal momento che l'ampiezza della formula utilizzata nel contratto svincola la risoluzione dai criteri di risoluzione previsti dal codice civile, al duplice scopo di esercitare nei confronti dell'utente una coazione incompatibile con l'equilibrio tra i contraenti nella particolare condizione di sostanziale monopolista del fornitore, e di sottrarre al consumatore la possibilità di sollecitare un sindacato sulla gravità dell'inadempimento onde evitare l'interruzione di un servizio di sì rilevante entità.
Clausola n. 25): Opere di presa
L'ADICONSUM censura la clausola perché questa, consentendo all'AMAP di riparare i guasti o i danneggiamenti delle opere di presa - e cioè di "tubazioni, apparecchiature, e manufatti che dalla condotta di distribuzione vanno fino alla saracinesca installata dopo l'apparecchio di misura" - imputabili ad opera di terzi od a fatti non rientranti nell'ordinaria manutenzione, e di riversarne l'onere economico sull'utente, farebbe gravare su quest'ultimo fatti a lui non imputabili e consentirebbe al professionista di addebitare un costo non verificabile dal consumatore, tra l'altro in contrasto col n. 18 del comma 3 dell'art. 1469 bis c.c. Nella memoria del 30 luglio 1999 la ricorrente si duole inoltre della contraddittorietà insita nel divieto di riparazione posto a carico dell'utente proprietario delle opere.
La disposizione va valutata tenendo conto del fatto che a norma della stessa clausola l'opera di presa viene eseguita dall'AMAP con modalità e criteri concordati con l'utente, e diviene proprietà di quest'ultimo (con eccezione del misuratore che viene assegnato all'utente in custodia), al quale tuttavia è fatta "tassativa proibizione" di provvedere direttamente a qualsiasi operazione di verifica, manovra, modifica, manutenzione e riparazione dell'opera stessa. é previsto inoltre a carico dell'utente il pagamento di un canone di manutenzione ordinario forfetario trimestrale.
In questo caso la clausola appare legittima.
In un'ottica di necessaria tutela di un bene di fondamentale importanza qual è l'acqua, specie nelle condizioni locali notoriamente caratterizzate da diffuse carenze idriche e dalle connesse difficoltà di approvvigionamento per la popolazione, non può omettersi, invero, il rilievo che qualsiasi maldestro intervento sulle opere di presa potrebbe tradursi in una inutile dispersione del prezioso liquido a danno della collettività e della continuità del servizio. Si giustifica, quindi, avuto riguardo alla natura dell'oggetto del contratto, una compressione delle facoltà ordinariamente inerenti al diritto dominicale sulle opere di presa spettante all'utente, fermo restando che proprio l'utente, in quanto proprietario delle opere, deve coerentemente sostenere ogni spesa di riparazione, ovviamente salvo rivalsa - secondo i criteri generali - nei confronti di terzi eventualmente responsabili. La clausola, peraltro, non attribuisce all'AMAP il potere di quantificare insindacabilmente la spesa per la riparazione da riversare sull'utente, ed è salvo perciò il diritto del consumatore ad una quantificazione dei lavori conformi al prezziario approvato dall'Amministrazione Comunale o dalla Regione Siciliana.
Clausola n. 26): Modifiche dell'opera di presa
La clausola prevede la possibilità, per l'AMAP, di modificare l'opera a suo insindacabile giudizio, come pure di unificare più opere di presa restando a carico dell'utente le opere di modifica degli impianti interni conseguenziali a quanto eseguito.
Ad avviso della ricorrente la clausola sarebbe vessatoria a norma dei nn. 14 e 18 del comma 3 dell'art. 1469 bis c.c.
Anche tale clausola, che del resto è stata censurata dall'ADICONSUM del tutto laconicamente, è legittima, perché la natura del contratto e della prestazione giustifica l'attribuzione al professionista della possibilità di intervenire sulle opere inerenti agli impianti di distribuzione onde adeguarle alle esigenze complessive del servizio.
Clausola n. 28): Recupero dell'opera di presa
La clausola prevede che alla scadenza del contratto l'AMAP ha il diritto di ritirare le attrezzature di sua proprietà, e stabilisce inoltre il distacco della diramazione di utenza dalle condotte distributrici a spese dell'utente.
Le censure della ricorrente rimandano tout court a quanto illustrato con riferimento alla clausola n. 25, ed anche ai fini della valutazione di legittimità appare sensato richiamare quanto esposto a proposito delle "Opere di presa".
Clausola n. 30): Sospensioni temporanee della somministrazione acqua o riduzione di pressione
La clausola stabilisce che l'AMAP non risponde dei danni conseguenti all'interruzione del flusso dell'acqua o dalla riduzione di pressione, da qualsiasi causa provocata. Aggiunge poi che l'utente non può pretendere per l'interruzione di flusso alcun risarcimento di danno o rimborso spese.
