Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile
Sentenza n. 16954/2003
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 21 marzo 2000 L. A. e A. A. convenivano dinanzi al giudice di Pace di Roma la s.p.a. ferrovie dello Stato deducendo: in data 24 novembre 1999 erano salite a Roma Tiburtina, sul treno delle 7,30, per raggiungere l’aeroporto di Fiumicino, ove l’arrivo era previsto alle ore 8,18, ed imbarcarsi sull’aereo ALITALIA Roma-Bruxelles delle ore 9,15; invece il treno era arrivato alle 8,56 e perciò avevano perso l’aereo, e, dovendo necessariamente andare a Bruxelles prima possibile, erano state costrette ad acquistare presso altra compagnia altri biglietti, pagati £ 591.000, e a trattenersi un giorno in più a Bruxelles.
Pertanto chiedevano la condanna al risarcimento degli ulteriori danni, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi, da liquidare in via equitativa entro la complessiva somma di 32.000.000.
La s.p.a. Ferrovie dello Stato, costituitasi, eccepiva di poter risarcire il danno soltanto nei limiti delle condizioni e tariffe per i trasporti delle persone sulle FF. SS. di cui al R.D.L. 1948/1934, convertito nella legge 911/1935e successive modifiche, tra cui il D.L. 13/12/1956, artt. 11 e 12, a norma del quale in caso di ritardi o interruzioni del servizio, l’unico risarcimento riconoscibile è il rimborso totale o parziale del biglietto ferroviario e tale limite era stato recepito anche nelle condizioni generali di ammissione dei viaggiatori nei treni.
Il giudice di Pace di Roma, con sentenza del 18 ottobre 2000, accoglieva parzialmente la domanda condannando la convenuta a rimborsare alle attrici il prezzo dei biglietti aerei nuovamente acquistati, oltre agli interessi legali dal 24 novembre 1999, sulle seguenti considerazioni:
i biglietti ALITALIA, acquistati in offerta promozionale, erano espressamente non rimborsabili;
le norme invocate dalla convenuta disciplinavano il trasporto con le FF. SS. prima della loro trasformazione in s.p.a. mentre il contratto era stato stipulato successivamente e quindi erano applicabili le norme del codice civile dettate nel caso di inadempimento contrattuale;
nella fattispecie il treno era una navetta che percorreva Roma-Tiburtina e l’aeroporto di Roma Fiumicino in tempi rapidi e puntuali, si che di norma era affidabile;
perciò il ritardo di quaranta minuti era da ritenere eccezionale e dunque non era configurabile un concorso di colpa delle attrici per non aver lasciato un maggior intervallo di tempo tra l’orario di arrivo previsto a Fiumicino e la partenza dell’aereo.
Avverso questa sentenza ricorre per Cassazione la s.p.a. Trenitalia con due motivi, con atto notificato alle attrici il 30 novembre 201 presso il loro procuratore costituito, cui le intimate resistono.
La ricorrente ha altresì depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminare rilievo logico- giuridico va riconosciuto all’eccezione di A. L. e A. E. di invalidità del ricorso per essere stato notificato il 30 novembre 2001, oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza, avvenuta il 18 ottobre 200 al domicilio eletto presso il procuratore costituito nel giudizio a quo anziché a loro personalmente, coma prescritto dal terzo comma dell’art. 330 cod. proc. civ.
Premesso che l’avvenuta costituzione delle controricorrenti ha sanato qualsiasi eventuale nullità della notificazione del ricorso, comunque l’eccezione è infondata.
Infatti a decorrere dalla decisione delle Sezioni Unite n. 12593/1993, resa in sede di composizione di contrasto, la giurisprudenza di legittimità è assolutamente unanime nel ritenere che l’impugnazione proposta entro l’anno solare dalla pubblicazione della sentenza, più il periodo risultante dalla sospensione del periodo feriale, costituisce impugnazione nel termine fissato dall’art. 327 cod. proc. civ. e pertanto deve essere notificata nei luoghi indicati dal primo comma dell’art. 330 cod. proc. civ. e non personalmente alla parte, come previsto dal terzo comma di tale ultima norma per il diverso caso di impugnazione oltre il suddetto termine, se ancora ammessa, e ciò in quanto dallo stretto collegamento fra gli artt. 327 e 330 cod. proc. civ. consegue che fino a quando sia possibile avvalersi, per l’impugnazione, del termine lungo, di cui alla prima delle citate norme, come concretamente determinato per effetto della sospensione feriale (un anno più quarantasei giorni dalla sentenza impugnata: artt. 1 e 3 legge 742/1969), il luogo di notifica dell’atto di impugnazione resta quello di cui all’art. 330, primo e secondo comma, cod. proc. civ.
