REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL GIUDICE DI PACE DI LECCE
Dott. Corrado R. SERIO ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile iscritta al numero del ruolo generale indicato a margine, avente l'oggetto pure a margine indicato, discussa e passata in decisione all'udienza del 28 gennaio 2003, promossa da DE GAETANIS Giovanni, da Lecce, rappresentato e difeso dall'Avv. Antonio Tanza, in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione,
ATTORE
contro SARA Assicurazioni S.p.A., corrente in Roma, rappresentata e difesa dall'Avv. Alessandro Terenzio e dall'Avv. Carlo Panzuti, in virtù di mandato in calce alla copia notificata dell'atto di citazione
CONVENUTO
Svolgimento del processo
Con atto di citazione in data 7 dicembre 2002, notificato il 9 dicembre 2002, DE GAETANIS Giovanni, conveniva in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Lecce, la SARA Assicurazioni S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, esponendo che, nella sua qualità di assicurato RCA con la predetta compagnia, aveva subito, in seguito ad un'intesa di cartello, censurata dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), un aumento del premio pagato dal 14 luglio 1995 al 5 luglio 2002.
Chiedeva la condanna della convenuta al pagamento a vari titoli della somma di ? 613,57, ovvero del 20% dei premi pagati, oltre al rimborso delle spese e competenze di lite.
Si costituiva in giudizio la convenuta, contrastando la domanda e chiedendo la declaratoria di incompetenza funzionale a conoscere la controversia del giudice adito in favore della Corte d'Appello di Lecce, la chiamata in causa delle altre compagnie assicuratrici interessate al provvedimento dell'Autorità Garante e, nel merito, il rigetto della domanda oltre al rimborso delle spese e competenze di lite.
Rigettata l'istanza di integrazione del contraddittorio il Giudice di Pace si riservava di decidere unitamente al merito sull'eccezione di incompetenza funzionale e, vertendo la causa su questioni di diritto, stante la documentazione allegata, rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni e la trattazione.
All'udienza del 28 gennaio 2003, i difensori precisavano le conclusioni riportandosi ai rispettivi atti e la causa veniva riservata per la decisione.
Motivi della decisione
Preliminarmente va affermata la competenza di questo Giudice di Pace.
Invero, il riconoscimento e la regolamentazione dei diritti dei consumatori/utenti e la loro tutela sono disciplinati dalla legge quadro 30 luglio 1998 n. 281.
In base all'art. 2 della predetta legge le persone fisiche che acquistino o utilizzino servizi pubblici e privati per scopi non riferibili all'attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta sono divenuti titolari delle posizioni giuridiche soggettive garantite indicate nell'art. 1, tutelabili giudizialmente con azioni collettive (art. 31-6) e/o individuali (art. 37).
Il consumatore/utente, nel nostro ordinamento, è, dunque, titolare di un diritto soggettivo, inizialmente configurato come interesse legittimo e/o diffuso, culminato con il riconoscimento della titolarità dei nuovi diritti del consumatore e dell'utente, elencati dall'art. 1 della L. 281/98, a cui consegue la previsione di un sistema di tutela idoneo ad allontanare le ipotesi di lesione di questi diritti soggettivi ed a reintegrarli anche sul piano risarcitorio (art. 3 L. 281/98).
In particolare, l'art. 1 punto e) della L. 281/98 riconosce e garantisce ai consumatori/utenti la correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi, nonché lo stesso articolo, al punto b), riconosce e garantisce all'utenza la sicurezza e qualità dei prodotti e dei servizi.
La correttezza si erge a metro di comportamento per i soggetti del rapporto ed esprime l'esigenza che, durante lo svolgimento del rapporto contrattuale, le parti si comportino secondo canoni di lealtà e solidarietà.
Detto principio generale è altresì enunciato dall'art. 1175 c.c., nonché dal reticolo di disposizioni in tema di buona fede disseminate nello stesso codice (artt. 1375, 1337, 1338 c.c.).
