- 1. L’ambito di applicazione temporale della Carta
- 2. Una tassonomia degli atti nazionali ai quali si applica la Carta
- 3. Il ruolo delle fonti nazionali di tutela nell’applicazione della Carta
- 4. La distinzione tra “diritti” e “principi”
- 5. L’interpretazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta: le spiegazioni
- 6. Quando i diritti fondamentali previsti dalla Carta possono essere limitati?
- 7. Gli effetti della Carta a livello nazionale
1. L’ambito di applicazione temporale della Carta
La Carta non contiene disposizioni volte a determinarne l’ambito di applicazione temporale. Alcune regole si possono comunque ricavare dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Per quanto riguarda le violazioni di diritti fondamentali che traggono origine da un atto dell’Unione, la Carta può essere usata come parametro anche se l’atto in questione è stato adottato prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (si vedano, ad esempio, le sentenze nelle cause C-92/09 Volker und Markus Schecke, C-236/09 ASBL Test-Achats, C-293/12 Digital Rights Ireland, and C-362/14 Schrems.
Diversamente, per quanto riguarda gli atti nazionali che cadono nell’ambito di applicazione della Carta (si vedano al riguardo la sezione 3 Parte II e sezione 2 Parte III), non risulta possibile invocare gli effetti diretti della Carta (si veda al riguardo la sezione 7) se i fatti all’origine del caso sono anteriori alla data di entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009). Si veda, al riguardo, la sentenza nella causa C-316/13 Fenoll. A tal riguardo, merita comunque ricordare che, prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Corte di giustizia aveva comunque garantito tutela ad almeno alcuni diritti fondamentali attraverso i principi generali del diritto dell’Unione (si veda la sezione 2.3). Quindi, potrebbe risultare utile verificare se la disposizione in questione della Carta tutela un diritto fondamentale che già riceveva tutela come principio generale (e verificare, usando lo stesso test previsto per la Carta – sul quale si veda la sezione 7 – se tale principio soddisfa i requisiti dell’effetto diretto).
2. Una tassonomia degli atti nazionali ai quali si applica la Carta
Come preannunciato nella sezione 2 Parte II, ai sensi del suo articolo 51(1) la Carta offre una protezione contro le violazioni derivanti da misure nazionali che «danno attuazione al diritto dell’Unione». Questo significa che la protezione della Carta non può essere attivata facendo semplicemente valere che la fattispecie riguarda la violazione di un diritto fondamentale.
La Carta può essere invocata solamente quando una disposizione di diritto primario o secondario dell’Unione, diversa dalle disposizioni della Carta stessa, sia applicabile alla fattispecie. In altre parole, è necessario che vi sia un legame sufficiente tra una norma di diritto dell’Unione e gli atti o disposizioni nazionali che si presume violino la Carta.
Il legame deve essere sufficiente in quanto il fatto che le disposizioni europee e nazionali riguardino la stessa questione non basta: la disposizione di diritto dell’Unione deve prevedere una norma specifica che serva da norma di riferimento, a livello nazionale, nel settore interessato.
Di conseguenza, a parte le disposizioni della Carta stessa, esistono anche altre norme di diritto dell’Unione che non possono attivare la protezione della Carta. Tale è il caso di disposizioni del Trattato che attribuiscono al legislatore europeo il potere di adottare atti in un determinato settore. Al contrario, le misure di diritto dell’Unione (per esempio le direttive o i regolamenti europei) adottate dal legislatore dell’UE nell’esercizio di tale potere, possono far scattare l’applicazione della Carta rispetto alle disposizioni nazionali che danno loro attuazione.
Per esempio, l’art. 19 TFUE prevede che “il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale”. Basandosi su tale disposizione (o meglio ancora, sull’art. 13 TCE, suo predecessore), il legislatore europeo ha adottato degli importanti atti legislativi, in particolare: la Direttiva 2004/113/CE che applica il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura; la Direttiva 2000/78/CE che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; la Direttiva che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. La Carta può essere invocata contro una disposizione nazionale che entri nell’ambito di applicazione di tali direttive. Al contrario, la protezione della Carta non può essere attivata, solamente sostenendo che l’Unione abbia una competenza per combattere determinati tipi di discriminazione, qualora la disposizione nazionale in questione riguardi un ambito che non è coperto dalle direttive sopra menzionate.
