Cassazione civile, SEZIONE I, 4 giugno 1999, n. 5494
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill. mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Antonio SENSALE –Presidente - Dott. Giammarco CAPPUCCIO - Consigliere - Dott. Enrico ALTIERI - Consigliere - Dott. Mario R.MORELLI – Consigliere - Dott. Giuseppe MARZIALE - Cons. Relatore - ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: SOCIETÀ AURORA S.r.l. (già Agenzia Primula s.r.l.), in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Tullio Moser del Foro di Trento in virtù di procura a margine del ricorso;
- ricorrente –
contro
DARIO e CECILIA BIGLIARDI, TULLIA MENOZZI, elettivamente domiciliati in Roma, via Ruggero Fiore n. 27 presso l'avv. Silvio Raho, che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale autenticata il 12 febbraio 1999 dal notaio dott. Luigi Govoni iscritto nel Distretto notarile di Reggio Emilia;
- controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d'appello di Trento n. 34-97 del 24 gennaio 1997;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 febbraio 1999 dal Relatore Cons. Giuseppe Marziale; Uditi, per i controricorrenti, l'avv. Silvio Raho; Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio Martone, il quale ha concluso per l'accoglimento del quarto motivo di ricorso, il rigetto del terzo e l'assorbimento degli altri.
Fatto
1 - Con atto notificato il 15 giugno 1984 la s.r.l. Agenzia Primula (successivamente Società Aurora s.r.l.) conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Trento, i signori Paolo Bigliardi e Tullia Menozzi, esponendo:
- che il 15 agosto 1982 aveva stipulato con i convenuti un contratto, con il quale - premesso di essere proprietaria di un complesso "turistico alberghiero" da utilizzare in "multiproprietà" in corso di costruzione in località Villanova del comune di Lavarone, le cui strutture alberghiere sarebbero state conferite nella società "Belvedere s.r.l." - si era obbligata a cedere ai convenuti, che avevano assunto l'obbligo di acquistarla, una quota di detta società, una volta effettuato il conferimento dell'albergo;
- che la titolarità della quota avrebbe dato il diritto di godere "in modo esclusivo" di una specifica unità immobiliare "con tutto il proprio arredamento", evidenziata nella planimetria allegata al contratto, e di fruire delle parti comuni dell'edificio, secondo le modalità stabilite dal regolamento;
- che al momento della conclusione del contratto i convenuti avevano versato la somma di L. 10.000.000 a titolo di caparra;
- che la residua parte del corrispettivo (determinato complessivamente in L. 40.600.000) sarebbe stata versata in trentasei rate mensili, a partire dal 30 settembre 1982;
- che il trasferimento della quota sarebbe avvenuto non appena le Autorità competenti avrebbero rilasciato "tutta la regolare documentazione e, comunque, "non prima del saldo completo della quota";
- che il pagamento delle rate era stato sospeso a partire dal 30 dicembre 1983.
Tanto premesso, la società attrice chiedeva che i convenuti fossero condannati, con sentenza provvisoriamente esecutiva, al pagamento di quanto dovuto, con interessi e rivalutazione, oltre che al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede. I convenuti replicavano di aver sospeso l'esecuzione della prestazione in considerazione delle inadempienze della società e dei numerosi protesti elevati a carico della controparte. Si opponevano pertanto all'accoglimento della domanda e chiedevano, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto e la condanna riscosso, con interessi e rivalutazione monetaria, oltre che al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede. 1.1. - La domanda riconvenzionale era accolta dal Tribunale con sentenza del 19 ottobre 1992, nella quale si rilevava, tra l'altro, che la società Belvedere non era stata costituita e che la costruzione dell'albergo era in ritardo.
La società proponeva appello, deducendo che i tempi di realizzazione della complessa operazione non erano stati predeterminati in modo rigido e che comunque la società, nella quale avrebbe dovuto essere conferito l'edificio, era stata costituita, anche se poi il conferimento non era stato effettuato "per ragioni di convenienza fiscale".