L'obbligo di correttezza non avrebbe nemmeno necessità di essere ricondotto a obblighi stabiliti in altre norme di diritto positivo, in quanto il suo contenuto è aperto essendo fondato su norme non scritte: norme di comportamento, norme del vivere sociale imposte all'individuo da doveri morali di solidarietà.
La trasparenza deve assicurare la chiarezza, l'intelligibilità delle clausole contrattuali, nonché una adeguata informazione nel corso delle trattative e dell'esecuzione del contratto.
Il consumatore deve essere messo in condizione di conoscere tutte le circostanze relative alla stipulazione che si accinge a porre in essere, consentendogli una scelta ponderata e consapevole, che possa realmente rispondere alle sue esigenze.
Anche detto principio generale è tutelato dal codice civile all'art. 1370 c.c. (interpretatio contra proferentem) e dall'art. 13411 c.c. (sull'inefficacia della clausola non conoscibile), nonché all'art. 1469 quater c.c. (sull'intelligibilità della clausola).
L'equità richiama la parità di trattamento in considerazione delle situazioni concrete specifiche, con particolare ed implicito riferimento alla situazione di debolezza che caratterizza la posizione del consumatore, assicurando un equilibrio sostanziale (e non solo formale) tra le prestazioni dedotte in contratto.
La rigidità fino ad ora esistente nel codice civile circa l'insindacabilità delle valutazioni di convenienza (salvo la tenue e specifica disposizione di cui all'art. 1448 c.c. in tema di rescissione per lesione), viene modificata dalla L. 281/98 ove il riferimento all'equità nei rapporti contrattuali determina il diritto del consumatore a rivendicare una proporzione tra prestazione e controprestazione.
Osserva questo Giudice di Pace come si tenda, in definitiva, al riconoscimento di una tutela giudiziaria sostanziale anche in ordine alle scelte di convenienza, sino ad ora rimesse acriticamente alle valutazione delle parti, anche nelle ipotesi di grave squilibrio soggettivo che si traduce nella lesione del consumatore finale (contraente debole).
Il legislatore è intervenuto all'interno della vicenda contrattuale sindacando le scelte delle parti (contraente forte e consumatore/utente finale) nell'ipotesi in cui detto valore di equità non si dovesse realizzare e, quindi, quando la libertà contrattuale, così infranta, non sussiste, in quanto la parte debole non è stata posta nell'effettiva condizione di salvaguardare la propria posizione.
Dinanzi a tali violazioni del diritto del consumatore/utente, l'art. 3, comma 7, della L. 281/98 riconosce il diritto ad azioni individuali per il risarcimento dei danni conseguenti ad atti e comportamenti lesivi (ad esempio fatto illecito) degli interessi dei consumatori e degli utenti.
Tali azioni vedono come competente funzionale il Giudice civile ordinario.
Il consumatore/utente, infatti, agisce iure proprio, nell'ambito di un giudizio (individuale) in cui il fatto costitutivo del rapporto si sostanzia nella relazione che si crea con la stipulazione del contratto tra professionista e consumatore.
I diritti fondamentali dei consumatori e degli utenti riconosciuti sul piano sostanziale sono tutelabili, sul piano processuale, dal singolo consumatore/utente quando è danneggiato da quegli stessi atti lesivi che, viceversa, possono essere inibiti (in via preventiva) soltanto attraverso le azioni a tutela degli interessi collettivi, di cui sono esclusive titolari le associazioni dei consumatori ed utenti iscritte nell'apposito elenco (cfr. art. 5 L. 281/98).
La stessa giurisprudenza amministrativa, nelle prime pronunce sull'argomento, riconosce la propria giurisdizione esclusiva ogni qualvolta la controversia attenga alla tutela di interessi "pertinenti agli utenti non uti singuli, ma come componenti di una classe di individui la cui sfera soggettiva è esposta all'organizzazione ed al livello di qualità dei servizi pubblici" e non si faccia questione di situazioni soggettive derivanti dalla qualità di contraente individuale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 15 dicembre 1998, n. 1884).