Una lista di casi in cui le disposizioni nazionali possono essere considerate come attuative del diritto dell’Unione è fornita di seguito. Nelle situazioni descritte, esiste un legame tra l’atto o disposizione nazionale che si presume violi la Carta e il diritto europeo idoneo ad attivare la protezione della Carta. Cliccando su ciascuna categoria, appariranno una breve spiegazione e un esempio pratico.
Si prega di notare che tale lista non può essere considerata esaustiva: si basa sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che può evolversi nel tempo.
2.1 Le disposizioni nazionali adottate al fine di dare attuazione al diritto dell’Unione
La Carta si applica ai provvedimenti nazionali adottati per adempiere agli obblighi derivanti dal diritto europeo, come le direttive o i regolamenti dell’Unione (si vedano, rispettivamente, gli esempi 1 e 2 riportati di seguito).
Le direttive sono vincolanti per gli Stati membri destinatari, solamente per quanto riguarda il risultato da raggiungere, lasciando alle autorità nazionali la scelta della forma e dei mezzi per il suo conseguimento. Di conseguenza, una direttiva richiede l’adozione – entro il termine fissato dalla direttiva stessa – di una normativa nazionale di attuazione, a meno che le norme nazionali esistenti non possano già assicurare il conseguimento dell’obiettivo prescritto.
Gli obblighi imposti dalle direttive europee possono essere degli obblighi molto specifici, così come essere formulati in maniera più ampia. Si pensi, ad esempio, alle misure nazionali che danno esecuzione agli obblighi di prevedere sanzioni e pene effettive, proporzionate e dissuasive per la violazione di norme nazionali di attuazione di una direttiva (si veda il punto 4 di questa tassonomia).
Tuttavia, il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri non incide sull’obbligo di rispettare i diritti fondamentali dell’Unione, nel momento in cui vengono adottate delle misure di attuazione. Gli Stati membri hanno il dovere di dare esecuzione agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione in questione, in maniera da raggiungere l’obiettivo perseguito dalla direttiva, rimanendo coerenti in relazione ai diritti fondamentali dell’Unione. Al contrario, quando non è lasciata alcuna discrezionalità agli Stati membri e la disposizione di diritto dell’Unione appare, in sé per sé, incompatibile con i diritti fondamentali europei, un’autorità giurisdizionale nazionale dovrebbe sollevare una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia, domandando di verificare la validità della disposizione.
A differenza delle direttive, i regolamenti hanno, in generale, un effetto immediato negli ordinamenti giuridici interni, senza che sia necessario per le autorità nazionali adottare delle misure di attuazione. Tuttavia, alcune disposizioni dei regolamenti possono necessitare l’adozione di tali misure. Queste ultime non devono essere di ostacolo alla diretta applicabilità del regolamento, né nascondere la sua natura di regolamento dell’Unione. Inoltre, le misure nazionali di esecuzione di un regolamento europeo devono essere conformi alle norme di protezione dei diritti fondamentali dell’Unione.
Le disposizioni di diritto primario dell’Unione possono ugualmente essere fonte di obblighi per gli Stati membri, la cui applicazione esige l’adozione di misure di attuazione, che siano conformi alla Carta (esempio 3).
Esempi
1) Il seguente esempio, relativo a delle disposizioni nazionali adottate per trasporre una direttiva dell’Unione,è tratto da: Corte di Giustizia, sentenza del 15 gennaio 2014, C-176/12, Association de médiation sociale.
Il signor Laboubi è stato nominato in veste di rappresentante dei lavoratori nella sua impresa. Il suo datore di lavoro ha chiesto l’annullamento di tale designazione, sostenendo che il numero di dipendenti non raggiungeva la soglia minima, tale da comportare l’obbligo, previsto dalla legge, di nomina di un rappresentante. Ha sottolineato il fatto che la maggior parte dei lavoratori erano stati assunti con un tipo di contratto, che, secondo la normativa nazionale, non può essere preso in considerazione ai fini del calcolo della soglia sopra ricordata.