La Corte territoriale dichiarava d'ufficio la nullità del preliminare e rigettava la domanda di adempimento proposta dalla società. Le statuizioni concernenti la pronuncia di risoluzione, la determinazione e la decorrenza degli interessi e la condanna al risarcimento dei danni erano invece confermate. 1.2 - La società Aurora chiede la cassazione di tale sentenza con quattro motivi. Gli intimati resistono con controricorso.
Diritto
2 - La Corte territoriale ha dichiarato d'ufficio la nullità del preliminare riguardante la cessione della quota della costituenda s.r.l. Belvedere, n base alla considerazione: a) che nella specie doveva ritenersi applicabile, pur in difetto di specifico richiamo, il disposto dell'art. 2331, terzo comma, c.c. che dichiara nulle "l'emissione e la vendita delle azioni prima dell'iscrizione della società"; b) che tale contratto era comunque da ritenersi nullo:
* perché non redatto per atto pubblico, come invece sarebbe stato necessario, dal momento che l'impegno a vendere le quote implicava anche quello di costituire la società;
* perché assolutamente privo di oggetto, non essendo ipotizzabile l'esistenza delle quote prima ancora che la società sia costituta;
(*) * perché, per altro verso, l'oggetto del contratto era rimasto assolutamente indeterminato, dal momento che la quota era stata identificata con una specifica unità immobiliare che, a seguito del conferimento, sarebbe entrata a far parte del patrimonio (non già dei soci, ma) della società Belvedere e, d'altro canto, la promittente aveva manifestato l'intento di conservare "la quasi totalità delle quote" della società conferitaria. 3 - Alla contestazione dell'esattezza di tali assunti sono diretti i primi tre motivi di ricorso, con i quali la società censura la sentenza impugnata: a) per aver ritenuto che la previa costituzione della società conferitaria costituisse un indeclinabile presupposto di validità del contratto di cessione della quota, senza considerare:
* che il nuovo testo dell'art. 2479 c.c. (che prescrive il deposito dell'atto di trasferimento presso il registro delle imprese, postulando che in quel momento la società risulti già iscritta) è entrato in vigore dopo che il contratto era stato già stipulato;
* che l'art. 2475 c.c. dichiara applicabile alle società a responsabilità limitata i primi due commi dell'art. 2331 senza far cenno del terzo comma, in cui è contenuta la comminatoria di nullità della vendita di azioni di una società non ancora iscritta;
* che quest'ultima disposizione, per il suo carattere derogatorio, non si presta ad essere applicata al di fuori dei casi espressamente previsti; b) per aver ritenuto che il contratto dovesse essere stipulato nella forma stabilita per l'atto costitutivo della società, vale a dire per atto pubblico, senza considerare che esso riguardava solo la cessione delle quote e non era in alcun modo riferibile alla costituzione della società; c) per aver ritenuto che l'oggetto del contratto non fosse sufficientemente precisato, senza considerare che il collegamento della titolarità della quota con l'attribuzione del diritto al godimento esclusivo di una porzione immobiliare ben individuata era sufficiente a far ritenere "determinata" o, quanto meno determinabile tale elemento contrattuale. 4 - Tali doglianze sono fondate.
Deve infatti escludersi che la previa stipulazione dell'atto costitutivo costituisse presupposto di validità del contratto stipulato il 15 agosto 1982.
Non varrebbe osservare, in contrario, che il terzo comma dell'art. 2331 c.c. dichiara "nulle" l'emissione e la vendita delle azioni effettuate prima che la società sia iscritta nel registro delle imprese.
La disposizione, infatti, è contenuta nella disciplina della società per azioni e non rientra tra quelle specificamente richiamate per la disciplina delle società a responsabilità limitata. E tale omissione non può essere considerata casuale, in quanto la formulazione del secondo comma dell'art. 2475 c.c., che fa specifico riferimento (solo) al primo e al secondo comma dell'art. 2331 c.c., sta ad indicare che il legislatore ha preso in considerazione il problema della estensione, alle società a responsabilità limitata, della disciplina dettata da quest'ultima disposizione e lo ha risolto escludendo l'applicabilità del terzo comma.