Siffatta censura non può andare esente da una severa censura di vessatorietà, essendo evidente che l'ampia formula di esonero del professionista da responsabilità integra la fattispecie astrattamente prevista dai nn. 1 e 2 del comma 3 dell'art. 1469 bis c.p.c., escludendo in radice la possibilità per il consumatore di agire per il risarcimento del danno anche per riduzioni o sospensioni della somministrazione direttamente imputabili all'Azienda erogatrice e non giustificate da caso fortuito, forza maggiore o motivi espressamente previsti dal contratto.
Clausola n. 31): Pagamenti
Ad avviso dell'ADICONSUM il primo comma della clausola n. 31, nel prevedere a carico dell'utente l'obbligo di pagare il corrispettivo nella misura, nei termini e con le modalità indicate nelle bollette e nelle fatture, comporterebbe l'adesione del consumatore a pattuizioni non conosciute al momento della stipula del contratto, e consentirebbe altresì l'aumento del prezzo già concordato.
Il 3í comma, nel prevedere che "l'utente moroso non può pretendere alcun risarcimento di danni derivanti dall'interruzione della fornitura", limiterebbe inammissibilmente i diritti del consumatore.
Orbene: per quanto attiene alla misura del corrispettivo, l'Azienda ha chiarito che la tariffa viene fissata nel rispetto del principio del pareggio di bilancio, ai sensi dell'art. 23, comma 4, della L. 142/90, recepito dalla L.R. 48/91, e determinato dall'Amministrazione Comunale tenendo conto dei principi fissati dalla L. n. 36/94 e delle direttive periodicamente emanate dal CIPE.
Tanto costituisce per l'utente una garanzia sufficiente, tenuto conto sia della terzietà dell'Amministrazione Comunale rispetto all'AMAP, sia dei criteri di economicità ai quali è tenuta ad informarsi l'AMAP in qualità di azienda speciale. La - generalmente - lunga durata dei contratti di somministrazione, poi, non consente di ritenere possibile né una tariffa inalterabile a far data dalla stipula del contratto, né una rinegoziazione della stessa con tutti gli utenti ogniqualvolta maturino le condizioni per l'aumento del prezzo, e non sembra ravvisabile, in definitiva, una sostanziale alterazione dell'equilibrio negoziale inerente alla particolare natura del contratto in questione.
A diversa conclusione deve invece pervenirsi avendo riguardo ai termini ed alle modalità di pagamento del corrispettivo, ove si consideri che l'utente dovrebbe essere in grado di conoscere gli uni e le altre già al momento della stipula del contratto, coerentemente con quanto stabilito dal n. 10 del comma 3 dell'art. 1469 bis c.c., e non può essere sottoposto a variazioni - se per giustificati motivi da indicare preventivamente nel contratto - decise unilateralmente dal professionista in contrasto con la previsione di cui all'art. 1469 bis, comma 3, n. 11.
Il comma 3 della clausola in esame (l'utente moroso non può pretendere alcun risarcimento di danni derivanti dall'interruzione della fornitura) va letto congiuntamente al secondo, che prevede il diritto dell'AMAP di sospendere la fornitura o risolvere il contratto in caso di pagamenti non comprendenti tutto quanto dovuto dall'utente.
Nella sua impostazione complessiva la pattuizione appare allora vessatoria, perché consente in pratica all'Azienda di risolvere il contratto anche in caso di inadempimenti dell'utente privi delle necessarie caratteristiche di gravità, riversandogli peraltro anche i rischi derivanti da inadempimenti inimputabili ed impedendogli, quanto meno in queste ipotesi, l'esperimento delle azioni risarcitorie, in contrasto con i nn. 1, e 2 dell'art. 1469 bis c.p.c.
Clausola n. 33): Limitazione della erogazione massima istantanea
La clausola prevede la facoltà, per l'Azienda, di limitare la portata massima istantanea erogabile attraverso il contatore, e l'ADICONSUM la censura correttamente là dove non vengono anche indicate le condizioni per l'esercizio della facoltà stessa. é di certo condivisibile, infatti, la spiegazione fornita dalla resistente, secondo cui la clausola risponderebbe all'esigenza di consentire una riduzione di erogazione ben suddivisa tra tutti gli utenti in caso di emergenza idrica, ma non può omettersi il rilievo che siffatto giustificato motivo dovrebbe essere preventivamente indicato nel contratto, onde rendere l'utente edotto del possibile motivo di riduzione della limitazione del contatore e, al contempo, sottrarlo al rischio di iniziative arbitrarie o ingiustificate dell'AMAP che alla stregua dell'attuale formulazione della clausola devono invece ritenersi consentite.
Clausola n. 37): Lettura dei contatori
La clausola prevede che ove per fatto non imputabile all'utente non sia stata rilevata la lettura del contatore, il consumo viene calcolato secondo criteri presuntivi, e secondo l'ADICONSUM ciò violerebbe il n. 18 dell'art. 1469 bis c.c.
In questo caso non appare sussistente alcuna violazione dei diritti del consumatore, tenuto conto del fatto che questi a norma della clausola n. 40 ha comunque facoltà di comunicare all'AMAP i propri consumi, ovviando così ad eventuali omissione di lettura da parte del personale dell'Azienda, e considerato anche che il calcolo presuntivo non può che essere eseguito salvo conguaglio, e perciò senza alcun pregiudizio per le ragioni dell'utente.