Il giudice nazionale aveva espresso dei dubbi circa la compatibilità di tale legislazione nazionale con l’articolo 27 della Carta, relativo al diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nell’ambito dell’impresa. Ha quindi deciso d’introdurre una domanda pregiudiziale alla Corte di giustizia.
La Corte ha ritenuto che la Carta fosse applicabile al caso di specie, in quanto la normativa nazionale in questione era stata adottata al fine di dare attuazione alla Direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori.
2) Il seguente esempio, relativo a delle disposizioni nazionali di esecuzione di un regolamento dell’Unione, è tratto da: Corte di Giustizia, sentenza del 15 maggio 2014, C-135/13, Szatmàri Malom Kft.
Il proprietario di uno stabilimento molitorio aveva presentato una domanda di aiuto finanziario in virtù del Regolamento (CE) No 1698/2005 sul sostegno allo sviluppo rurale. La sua intenzione era quella di utilizzare tale aiuto per sostituire il suo stabilimento molitorio con uno stabilimento nuovo, senza aumentare la capacità esistente. L’autorità nazionale competente aveva rifiutato l’erogazione dell’aiuto a motivo che, secondo la normativa nazionale di esecuzione del regolamento, un aiuto può essere accordato solamente per l’ammodernamento degli stabilimenti molitori esistenti, e non per la costruzione di un nuovo stabilimento. Il richiedente ha quindi proposto ricorso avverso il rifiuto, e il giudice nazionale ha domandato alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla compatibilità della normativa nazionale con il regolamento.
La Corte ha sottolineato che spetta allo Stato membro prevedere delle regole specifiche sull’ammissibilità delle domande di aiuto finanziario. Tuttavia, tali regole devono rispettare la condizione particolare fissata dal regolamento, vale a dire che l’aiuto deve migliorare il rendimento globale del settore. Gli Stati membri possono introdurre dei requisiti di ammissibilità aggiuntivi, a condizione che non eccedano il margine discrezionale ad essi conferito. Lo scopo della normativa nazionale era di evitare di incoraggiare, attraverso l’erogazione di un aiuto, la creazione di nuove capacità nel settore della molitura, settore caratterizzato da un sottoutilizzo degli stabilimenti molitori esistenti. La Corte ha ritenuto tale obiettivo ragionevole. Tuttavia, essa ha ritenuto che, in un caso come quello del richiedente, la normativa nazionale comportasse la violazione del diritto fondamentale alla parità di trattamento, sancito all’articolo 20 della Carta, in quanto la creazione di un nuovo stabilimento avrebbe seguito la chiusura del vecchio stabilimento, senza alcun aumento della capacità preesistente.
Si noti che la Commissione europea ha pubblicato la «Guida all’osservanza della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nell’attuazione dei fondi strutturali e di investimento europei («fondi SIE»). Le linee guida comprendono una lista di misure nazionali che costituiscono la «attuazione del diritto dell’Unione» ai sensi dell’articolo 51(1) della Carta.
3) Il seguente esempio, relativo alle misure nazionali di attuazione delle disposizioni del diritto primario dell’Unione, è tratto da: Corte di Giustizia, sentenza del 6 ottobre 2015, C-650/13 Delvigne. In un caso relativo alla degradazione civica di un cittadino dell’UE, un giudice francese ha messo in dubbio la compatibilità con l’articolo 39(1) della Carta, delle disposizioni nazionali che prevedono una privazione automatica del diritto di voto nel caso di condanna penale da parte di una sentenza penale definitiva resa prima del 1° marzo 1994 (data in ci il nuovo Codice penale è entrato in vigore). Il giudice nazionale ha quindi deciso di sollevare una domanda di pronuncia pregiudiziale davanti la Corte di Giustizia.