Questa conclusione trova rispondenza nelle peculiari caratteristiche che contrappongono, anche sul piano normativo, le società a responsabilità limitata a quelle per azioni. Queste ultime, come si legge anche nella Relazione al codice "costituiscono lo strumento tipico che permette la raccolta e la mobilitazione di notevoli masse di risparmio popolare per l'investimento in imprese, per le quali nessuna privata fortuna sarebbe sufficiente" (ivi, paragrafo 941).
Di qui l'esigenza di apprestare particolari mezzi di tutela dei risparmiatori, in considerazione del fatto che essi, il più delle volte, vengono indotti ad effettuare un investimento senza essere in grado di valutarne appieno la redditività e non sono poi in grado di provvedere convenientemente alla tutela dei propri Interessi durante la gestione sociale. Proprio a questa esigenza (più che ad una presunta impossibilità di prefigurare la partecipazione sociale quale oggetto di trasferimento prima della costituzione della società) deve essere ricollegata la disposizione in esame, che si discosta fortemente dai principi in tema di contratti (i quali ammettono che essi possano avere ad oggetto un bene futuro: art. 1348 c.c.) e, appunto per questo, va considerata di stretta interpretazione. 4.1. - Il problema non si pone, invece, per le società a responsabilità limitata, che sono state concepite come strutture organizzative per l'esercizio di imprese destinate a finanziarsi mediante le risorse procurate dai soci.
Se così non fosse, non si comprenderebbe, infatti, perché ad esse sia stata vietata l'emissione di azioni (art. 2472, secondo comma, c.c.) e di obbligazioni (art. 2486, terzo comma, c.c.); e perché numerose disposizioni riservino alle società per azioni, precludendolo a quelle a responsabilità limitata, l'esercizio di tipiche attività di raccolta del pubblico risparmio o ad esse strettamente collegate (art. 1883 c.c.; art. 14, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385; art. 6, legge 21 aprile 1993, n. 124; artt. 19, lett. a; 34, lett. a; 43, lett. a; 61, primo comma; 80, primo comma, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58). Nè, tanto meno, sarebbe possibile individuare la ragione del minor tasso di rigidità che la disciplina delle società a responsabilità limitata presenta rispetto a quella delle società per azioni; spiegazione che, invece, è agevolmente ravvisabile, se si considera che chi investe i propri risparmi nella prima "è in grado di negoziare il proprio ingresso e la propria condizione in società" e non deve essere quindi tutelato da quella "rigida predeterminazione legale delle regole di organizzazione interna e circolazione delle partecipazioni sociali", che costituisce invece, per le ragioni già esposte, il dato caratterizzante della regolamentazione delle s.p.a. 4.1.1 - Appare quindi evidente che, contrariamente a quel che si afferma nella sentenza impugnata:
- l'applicazione del terzo comma dell'art. 2331 c.c. alle società a responsabilità limitata è del tutto ingiustificata ;
- l'inesistenza della partecipazione sociale (che rileva quale posizione contrattuale obbiettivata, come tale possibile oggetto unitario di diritti e di vicende giuridiche: Cass. 25 gennaio 1997, n. 697) prima della costituzione della società non può condurre a ritenere invalida, e tanto meno nulla, la sua alienazione effettuata prima di tale momento in un sistema, come il nostro, per il quale anche beni non ancora esistenti, possono essere indicati come oggetto del contratto (art. 1348 c.c.). 4.2 - È appena il caso, poi, di osservare che il terzo comma dell'art. 2479 c.c. (che prevede il deposito dell'atto di trasferimento presso il registro delle imprese) non può venire in modo in considerazione dal momento che, come riconosce la stessa ricorrente, tale disposizione è stata aggiunta al testo originario dell'articolo in questione dalla legge 12 agosto 1993, n. 310, emanata ben 11 anni dopo la stipula dell'atto della cui validità si controverte nel presente giudizio.