E' evidente, quindi, come legittimato a decidere, sulle domande individuali, sia esclusivamente il giudice civile ordinario, con le normali regole sulla competenza.
La legge 10 ottobre 1990 n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) è nata per regolare esclusivamente, in via diretta, i rapporti di concorrenza e le controversie tra le imprese e prevede che le azioni di nullità e di risarcimento del danno vengano promosse dalle imprese lese dalla violazione di dette disposizioni, dinanzi alla Corte d'Appello competente per territorio (cfr. art. 33), contro le imprese che hanno commesso l'infrazione.
Il consumatore/utente finale è interessato da questa normativa solo in forma estremamente marginale: l'accertamento dell'infrazione (poco importa se sia grave o non grave) può comportare, nel caso specifico, la violazione dei diritti soggettivi di cui all'art. 1 della L. 281/1998, dando luogo all' azione individuale, di cui all'art. 3, comma 7, della stessa norma nel momento in cui il consumatore/utente sia stato danneggiato.
L'azione che seguirà è un'azione di tipo risarcitorio-reintegrativo che, in quanto tale, segue la competenza del giudice civile.
In tale ottica, la Suprema Corte nella recente sentenza del 9 dicembre 2002 n. 17475, esclude l'applicabilità dell'art. 33 L. 287/90 al consumatore finale, osservando che: "Così ricostruiti i termini, le caratterizzazioni strutturali e le finalità ispiratrici della disciplina di cui alla legge n. 287/90, non si vede come mai rispetto ad essi potrebbe rendersi stravagante il solo strumento risarcitorio previsto - in stretta connessione con le azioni di nullità e di inibitoria - dal medesimo secondo comma dell'art. 33; strumento il quale non può - di conseguenza - non lasciare presupporre esso stesso una tipologia di danni strettamente connessa alle tematiche dell'impresa e della sua presenza nel mercato. Ciò finisce - del resto – per porsi in una linea di più generale continuità con le caratteristiche strutturali della disciplina codicistica della concorrenza (art. 2595 e sa. c.c.) così come riletta, nel tempo, alla luce della Costituzione; disciplina la quale non contempla la legittimazione attiva dei singoli consumatori finali. .... l'azione risarcitoria eventualmente spettante, rivestirà, per ciò stesso, i caratteri ordinari di un'ordinaria azione di responsabilità soggetta agli ordinari criteri di competenza, e non quelli dell'azione ex art. 33, secondo comma della L. n. 287/90, rimessa, in quanto tale, alla cognizione esclusiva della Corte di Appello in unico grado di merito".
Alla luce di quanto innanzi, la competenza ratione valoris è del Tribunale o del Giudice di Pace, coincidente territorialmente con quello del luogo di residenza o domicilio elettivo del consumatore (art. 1469 - bis, comma 3, n. 19 c.c.).
A tale proposito, la Suprema Corte, Sez. I civile, 28 agosto 2001, n. 11282 ha statuito che "In materia di contratti conclusi tra consumatori e professionisti, la disposizione dettata, in tema di competenza territoriale, dall'art. 1469 bis n. 19 c.c. - a mente del quale la competenza a conoscere dell'eventuale controversia insorta tra le parti si radica presso l'autorità giudiziaria del foro di residenza o domicilio del consumatore - si applica, attesane la natura processuale, anche ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, ma concernenti rapporti sorti precedentemente".
Quindi la competenza a decidere la presente controversia, spetta a questo Giudice di Pace, poiché l'attore richiede il pagamento della somma di Euro 613,57 per premi relativi a polizze assicurative.
Ritiene, inoltre, questo giudice di ribadire (cfr. ordinanza resa all'udienza del 21 gennaio 2003) l'insussistenza della chiamata in causa delle altre compagnie di assicurazione, destinatarie del provvedimento dell' Autorità Garante, non ricorrendo l'ipotesi del litisconsorzio necessario,perché la domanda è volta ad ottenere la condanna della singola impresa, che ha concluso il contratto con l'attore, consumatore finale.