La Corte ha affermato che, in virtù dell’articolo 8 dell’Atto del 1976 relativo alle elezioni dei deputati del Parlamento europeo (che ha uno statuto di diritto primario dell’Unione), «fatte salve le disposizioni di tale atto, la procedura elettorale sia disciplinata in ciascuno Stato membro dalle disposizioni nazionali» (§29).
La stessa prosegue nel ragionamento, dichiarando che «gli Stati membri sono vincolati, nell’esercizio di tale competenza, dall’obbligo, enunciato all’articolo 1, paragrafo 3, dell’atto del 1976, letto in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 3, TUE, di assicurare che l’elezione dei membri del Parlamento europeo si svolga a suffragio universale diretto, libero e segreto».
Di conseguenza, si deve ritenere che uno Stato membro, il quale «nel contesto dell’attuazione [di tale obbligo], preveda, nella normativa nazionale, l’esclusione dai beneficiari del diritto di voto alle elezioni al Parlamento europeo dei cittadini dell’Unione che (…) sono stati oggetto di una condanna penale divenuta definitiva prima del 1º marzo 1994, attui il diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta» (§§ 32 e 33).
2.2 Disposizioni nazionali che danno attuazione al diritto dell’Unione, sebbene non siano state adottate a tale fine
Uno Stato membro non deve necessariamente adottare nuove norme al fine di adempiere agli obblighi derivanti dal diritto europeo: ciò non è necessario qualora le disposizioni nazionali esistenti possano già assicurare la conformità dell’ordinamento giuridico nazionale a tali obblighi. Che la misura nazionale sia stata adottata al fine di dare esecuzione a un obbligo dell’Unione, o, piuttosto, serva anche all’attuazione di tale obbligo, sebbene sia stata adottata sulla base di un’iniziativa puramente nazionale, non ha importanza.
Questo implica che le misure nazionali la cui adozione abbia preceduto quella dell’obbligo di diritto dell’Unione che è stato attuato, possono rientrare nell’ambito di applicazione della Carta.
Questa ipotesi è esemplificata ai punti 3) e 4), sebbene essa possa ugualmente riguardare delle disposizioni nazionali diverse da quelle che prevedono delle norme procedurali o delle sanzioni.
2.3 Disposizioni nazionali di diritto procedurale che regolano l’esercizio, avanti le giurisdizioni nazionali, di diritti (ordinari) riconosciuti ai soggetti dell’ordinamento da parte del diritto europeo
In base ad una giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia, «in mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti a stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai soggetti dell’ordinamento in forza dell’effetto diretto del diritto comunitario» (si veda, per esempio, la sentenza C-276/01, Steffensen, §60).
Il Trattato di Lisbona ha codificato tale giurisprudenze. Il secondo periodo dell’Articolo 19(1) TUE stabilisce che «gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione».
Di conseguenza, la Carta – e in particolare, l’art. 47 della Carta sul diritto a un ricorso effettivo - trova applicazione con riguardo alle disposizioni procedurali nazionali che, indipendentemente dal fatto che siano state adottate con questo specifico scopo, regolano l’esercizio, avanti alle giurisdizioni nazionali, dei diritti (ordinari) riconosciuti ai soggetti da parte del diritto europeo. Siffatti diritti possono derivare da direttive o regolamenti o, anche, da disposizioni di diritto europeo primario diverse dalle disposizioni della Carta.
Esempi
Il seguente esempio, relativo alle disposizioni procedurali che regolano l’esercizio di un diritto conferito dal diritto europeo, è tratto da: Corte di Giustizia, sentenza del 22 dicembre 2010, C-279/09, DEB
Una compagnia tedesca che lavora nel mercato del gas naturale, ritiene di aver subito dei danni a causa del ritardo nell’attuazione di due direttive europee sulla fornitura del gas naturale. Essa ha dunque voluto introdurre un’azione di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione, in base alla giurisprudenza Francovich. Mancando di liquidità e di patrimonio, la compagnia non era in grado di pagare l’anticipo sulle spese, previsto dalla normativa nazionale in materia. Per la stessa ragione, essa non aveva neppure i mezzi finanziari per pagare un avvocato, la cui presenza, in base al diritto tedesco, è obbligatorio per l’azione in questione. Avendo la Corte Costituzionale tedesca interpretato le disposizioni nazionali in materia di gratuito patrocinio come rivolte unicamente alle persone fisiche, la domanda della compagnia era quindi stata rigettata.