Nè, contrariamente a quel che si afferma nella sentenza impugnata, può ritenersi che l'atto di cessione delle quote di una società di capitali stipulato prima della sua costituzione implichi "necessariamente" l'impegno a procedere a tale adempimento e sia conseguentemente assoggettato al rispetto delle forme (nella specie l'atto pubblico) prescritte per la redazione dell'atto costitutivo delle società in questione. Invero, i due contratti sono totalmente diversi e deve quindi escludersi che i requisiti stabiliti per la validità dell'uno valgano anche per l'altro contratto. A meno che, naturalmente, non vi siano elementi per ritenere che con l'atto di cessione delle quote le parti avessero inteso assumere anche l'impegno di procedere alla costituzione della società. Ma tale accertamento non è ravvisabile, nemmeno per implicito, nella sentenza impugnata, la cui statuizione si fonda, per la parte che qui interessa, solo su una deduzione astratta, che prescinde da ogni, benché minimo, collegamento con il contenuto delle pattuizioni intervenute tra le parti. 4.3 - Resta a dire della doglianza formulata con il terzo motivo, puntualizzata alla lettera c) del paragrafo 2.1, con la quale la sentenza viene censurata, anche per difetto di motivazione, nella parte in cui si afferma che un ulteriore motivo di nullità del contratto stipulato dalle parti il 15 agosto del 1982 andrebbe ravvisato "nella assoluta indeterminatezza dell'oggetto", derivante dal fatto che la quota (di capitale) promessa in vendita è stata identificata con una specifica unità immobiliare del costruendo edificio, sebbene esso fosse destinato ad essere conferito nella costituenda società e quindi ad entrare nel suo patrimonio.
Dalla sentenza impugnata si ricava che gli accordi intervenuti tra le parti prevedevano, da un lato, l'impegno a cedere una determinata quota del capitale della società (la s.r.l. Belvedere) in cui avrebbe dovuto essere conferito l'edificio e, dall'altro, l'impegno della cedente ad assicurare ai cessionari il "godimento esclusivo" di una determinata unità abitativa dello stesso edificio. Il contratto, pertanto, era diretto a dar vita, in relazione a tale immobile, ad un regime di c.d. multiproprietà azionaria che si caratterizza, rispetto a quella immobiliare tipica, per il fatto che non comporta l'attribuzione di una posizione di diritto reale sull'immobile in favore dei c.d. multiproprietari. Essi, infatti, acquistano solo una quota del capitale della società proprietaria, la cui titolarità rappresenta il presupposto per il riconoscimento, sulla base di un rapporto distinto da quello sociale, di un diritto personale di godimento su una frazione del bene per un periodo limitato dell'anno solare (Cass. 10 maggio 1997, n. 4088).
Appare quindi evidente che, rispetto a tali contratti, lungi dal determinare incertezza circa l'oggetto delle pattuizioni intercorse tra le parti serve a meglio precisarne il contenuto.
Di ciò non ha tenuto conto la Corte territoriale che, proprio perché è partita da una inesatta rappresentazione dell'istituto, è pervenuta alla conclusione che l'indicazione dell'oggetto della cessione fosse viziata da "assoluta indeterminatezza", tra l'altro senza neppure considerare che per salvaguardare la validità del contratto è sufficiente che tale elemento, ancorché indeterminato, sia tuttavia determinabile (art. 1346 c.c.). 5 - Il quarto motivo investe la sentenza impugnata nei capi riguardanti la risoluzione del contratto e la condanna della ricorrente al risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria.
In relazione al primo punto, la società ricorrente assume che la Corte territoriale avrebbe errato a ritenere che il mancato conferimento del complesso alberghiero nella società Belvedere integrasse gli estremi di un inadempimento tale da giustificare la risoluzione del contratto. E deduce, inoltre, che la Corte territoriale non avrebbe considerato: a) che la società, nella quale l'immobile avrebbe dovuto essere conferito e le cui quote erano state oggetto del contratto stipulato il 15 agosto 1982, era stata effettivamente costituita; b) che peraltro nessun termine era stato stabilito a tale riguardo; c) che, in ogni caso, la risoluzione non avrebbe potuto essere fondata su comportamenti successivi alla data di proposizione della domanda di risoluzione (24 ottobre 1984), in quanto, una volta chiesta la risoluzione del contratto, l'altro contraente non può più eseguire la propria prestazione.