Questi, in base alla legge quadro sul consumatore (L. 281/98) ed alle disposizioni sui contratti che tutelano le posizioni giuridiche dei singoli contraenti, è legittimato ad agire contro la convenuta compagnia di assicurazioni, stante il rapporto contrattuale intervenuto fra le parti, come si evince dalla documentazione in atti.
L'attore chiede, sotto vari profili, il risarcimento del danno che gli è derivato dalle pratiche anticoncorrenziali concordate dalla compagnia convenuta, in violazione dell'art. 2 della L. 287/90 (come accertate dal provvedimento n. 8546 del 28 luglio 2000 dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato -AGCM- e confermato dal TAR Lazio, Sez. I, nella sentenza n. 6139 del 5 luglio 2001, nonché dal Consiglio di Stato, Sez. VI, nella sentenza n. 129 del 27 luglio 2002), che hanno determinato una stabilità del mercato ed un aumento dei prezzi (al di là della media europea), anche nel periodo in esame, tipici degli schemi dei mercati non concorrenziali.
La domanda è fondata e merita accoglimento.
In effetti, l'AGCM nelle conclusioni a chiusura dell'istruttoria, nel citato provvedimento, così si esprime: "Sulla base di tutte le argomentazioni che precedono, lo scambio di informazioni tra imprese di assicurazione, realizzato attraverso la società di consulenza RC Log, configura una violazione dell'articolo 2 della legge n. 287/90, in quanto, eliminando qualsiasi incertezza circa il comportamento strategico dei concorrenti nei mercati dell'assicurazione auto, costituisce fattore in grado di facilitare l'uniformazione delle condotte commerciali delle imprese di assicurazione, permettendo loro di determinare premi commerciali più elevati rispetto a quelli che si registrerebbero in un mercato concorrenziale. . L'intesa realizzata tramite RC Log coinvolge, seppure con intensità diversa, un numero particolarmente elevato di imprese che rappresentano oltre l'80% di entrambi i mercati assicurativi auto . La natura anticompetitiva delle fattispecie esaminate e soprattutto la potenzialità delle stesse ad incidere in modo sostanziale sulle politiche strategiche delle imprese, con conseguente grave pregiudizio per il benessere dei consumatori, non è dubitabile e rende superflua ogni ulteriore analisi che puntualmente qualifichi determinati esiti del mercato come precisi effetti ad esse direttamente riconducibili."
Nel caso delle polizze RCA, poi, il pregiudizio è tanto più grave atteso che il consumatore/utente è obbligato a contrarre per legge.
A determinare la responsabilità della compagnia convenuta è sufficiente l' aver partecipato (seppure con intensità diversa) all'intesa illecita.
Infatti, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia CE (Cfr. Corte di Giustizia CE, causa C-49/92P -ANIC-, sent. dell'8 luglio 1999, in Racc. 1999, al punto 122. Al riguardo si veda anche Corte di Giustizia CE, causa C-235/92P -Montecatini-, sent. dell'8 luglio 1999, in Racc. 1999, al punto 122): "una pratica concordata rientra nell'articolo
81.1, anche in mancanza di effetti anticoncorrenziali sul mercato. Da un lato, dalla lettera stessa di detta norma deriva che, come nel caso degli accordi tra imprese e delle decisioni di associazioni di imprese, le pratiche concordate sono vietate, indipendentemente dai loro effetti, qualora abbiano un oggetto anticoncorrenziale. Dall'altro, benché la nozione stessa di pratica concordata presupponga un comportamento delle imprese partecipanti sul mercato, essa non implica necessariamente che tale comportamento abbia l'effetto concreto di restringere, impedire o falsare la concorrenza".