La compagnia ha appellato la decisione e il giudice nazionale ha sollevato una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia, relativa alla compatibilità delle norme interne di procedura civile, con il principio della tutela giurisdizionale effettiva del diritto europeo. La Corte di Giustizia ha affermato la sua competenza ad esaminare, ai sensi dell’art. 47 della Carta, le disposizioni nazionali (e, in particolare, l’interpretazione fornita loro dalla Corte Costituzionale tedesca), nella misura in cui, nel caso di specie, tali disposizioni andavano ad incidere sull’esercizio davanti ad un giudice di un diritto conferito dal diritto dell’Unione (il diritto di ottenere il risarcimento dei danni causati dall’incapacità di uno Stato membro di dare attuazione agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione). Pertanto, le disposizioni procedurali che sono funzionali all’esercizio di diritti garantiti dal diritto dell’Unione rientrano nell’ambito di applicazione della Carta, indipendentemente dal fatto che siano state adottate con questo specifico scopo.
2.4 Le disposizioni nazionali relative alle sanzioni applicabili all’inadempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione
Sempre più frequentemente, le misure di diritto europeo richiedono che gli Stati membri prevedano delle sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive nel caso di violazione di specifici obblighi stabiliti da tali atti, o dalla loro normativa di attuazione.
Gli Stati membri possono adempiere a tale obbligo, adottando sanzioni specifiche, che devono essere conformi ai requisiti relativi alla protezione dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta. Tuttavia, gli Stati membri possono comunque affidarsi a sanzioni già previste per (paragonabili) violazioni a livello nazionale. In questo caso, la Carta può essere invocata solo quando tali sanzioni sono applicate per una violazione di un obbligo derivante dal diritto europeo.
Esempi
Il seguente esempio è tratto da: Corte di Giustizia, sentenza del 26 febbraio 2013 C-617/10 Åkerberg Fransson
Un pescatore svedese ha fornito delle informazioni false relativamente al pagamento delle tasse nella sua dichiarazione annuale dei redditi, con conseguente rischio per l’erario di perdere entrate collegate alla riscossione dell’imposta sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto (IVA). In base alla normativa nazionale, un tale illecito fiscale può essere perseguito sia in base a procedimenti amministrativi sia penali, i quali possono comportare, sulla base degli stessi fatti, l’imposizione di una sovrattassa così come l’applicazione di una sanzione penale. Dopo essere stato perseguito in via amministrativa, l’uomo è stato chiamato a comparire davanti al giudice penale. Tuttavia, quest’ultimo ha sollevato dubbi sulla compatibilità di una normativa nazionale come quella sopra menzionata, con il principio del ne bis in idem sancito nell’art. 50 della Carta (ovvero, il divieto di punire due volte un soggetto per lo stesso reato).
La Corte ha riconosciuto la sua competenza ad esaminare la normativa nazionale alla luce dell’art. 50 della Carta, in quanto gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative volte a garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel proprio territorio e a lottare contro la frode. Tale obbligo trova la sua fonte, in particolare, negli artt. 2, 250(1) e 273 della Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.
La Corte non ha ritenuto di ostacolo all’applicazione della Carta, il fatto che la normativa nazionale non fosse stata adottata al fine di trasporre tale direttiva (infatti, quest’ultima risale ad una data anteriore rispetto all’adesione della Svezia all’Unione europea). La stessa ha sottolineato che, indipendentemente dall’obiettivo perseguito dal legislatore, le disposizioni nazionali in questione avevano l’effetto di dare attuazione all’obbligo imposto dal diritto europeo, di sanzionare in modo effettivo i comportamenti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione.
Inoltre, il fatto che la normativa nazionale non riguardi solamente i reati legati all’IVA, non esclude, anche in questo caso, l’applicazione della Carta. La Corte ha ricordato che l’articolo 325 TFUE obbliga gli Stati membri a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive, allo stesso modo in cui gli stessi lottano la frode lesiva dei loro interessi.
