Cassazione civile, SEZIONE II, 12 maggio 2000, n. 6089
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
composta da: Mario SPADONE –Presidente, Franco PONTORIERI –Consigliere, Vincenzo CALFAPIETRA –Consigliere, Ugo RIGGIO –Consigliere, Carlo CIOFFI -Consigliere relatore ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ZANZI VIVAI s.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, via Pierluigi da Palestrina n. 63, presso l'avv. Mario Contaldi, che la difende insieme con l'avv. Franco Scopa di Ferrara; - ricorrente –
contro
SEVERINO Elena, elettivamente domiciliata in Roma. via Cicerone. n. 28 presso l'avv. Giuseppe Padula (studio avv. Corrado Malfa), che la difende.
- controricorrente –
avverso la sentenza della corte d'appello di Roma n. 1582 del 13 maggio 1997. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 dicembre 1999 dal consigliere Carlo Cioffi;
Udito l'avv. Giuseppe Padula;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Umberto Apice, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Fatto
Elena Severino acquistò nel 1983 e nel 1984 dalla società Zanzi Vivai circa duemila piante di Actinidia Hyward, di ambo i sessi. onde ottenerne una migliore produzione di frutti.
Prima che tali piante manifestassero il loro sesso e cominciassero a dare frutti, la società venditrice comunicò all'acquirente che esse potevano presentare degli inconvenienti, per l'appunto in ordine al sesso, quegli stessi che erano stati riscontrati in altre piante vendute a terzi; e, per scongiurare tale possibilità, eseguì nel 1985 e nel 1986. a cura e spese, degli innesti sulle piante stesse.
Il 12 giugno 1986 Elena Severino convenne innanzi al tribunale di Latina la società Zanzi Vivai, per ottenere il risarcimento dei danni che disse di aver subito perché le piante acquistate erano state scarsamente produttive.
La convenuta si costituì e chiese il rigetto della domanda, eccependo preliminarmente decadenza e prescrizione.
Il tribunale accolse l'eccezione di prescrizione e rigettò la domanda.
La Corte d'appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, l'ha invece accolta.
Ha in particolare osservato che la venditrice, con la sua comunicazione all'acquirente innanzi riferita aveva riconosciuto i difetti della merce fornita, e con il suo intervento, volto a scongiurare quelli che al tempo erano degli inconvenienti soltanto ipotizzati. aveva sostituito la originaria sua obbligazione di garanzia per i vizi della cosa venduta, da farsi valere nel termine prescrizionale di un anno, con una nuova ed autonoma obbligazione, soggetta all'ordinario termine decennale di prescrizione.
La corte ha poi accertato. con l'ausilio di un consulente tecnico, che gli innesti praticati dalla società Zanzi Vivai, non erano valsi ad eliminare i difetti delle piante che aveva venduto ad Elena Severino. che si erano rivelate infruttifere, o comunque scarsamente produttive.
La società Zanzi Vivai ha chiesto la cassazione di tale sentenza per nove motivi, che ha poi illustrato con memoria. Elena Severino ha resistito con controricorso.
Diritto
Il primo ed il secondo motivo del ricorso proposto dalla società Zanzi Vivai sono relativi alla statuizione dell'impugnata sentenza con cui è stata rigettata l'eccezione di decadenza che aveva proposto ai sensi dell'art. 1495 cod. civ..
In particolare con il primo la ricorrente sostiene che quando comunicò ad Elena Severino che le piante vendute "potevano presentare inconvenienti in ordine al sesso", non riconobbe l'esistenza di un vizio della merce fornita, perché al tempo le piante, troppo giovani, non avevano ancora manifestato il loro sesso, e dunque il vizio in questione era soltanto sospettato; ricordando al riguardo che il riconoscimento previsto dall'art. 1495 cod. civ. è una dichiarazione di verità e di scienza, e come tale non può aver ad oggetto che fatti o qualità di cose realmente verificati o esistenti, non anche soltanto probabili o non ancora verificabili.