Quindi il ricorso è ammissibile e va esaminato.
Con il primo motivo la s.p.a. Trenitalia deduce: nullità della sentenza resa in via equitativa in ordine alla sua motivazione, in quanto carente e/o incongruente ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.
La motivazione secondo la quale le FF. SS. si sono trasformate in s.p.a. e perciò devono applicarsi le norme civilistiche sul contratto di trasporto e sull’inadempimento al medesimo, è semplicistica e non consente di individuare la ratio decidendi.
Invece l’art. 1680 cod. civ. [1] prevede che la disciplina codicistica possa essere derogata dalla normativa speciale per alcuni tipi di trasporto, tra cui quello ferroviario, senza che le relative leggi speciali possano essere sospettate di incostituzionalità, perché, come ha stabilito la Corte Costituzionale, sono dettate nell’interesse generale, in quanto oneri eccessivi inciderebbero sulle tariffe, e tali ragioni permangono anche dopo la trasformazione dell’Ente FF. SS. in s.p.a. perché è cambiata la natura giuridica del soggetto, ma non quella del servizio, che resta pubblico perché la società lo esercita per concessione dello Stato.
Perciò, pur essendo il contratto, che interviene tra viaggiatore e ferrovie dello Stato, di natura privata, sia applicano le norme speciali sui limiti di responsabilità in caso di inadempimento, ammissibili anche secondo le norme generali, se il sinistro non colpisce il viaggiatore (art. 1681 cod. civ.).
Il motivo è infondato.
Nelle cause di valore non superiore a due milioni di lire il giudice di Pace ha il potere- dovere di pronunciare secondo equità (art. 113, secondo comma, nel testo risultante dall’art. 21 legge 21 dicembre 1991 n. 374), ossia deve necessariamente formulare la regola decisoria del caso concreto (c.d. equità formativa della regola del singolo caso ovvero sostitutiva della regola di diritto).
Pertanto il giudice non ha l’obbligo ne di individuare la norma giuridica sostanziale astrattamente applicabile, ne di applicarla in concreto, e perciò non ha nessun obbligo di indicare le ragioni per cui intende discostarsene.
Egli ha invece l’obbligo di rendere comprensibile il procedimento logico intuitivo seguito per la determinazione della regola equitativa.
Nella fattispecie la ratio decidendi del giudice di Pace è resa palese dalla evidenziata natura privatistica dell’Ente Ferrovie dello Stato e dalla riscontrata eccezionalità del ritardo nell’esecuzione della prestazione da esso dovuta in qualità di vettore.
Quindi la motivazione non è ne mancante, ne apparente, ne in contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e la censura va respinta.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce: radicale ed insanabile contraddittorietà della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
La sentenza impugnata, se non priva di motivazione, è comunque insanabilmente contraddittoria perché da un lato afferma di dover applicare le norme del codice civile, peraltro non indicate, sul contratto di trasporto e sull’inadempimento di esso, e dall’altro afferma di dover decidere secondo equità.
Il motivo è infondato.
Il giudizio secondo equità è un giudizio necessariamente di merito e non può trasformarsi in giudizio secondo diritto, che postula invece la qualificazione giuridica della fattispecie e l’individuazione della norma giuridica applicabile, per aver il giudice formalmente richiamato una norma giuridica, evidentemente ritenuta, pur se per implicito, conforme all’equità.
Pertanto non può sussistere alcuna contraddizione nell’averla menzionata ed anche questa censura va respinta.
Concludendo il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata a pagare le spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di Cassazione che liquida in complessivi E 400/00 di cui E 300/00 per onorari; accessori come per legge.
Roma, 12 maggio 2003.
Depositata in Cancelleria l'11 novembre 2003.