2.5 Applicazione delle disposizione di diritto UE o di disposizioni nazionali che ne danno attuazione, da parte di un’autorità nazionale
L’obbligo degli Stati membri di dare attuazione al diritto dell’Unione in maniera conforme ai diritti fondamentali dell’Unione non riguarda solo il legislatore: si applica anche alle autorità nazionali incaricate di dare applicazione alla legge negli Stati membri. Di conseguenza, le autorità giurisdizionali e amministrative nazionali devono applicare (o interpretare) le norme europee, in maniera conforme ai diritti fondamentali dell’Unione europea.
Questo è quanto stabilito da una giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia, in virtù della quale «incombe alle autorità e ai giudici degli Stati membri (…) provvedere a non fondarsi su un'interpretazione [del diritto europeo, o delle disposizioni che ne danno attuazione] che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall'ordinamento giuridico comunitario» (sentenza C-101/01 Lindqvist §87).
Esempi
Questo esempio è tratto da: Corte di Giustizia, ordinanza del 8 maggio 2014, C-329/13 Stefan
Le proprietà del signor Stefan hanno subito dei danni ingenti a causa della piena del fiume Drava. Lo stesso ha quindi presentato una domanda all’autorità austriaca competente al fine di ottenere informazioni relative alla gestione dei livelli del fiume. La domanda è stata rigettata in quanto la divulgazione delle informazioni richieste avrebbe potuto influenzare negativamente il procedimento penale pendente contro il responsabile delle chiuse del fiume e pregiudicare la possibilità per quest’ultimo di avere un equo processo.
L’art. 4, lettera c) della Direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale, autorizza gli Stati membri a prevedere, nella propria legislazione interna, che una domanda di informazione ambientale possa essere rigettata quando la divulgazione dell’informazione potrebbe influenzare negativamente il procedimento penale o la possibilità per tutti di avere un equo processo.
Il signor Stefan ha quindi proposto ricorso avverso la decisione. Il giudice nazionale ha ritenuto che la sua domanda non potesse essere rigettata su tale fondamento, in quanto il legislatore austriaco non ha previsto la deroga facoltativa sopra ricordata, nella normativa di attuazione della direttiva.
A questo proposito, il giudice nazionale si è interrogato sulla compatibilità di tale normativa con il diritto ad un equo processo, come garantito dall’art. 47(2) della Carta, e ha deciso quindi di rivolgere una domanda pregiudiziale alla Corte di Giustizia. La Corte ha ricordato che tutte le autorità degli Stati membri, compresi gli organi amministrativi e giurisdizionali, sono tenuti a garantire il rispetto delle norme di diritto dell’Unione – compresi i diritti fondamentali dell’Unione europea – nell’ambito delle loro competenze. Di conseguenza, poiché il legislatore nazionale non ha previsto la deroga contemplata dalla lettera c) comma 1 dell’art. 4(2) della direttiva al momento della trasposizione di quest’ultima nell’ordinamento interno, le autorità competenti per l’attuazione della normativa nazionale sono comunque tenute a fare uso del margine di discrezionalità loro conferito da tale disposizione, in senso conforme all’art. 47(2) della Carta.
2.6 Disposizioni nazionali che precisano nozioni utilizzate in provvedimenti di diritto UE
Gli atti dell’Unione comprendono talvolta una sezione in cui viene fornita la definizione di determinate nozioni e termini, utilizzati nell’atto stesso. Questo significa che tali nozioni e termini hanno un significato autonomo e uniforme per il diritto dell’Unione; in caso di dubbio, la Corte di Giustizia ha il potere di interpretarli.