Con il secondo, poi, la società Zanzi Vivai sostiene che, a tutto concedere, la corte di merito non ha rilevato che il vizio da essa riconosciuto era relativo al sesso delle piante, e non ha determinato la loro scarsa produttività denunziata da Elena Severino, essendo quest'ultima conseguente alla loro origine meristematica (ossia al fatto che le piante erano state ottenute con micropropagazione in vitro). come accertato dal consulente tecnico di ufficio.
Con il terzo, quarto, quinto e sesto motivo del suo ricorso la società Zanzi Vivai censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che, a seguito del riconoscimento dei vizi della merce di cui appena innanzi si è detto, e con i suoi interventi volti ad eliminarli, alla originaria obbligazione di garanzia, con termine di prescrizione annuale, è stata sostituita una nuova ed autonoma obbligazione. avente lo stesso contenuto, ma con termine di prescrizione ordinario.
La ricorrente sostiene che non è ravvisabile nella fattispecie la novazione della sua obbligazione di garanzia affermata dalla corte di merito, in difetto di una esplicita manifestazione di volontà in tal senso; nega infatti di essersi impegnata ad eliminare gli inconvenienti che essa stessa aveva soltanto ipotizzati, e di aver mai riconosciuto il diritto alla garanzia fatto valere nei suoi confronti. Rileva poi che il giudice del merito non ha verificato la decorrenza della prescrizione annuale prevista dall'art. 1495 cod. civ., anche in relazione alla allegata diversità dei vizi che essa avrebbe riconosciuto rispetto a quelli denunziati da Elena Severino con l'atto introduttivo di questo giudizio, e di cui al suo secondo motivo di ricorso, e denunzia sul punto vizio di motivazione.
Con l'ottavo motivo del suo ricorso la società Zanzi Vivai censura l'impugnata sentenza per aver accertato l'esistenza dei danni subiti da Elena Severino ed il loro ammontare sulla base delle osservazioni del consulente tecnico di ufficio, e recependo le sue conclusioni, senza però considerare le contestazioni del suo consulente tecnico di parte, che nel dettaglio elenca e specifica.
Con il nono motivo del suo ricorso la società Zanzi Vivai censura infine l'impugnata sentenza per fatto uso della eseguita consulenza tecnica di ufficio per accertare, e non soltanto per valutare, fatti che Elena Severino avrebbe dovuto provare.
Tutte le censure sono o inammissibili o infondate, per le seguenti considerazioni. 1. L'obbligazione di garanzia per i vizi della cosa venduta, che la legge (art. 1940 cod. civ.) pone a carico del venditore, ha come contenuto il dovere di quest'ultimo di fornire merce "immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore".
L'adempimento del venditore non è dunque esatto quando la merce manifesta vizi, nel senso accennato; vizi che, ad avviso di questa corte, possono essere anche soltanto potenziali, specialmente quando quello oggetto della compravendita non è un bene di immediato consumo, ma è destinato a durare nel tempo, in particolare quando è un bene strumentale, destinato ad essere utilizzato da un imprenditore nella sua azienda.
La gestione di una impresa richiede programmazione, e conseguentemente certezze sulla utilizzabilità e la produttività dei fattori che l'imprenditore organizza nella sua azienda, ed il venir meno di tale certezza ha per lui conseguenze pregiudizievoli di non poco conto: l'imprenditore che abbia fatto affidamento sulla piena utilizzabilità di un bene produttivo del quale si sia assicurato la disponibilità. riceve pregiudizio, sia sul piano economico che funzionale, non solo quando sia tale da non consentirgli la sua piena utilizzabilità, ma anche quando sia obiettivamente incerta tale utilizzabilità; perché in quest'ultimo caso l'imprenditore sarà costretto quanto meno a cautelarsi, con tutti i costi del caso, per evitare le conseguenze pregiudizievoli di un possibile suo inadempimento delle obbligazioni cui aveva previsto di far fronte con la produzione che aveva programmato di realizzare utilizzando (anche) il bene in questione.