L'altra statuizione viene censurata assumendo che, essendo stata chiesta la condanna al risarcimento dei danni in separato giudizio, non poteva provvedersi in quella sede alla liquidazione del maggior danno da svalutazione monetaria. 5.1 - Quest'ultima doglianza è tardiva e, come tale, inammissibile.
Invero, la condanna al maggior danno da rivalutazione monetaria era già contenuta nella sentenza di primo grado. Con l'atto d'appello la società ricorrente si era limitata a qualificare come "gravatoria ed ingiusta" la statuizione di condanna e a dedurre che mancava, in atti, una prova del danno lamentato, puntualizzando che "condizioni e qualità dei creditori" non consentivano di argomentarne l'esistenza sulla base di presunzioni. Nessuna considerazione critica sull'ammissibilità della liquidazione di tale voce di danno nell'ambito di questo giudizio era stata formulata in quell'occasione. 5.2 - Neppure le censure rivolte alla conferma declaratoria di risoluzione possono essere accolte. Come si è già osservato (retro, paragrafo 4.3), il conferimento dell'immobile nella società alla quale partecipano i soggetti che intendono ripartirsene il godimento rappresenta il dato caratterizzante della c.d. multiproprietà "azionaria". È quindi evidente che la violazione di tale obbligazione assume connotati di indubbia gravità e giustifica di per sè la risoluzione del contratto, come correttamente è stato ritenuto dalla Corte territoriale. Anche perché il mancato conferimento del bene toglie ai c.d. multiproprietari ogni possibilità di incidere sul regime di utilizzazione del bene e comporta un depauperamento delle loro quote di partecipazione che, pur non potendo essere configurate come quote di comproprietà dei beni sociali, sono ad essi strettamente correlate, essendo rappresentative di posizioni giuridiche riguardanti la loro utilizzazione collettiva per l'esercizio dell'attività comune (Cass. 12 dicembre 1995, n. 12733).
Le censure puntualizzate alle lettere a) e b) sono inammissibili, perché implicano apprezzamenti di fatto riservati alla cognizione esclusiva del giudice del merito.
Del pari inammissibile, prima ancora che infondata, è la doglianza specificata alla lettera c). Essa è stata infatti formulata per la prima volta in questa sede. Il che dispensa dall'osservare che comunque, secondo il costante orientamento di questa Corte, l'indagine sull'importanza dell'inadempimento e sugli altri presupposti della risoluzione, ai sensi e per gli effetti dell'art.. 1453 c.c., deve essere effettuata anche in relazione alla situazione esistente al momento della decisione della causa (Cass. 11 giugno 1983, n. 4014; 11 febbraio 1987, n. 1497; 8 marzo 1988, n. 2346; 4 settembre 1991, n. 9358) 6 - Il quarto motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.
Vanno invece riconosciute fondate, e debbono essere quindi accolte, le doglianze formulate con i primi tre motivi. Entro tali limiti la sentenza deve essere quindi cassata.
Ricorrono, ad avviso del Collegio, le condizioni per la decisione nel merito della causa ai sensi dell'art. 384, primo comma, del codice di rito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Deve pertanto dichiararsi che, per le considerazioni esposte nei - paragrafi 4, 4.1, 4.1.2, 4.2, non ricorrono gli estremi delle nullità che la Corte territoriale ha ritenuto di poter rilevare nel contratto stipulato dalle parti il 15 agosto 1982.
Tenuto conto dell'esito complessivo della lite, ricorrono giusti motivi di compensazione delle spese di questa ulteriore fase di giudizio.
P.Q.M
La Corte di cassazione così provvede:
- accoglie i primi tre motivi di ricorso e rigetta il quarto;
- in relazione ai motivi accolti cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, dichiara insussistente la nullità rilevata dalla Corte d'appello;
- compensa le spese di questa ulteriore fase di giudizio.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 25 febbraio 1999.