Al contrario, altri atti dell’Unione fanno riferimento a delle definizioni approvate da (ciascuno) Stato membro. Questo significa che il legislatore dell’Unione europea desidera rispettare le differenze tra gli Stati membri, relativamente al significato e alla portata delle nozioni in questione. Ciononostante, la Corte ha precisato che l’assenza di una definizione autonoma nel diritto dell’Unione non significa che gli Stati membri possano pregiudicare l’attuazione effettiva degli obiettivi posti dall’atto dell’Unione considerato, così come venir meno al loro obbligo di dare attuazione a tale atto in maniera conforme ai diritti fondamentali dell’Unione europea. Di conseguenza, le disposizioni nazionali che precisano una nozione o un termine contenuto in un atto europeo danno attuazione al diritto dell’Unione ai sensi dell’art. 51(1) della Carta.
Esempi
Questo esempio è tratto da: Corte di Giustizia, sentenza del 24 aprile 2012, C-571/10, Kamberaj
La normativa di una Provincia italiana relativa alla concessione di un sussidio all’alloggio, prevedeva un trattamento differenziato per i cittadini di Paesi terzi con un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo e i cittadini dell’Unione (italiani e non), residenti sul territorio della Provincia in questione. La distribuzione dei fondi si basava su una media ponderata tra la consistenza numerica e il fabbisogno dei due gruppi (ovvero dei fondi disponibili). Tuttavia, mentre per i cittadini italiani e i cittadini dell’Unione tali parametri erano soggetti ad un coefficiente 1, per i cittadini di Paesi terzi, la consistenza numerica era soggetta ad un coefficiente 5 (determinando così uno stanziamento proporzionalmente inferiore da attribuire a tale categoria.)
Il signor Kamberaj, cittadino di Paese terzo soggiornante di lungo periodo, ha proposto ricorso avverso la decisione di rigetto della sua domanda per il sussidio all’alloggio. Il giudice nazionale ha espresso dei dubbi circa la compatibilità della legge provinciale con la direttiva 2003/119/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. Dopo aver rilevato che il meccanismo di attribuzione dei fondi determinava una disparità di trattamento tra le due categorie, la Corte si è domandata se la questione rientrasse nell’ambito di applicazione dell’art. 11(1) lettera d), che assicura la parità di trattamento tra i cittadini dell’UE e i cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, relativamente a «le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale».
La Corte ha rilevato che, con un rinvio siffatto, il legislatore dell’Unione ha inteso rispettare le differenze che sussistono tra gli Stati membri, riguardo alla definizione ed alla portata esatta delle nozioni di cui trattasi. Ciononostante, essa ha in ogni caso sottolineato che gli Stati membri non possono pregiudicare l’effetto utile del principio della parità di trattamento come previsto nella direttiva. La Corte ha inoltre affermato che l’art. 11(1) lettera d) deve essere letto alla luce dell’art. 34(3) della Carta, in base al quale «l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali». Ha quindi concluso ritenendo che spetta ai giudici nazionali verificare se il beneficio del sussidio all’alloggio in questione risponde all’obiettivo contemplato dall’art. 34(3) della Carta. Se così fosse, il sussidio all’alloggio dovrebbe essere considerato come compreso nell’ambito di applicazione del principio della parità di trattamento previsto nella direttiva.
2.7 Disposizioni nazionali che trovano il loro fondamento in una deroga prevista dal diritto UE
Le disposizioni del diritto dell’Unione danno talvolta la possibilità agli Stati membri di derogare agli obblighi previsti dalle stesse. Uno degli esempi più clamorosi riguarda la libera circolazione: i Trattati stessi, o la normativa europea che li attua, individuano i motivi che possono giustificare delle disposizioni nazionali restrittive della libertà fondamentale relativa alla circolazione dei beni, dei capitali, dei servizi nonché della libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Per esempio, la libera circolazione dei cittadini dell’Unione può essere limitata per dei motivi di sanità pubblica, di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, ai sensi della direttiva 2004/38/CE (direttiva sulla cittadinanza dell’Unione europea). Una misura di diritto nazionale restrittiva, che si fonda su uno di questi motivi, può essere giustificata solamente se essa è conforme ai diritti fondamentali dell’Unione.
Esempi
Il seguente esempio è tratto da: Corte di Giustizia, sentenza del 23 novembre 2010, C-145/09, Tsakouridis
La Direttiva 2004/38/CE fissa le condizioni relative al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, così come le limitazioni relative a tale diritto. Relativamente al diritto dei cittadini dell’Unione, la direttiva dà attuazione all’articolo 21(1) del TFUE, il quale attribuisce il diritto sopra menzionato a tutti i cittadini europei, «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi».