Ne deriva che, come questa corte ha già avuto modo di osservare, si ha riconoscimento, da parte del venditore, del vizio della cosa venduta (che, ai sensi del comma 2 art. 1495 cod. civ., esonera il compratore dall'onere della denuncia prevista dal comma 1 della stessa norma) anche quando il venditore ammette che la cosa presenta, qualsivoglia sia la causa, caratteristiche che non solo la rendono, ma che soltanto possano renderla inidonea all'uso cui è destinata, o diminuirne in modo apprezzabile l'utilizzazione (vedi la sentenza di questa sezione, 10 settembre 1980 n. 5214). 2. Stabilire se il vizio riconosciuto dalla società ricorrente sia lo stesso denunziato dalla resistente è questione di fatto, come tale riservata al giudice del merito (vedi la sentenza di questa corte, sez. II, 28 ottobre 1986 n. 6326).
E la corte territoriale ha risolto correttamente tale questione in senso positivo, recependo le considerazioni svolte al riguardo dal consulente tecnico nominato, che non sembrano censurabili sotto il profilo logico; dopotutto, riconoscere che le piante fornite potevano presentare degli inconvenienti in ordine al sesso, significa riconoscere che esse non assicuravano la loro piena produttività, dal momento che l'apparato sessuale delle piante è quello che determina la produzione dei frutti. 3. Il semplice riconoscimento. da parte del venditore dell'esistenza dei vizi della cosa venduta, impedisce il verificarsi a carico dei compratore della decadenza di cui all'art. 1495, comma 2 , cod. civ., per la mancata denunzia dei vizi entro il termine di otto giorni dalla loro scoperta, previsto nel comma 1 dello stesso articolo, ma non vale ad interrompere il decorso del termine annuale di prescrizione del diritto alla garanzia per i vizi stessi, prevista dall'art. 1495 comma 3.
Quando però il venditore, oltre a riconoscere i vizi, si impegna ad eliminarli, sì configura a suo carico una obbligazione nuova ed autonoma (rispetto a quella di garanzia), non soggetta al termine di prescrizione previsto dall'art. 1495 cod. civ., soggetta all'ordinaria prescrizione decennale (tre le tante, vedi le sentenze di questa corte. sez. II, 5 settembre 1994, n. 7651; 13 gennaio 1995 n. 381; 28 maggio 1988 n. 3656).
L'accertamento di siffatta novazione dell'originaria obbligazione di garanzia è comunque questione che attiene al merito, e che è stata risolta nel caso di specie dalla corte territoriale correttamente in senso positivo, rilevando che la società ricorrente. più che impegnarsi ad ovviare agli inconvenienti riconosciuti relativi al sesso delle piante fornite, eseguì addirittura, evidentemente con l'accordo dell'acquirente, una serie di interventi finalizzati in tal senso. 4. Le consulenze di parte costituiscono semplici allegazioni difensive, ragion per cui il giudice di merito non è tenuto a motivare il proprio dissenso in ordine alle osservazioni in esse contenute, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni incompatibili con le stesse, e conformi al parere del consulente (vedi tra le tante, da ultimo, la sentenza di questa Corte sez. lav., 23 maggio 1998, n. 5151).
Nel caso di specie la corte territoriale non si è limitata a recepire acriticamente le osservazioni e le valutazioni del consulente tecnico di ufficio, e a motivare rinviando ad esse, ma tali osservazioni e valutazioni ha ripreso e ripetuto diffusamente nella sua sentenza, all'evidenza perché ritenute più condivisibili di quelle, contrastanti, del consulente di parte. 5. La consulenza tecnica normalmente è disposta per fornire al giudice una valutazione relativa a fatti già probatoriamente acquisiti; ma può anche costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva in uno strumento non solo di valutazione tecnica, ma anche di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo mediante il ricorso a determinate cognizioni tecniche; ed in questa seconda ipotesi viola la legge processuale il giudice del merito che ne rifiuta l'ammissione sotto il profilo del mancato assolvimento, da parte dell'istante, dell'onere probatorio di cui all'art. 2697 cod. civ. (vedi la sentenza di questa corte, sez. lav., 5 luglio 1996, n. 6166).
Non sembra potersi dubitare che nel caso di specie era necessario, per l'accertamento e la valutazione degli aspetti tecnici della controversia, l'ausilio di un esperto botanico.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in lire 320.800, oltre lire 10.000.000 per onorari.
Roma, 21 dicembre 1999