Il principio è stato ribadito dalla giurisprudenza amministrativa in materia di concorrenza, che considera "sufficiente, a fini probatori, anche soltanto la capacità potenziale dell'accordo o della pratica concordata di restringere la concorrenza nel mercato, in quanto riscontri concreti delle effettive conseguenze prodottesi sono necessari soltanto nella diversa e distinta ipotesi dell'abuso di posizione dominante" (cfr. TAR Lazio, sez. I, sentenza n. 873 /2000 del 15 aprile 1999, nel caso "Associazione Vendomusica". Si veda, inoltre TAR Lazio, Sez. I, sentenza n. 1541/2000 dell'8 marzo 2000, nel caso "Caldaie murali a gas").
Lo stesso Consiglio di Stato, nella citata sentenza 129/2002, non mette in dubbio l'infrazione, ma distingue ai soli fini della graduazione della sanzione tra infrazione ed infrazione grave.
Altro problema è quello dell'individuazione del periodo in cui l'intesa si è protratta.
L'AGCM, ha accertato che: "In linea generale, alcuni osservatori erano già attivi nel 1993, mentre l'osservatorio RCA è stato avviato subito dopo la liberalizzazione tariffaria. Si tratta, dunque, di uno scambio di informazioni che si colloca temporalmente in un periodo particolarmente delicato del settore assicurativo in esame, ossia in un momento in cui si
sarebbero dovute cogliere le nuove opportunità per uno sviluppo in senso concorrenziale. Per quanto concerne la partecipazione di ciascuna impresa ai diversi osservatori, la relativa durata è desumibile dalla tabella 11, paragrafo 125."
Da tale tabella risulta che la Sara assicurazioni S.p.A. ha partecipato all' osservatorio RC Log.
Nel caso in esame gli effetti dannosi dell'illecita intesa si sono, purtroppo, verificati e l'AGCM ha constatato che: "In ogni caso, le anomalie del mercato sono emerse con tutta evidenza nel corso della procedura. Si sono osservati, infatti, fenomeni tipicamente riconducibili a contesti di mercato non concorrenziali: stabilità delle quote di mercato, accelerazioni
degli aumenti dei prezzi soprattutto nel periodo più recente, aumenti dei prezzi ben al di là della media europea, incapacità delle imprese ad intervenire sui costi di produzione da esse direttamente controllabili."
In particolare, secondo le elaborazioni dell' AGCM nel periodo successivo alla liberalizzazione tariffaria si è registrato, in cinque anni e mezzo (giugno 94 - gennaio 2000), un sostanziale raddoppio del premio medio pagato dagli assicurati e precisamente il premio è stato incrementato del 96,55%, e nella zona di Bari del 113,8 %.
Ciò implica che, in media, tenuto conto del periodo considerato, il premio RCA è cresciuto di circa il 20% all'anno (in provincia di Bari del 20,69 % annuo).
Nel nostro ordinamento qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno (cfr. art.2043 c.c.).
Sul piano sostanziale la violazione del principio fondamentale del neminem ledere viene sanzionata mediante l'obbligo risarcitorio.
Va quindi stabilito se nel caso di specie sia ravvisabile la violazione del suddetto principio.
Sotto il profilo oggettivo, va puntualizzato il grave comportamento commissivo, già messo in evidenza, delle imprese assicuratrici al fine di conseguire la maggiorazione ed il livellamento dei premi in un campo in cui il consumatore/utente ha l'obbligo legale di contrarre.
Tale comportamento ha certamente causato un danno, che va qualificato come ingiusto, poiché le intese poste in essere dalle imprese assicuratrici hanno violato l'art. 2 della legge 287/90.
Il comportamento commissivo e il danno ingiusto sono collegati da un evidente nesso di causalità.
A tal proposito la Corte di Cassazione, Sez. III, con sentenza del 21 dicembre 2001 n. 16163 ha statuito che: "In tema di risarcibilità del danno da fatto illecito, il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della cosiddetta regolarità causale, con la conseguenza che, ai fini del sorgere dell'obbligazione di risarcimento, il rapporto fra illecito ed evento può anche non essere diretto ed immediato se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, sempre che, nel momento in cui si produce l'evento causante, le conseguenze dannose di esso non appaiano del tutto inverosimili. L'accertamento di tale nesso di causalità è riservato al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi".