Clausola n. 38): Irregolare funzionamento dei contatori - Verifica
La clausola prevede che in caso di guasto del contatore, ed in mancanza di elementi di riferimento a consumi precedenti, il consumo può essere determinato dall'Azienda su accertamenti tecnici e criteri insindacabili.
Per non andare esente dalla censura di vessatorietà, puntualmente formulati dall'ADICONSUM, la norma contrattuale dovrebbe indicare quanto meno i criteri di determinazione presuntiva del consumo, così come fatto, del resto, dal 4 capoverso dell'art. 37, e l'assenza di ogni indicazione in tal senso costituisce inaccettabile violazione dell'equilibrio negoziale.
Clausole nn. 45): Serbatoi; 46): Modifiche; 47): Perdite, Danni, Responsabilità; 48): Ispezione degli apparecchi di misura e degli impianti interni.
Tutte le clausole in commento si riferiscono alle opere predisposte dall'utente per l'approvvigionamento dell'acqua, e non prevedono perciò alcun esonero di responsabilità in alcun modo riconducibili all'Azienda. La facoltà di accesso riconosciuta al personale dell'AMAP, peraltro, è giustificata dalla prioritaria esigenza di evitare che la violazione delle norme tecniche indicate nell'art. 45 possa comportare un riflusso dell'acqua dai serbatoi privati alla rete idrica, con rischio per la potabilità del liquido e per la salute pubblica, ed appare perciò comprensibile la stringente disciplina della fattispecie.
Clausola n. 49): Infrazioni
La norma prevede che i verbali di ispezione redatti dal personale dellAMAP fatto piena prova fino a prova contraria, e secondo la ricorrente ciò comporterebbe un'illegittima inversione dell'onere della prova contrastante col disposto di cui al n. 18 del comma 3 dell'art. 1469 bis c.c.
La tesi non può però condividersi, perché la clausola non fa altro ribadire che a fronte degli elementi di giudizio costituiti dai verbali redatti a seguito delle ispezioni di cui alla clausola n. 48, spetta all'utente - e non potrebbe essere altrimenti - dimostrare, senza alcuna limitazione, che la situazione è difforme rispetto a quella accertata dall'Azienda. Non si configura, quindi, alcuna violazione dei principi generali in materia di onere probatorio.
Clausola n. 51): Collaudo idranti antincendio
La clausola prevede che l'utente può chiedere all'AMAP di verificare l'efficienza degli impianti antincendio, e che l'Azienda in tal caso provvede ad inviare sul posto personale per le manovre e la riapposizione dei sigilli percependo un diritto fisso, senza tuttavia garantire l'efficienza degli idranti ed assumere alcuna responsabilità per il loro funzionamento.
Secondo la resistente il suo intervento sarebbe in tal caso limitato all'apertura delle saracinesche di alimentazione degli idranti privati (che a norma della clausola n. 50 devono rimanere sempre sigillate) e alla successiva riapposizione dei sigilli, mentre la vera e propria verifica dell'impianto privato non sarebbe di sua pertinenza.
Siffatta deduzione appare coerente con una lettura complessiva degli artt. 50 (Contratti per impianti antincendi) e 51, ed in tale angolazione è chiaro che l'esonero di responsabilità dell'AMAP non è ricollegato ad una sua precedente prestazione costituente potenzialmente fonte di responsabilità.
Clausola n. 52): Variazioni delle tariffe e del regolamento
L'ADICONSUM censura la clausola nella parte in cui questa consente all'Azienda di modificare le disposizioni del regolamento dandone comunicazione a mezzo di pubblicazione sull'Albo Aziendale.
Ed a ben vedere, visto che la clausola non stabilisce alcuna condizione o limitazione alla facoltà di modificare il regolamento (mentre prevede che le tariffe e i canoni soggiacciono alle variazioni legalmente autorizzate ed approvate, con una disposizione che trattando la clausola n. 31 già si detto essere pienamente legittima) e comporta perciò un'evidente vessatorietà a termini dell'art. 1469 bis, comma 3 n. 11 c.c., che vieta appunto al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso.
Clausola n. 53): Spese, tasse ed imposte
La clausola pone a carico dell'utente ogni onere presente e futuro inerente alla fornitura, anche se non espressamente indicato nel contratto e sopravvenuto nel corso del rapporto contrattuale.
L'inefficacia del patto dipende in questo caso dalla previsione di cui all'art. 1469 quinquies n. 3.
Adesivamente alla richiesta del ricorrente, ed in considerazione dell'esigenza - che il Legislatore ha inteso tutelare con la statuizione di cui all'ultimo comma dell'art. 1469 bis c.c. - di assicurare gli effetti del provvedimento diffondendo tra gli utenti la conoscenza dell'inefficacia delle clausole contrattuali vessatorie, va disposta la pubblicazione della presente ordinanza sui quotidiani indicati in dispositivo.
.... Omissis ...