Nel caso in esame l'aumento del prezzo gravato sul consumatore/utente è derivato direttamente ed esclusivamente dall'illecita intesa che ha alterato la libera concorrenza violando l'art. 2 L. 287/90.
Il danno ingiusto è stato previsto e voluto (dolo o, comunque, colpa grave) dalle imprese assicuratrici che hanno partecipato al "cartello" proprio al fine di gestire il mercato facendo lievitare i premi assicurativi.
In un mercato senza alterazioni il consumatore non sarebbe stato danneggiato essendo in grado di trovare l'uguale servizio a prezzi in concorrenza, potendo effettuare scelte consapevoli.
La quantificazione del danno va operata equitativamente attesa la notevole difficoltà di poter determinare, in relazione allo specifico caso concreto, l'esatto ammontare dell'ingiusta lievitazione del costo della singola polizza.
Nel caso in esame l'attore ha provato mediante la documentazione esibita il pagamento di premi per complessivi Euro 3.067,86 dai quali va scorporata la sola somma di Euro 613,57 pari al 20%, del precedente importo, in base alla valutazione equitativa del danno di cui innanzi, tenuto conto anche degli interessi legali e della rivalutazione monetaria.
D'altra parte detta percentuale tiene conto dell'aumento medio rilevato AGCM nel capoluogo pugliese, sopra evidenziato.
La Corte di Cassazione, sez. III, nella sentenza del 16 luglio 2002, n. 10271, ha così statuito: "Il giudice può addivenire alla liquidazione dei danni in via equitativa, tanto nell'ipotesi in cui sia mancata interamente la prova del loro preciso ammontare, per l'impossibilità della parte di fornire congrui ed idonei elementi al riguardo, quanto nell'ipotesi di notevole difficoltà di una precisa quantificazione. Nella ricorrenza delle su indicate condizioni, deve pur sempre il giudice indicare i criteri seguiti per determinare, sia pure con l'elasticità propria dell'istituto e nell'ambito dell'ampio potere discrezionale che lo caratterizza, l'entità del risarcimento." (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 15 gennaio 2000, n. 409).
Si potrebbe, altresì, ipotizzare la declaratoria di nullità parziale della clausola (art. 14192 c.c.) relativa alla determinazione dell'importo del premio del contratto RC auto per contrarietà all'ordine pubblico economico, in quanto la stessa è stata formulata in attuazione di un accordo illecito in violazione dell'art. 1 della L. 281/98.
Si ritiene preferibile la prima soluzione di più ampia portata in quanto il diritto che è stato compresso va al di là della mera violazione di una clausola contrattuale.
Va, invece, escluso che la domanda possa trovare fondamento sul disposto dell'art. 2033 c.c. poiché l'indebito oggettivo riguarda la ripetizione di quanto pagato in esecuzione di un contratto dichiarato nullo: nell'ipotesi de qua, non solo è parzialmente invalida una sola clausola, ma la fattispecie in esame ha natura risarcitoria, più che restitutoria.
Relativamente alla prescrizione, questa decorre ovviamente dalla chiusura del rapporto e, quindi, nel caso in esame, essendo questo ancora in corso, non vi è alcun dubbio al riguardo.
Le spese legali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace di Lecce, Dott. Corrado R. SERIO, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da DE GAETANIS Giovanni, con atto di citazione nei confronti della SARA assicurazioni S.p.A., notificato il 09 dicembre 2002, così provvede:
a) accoglie la domanda e condanna la convenuta a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 613,57;
b) condanna la convenuta al rimborso delle spese processuali in favore dell' attore, che vengono liquidate complessivamente in Euro 575,00 di cui Euro 315,00 per diritti, Euro 260,00 per onorario, oltre il 10% ex art. 15 T.F., IVA e CAP come per legge, con distrazione in favore del procuratore dell'attore, dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Lecce, il 30 gennaio 2003
Il Giudice di Pace
Dott. Corrado R. SERIO