Ai sensi dell’art. 27 della direttiva, la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione residente in un altro Stato membro può essere limitata solamente per delle ragioni di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica. L’articolo 28 afferma poi che, se il cittadino dell’Unione ha acquisito il diritto di soggiorno permanente sul territorio dello Stato membro ospitante (ovvero dopo aver soggiornato in tale Stato per un periodo continuativo di 5 anni), un provvedimento di allontanamento dal territorio non può essere adottata se non per «gravi motivi» di pubblica sicurezza. Mentre si deve trattare di «motivi imperativi» qualora i cittadini dell’Unione abbia soggiornato nello Stato membro ospitante nei dieci anni precedenti.
Nella causa Tsakouridis, un giudice tedesco ha chiesto alla Corte di Giustizia dei chiarimenti in merito all’interpretazione dei motivi sopra menzionati, al fine di comprendere se e in che misura la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale, possa giustificare un provvedimento di allontanamento nei confronti di un cittadino dell’Unione. La Corte ha affermato che, in principio, tali reati possono rientrare nell’ambito di applicazione della nozione di pubblica sicurezza.
Ciononostante, essa ha anche ricordato che spetta al giudice nazionale valutare se, nel caso di specie, le conseguenze dell’allontanamento siano proporzionate alla finalità legittima perseguita da tale misura.
Secondo la Corte, si possono addurre motivi di interesse generale per giustificare una misura nazionale idonea a limitare l’esercizio della libera circolazione dei cittadini dell’Unione, solo qualora detta misura sia conforme a tali diritti, in particolare il diritto al rispetto della vita privata e familiare come sancito all’art. 7 della Carta. Il giudice nazionale dovrebbe quindi prendere in considerazione la solidità dei legami sociali, culturali e familiari del cittadino europeo in questione con lo Stato membro ospitante.
2.8 Disposizioni nazionali che incidono direttamente su una materia disciplinata dal diritto UE
In due casi decisi successivamente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (le sentenze rese sui rinvii pregiudiziali C-555/07 Kücükdeveci e Causa C-441/14 Dansk Industri), la Corte di Giustizia ha applicato la Carta a delle disposizioni nazionali che andavano a regolare la stessa materia disciplinata da una direttiva europea, sebbene tali disposizioni non fossero state adottate al fine di dare attuazione alla direttiva (in quanto precedenti a quest’ultima) e non producessero l’effetto concreto di darne attuazione (infatti, erano in conflitto con la direttiva). Dato che al tempo del verificarsi dei fatti, il termine di trasposizione della direttiva era scaduto e che il caso rientrava nell’ambito di applicazione personale e materiale della direttiva, la Carta poteva trovare applicazione.
Esempi
Questo esempio è tratto da: sentenza del 19 gennaio 2010 C-555/07 Kücükdeveci
La signora Kücükdeveci, dipendente, ha denunciato l’incompatibilità della Direttiva 2000/78/CE con l’articolo 622(2) del Bürgerliches Gesetzbuch (Codice civile tedesco). Secondo la disposizione nazionale, per il calcolo della durata del termine di preavviso prima del licenziamento, non si sarebbero dovuti prendere in considerazione i periodi di lavoro svolti prima del compimento del venticinquesimo anno di età. Di conseguenza, il termine di preavviso della signora era stato calcolato come se la dipendente avesse avuto un’anzianità di 3 anni, benché essa avesse un’anzianità di 10 anni.
La disposizione nazionale non era stata adottata al fine di dare attuazione alla direttiva (era precedente a quest’ultima) e non poteva neanche essere considerata come una misura tale da produrre l’effetto concreto di attuazione della direttiva (al contrario, essa interferiva direttamente con la stessa). Dopo aver constatato che il presunto comportamento discriminatorio aveva avuto luogo successivamente alla data limite per la trasposizione della direttiva, la Corte ha affermato che «in tale data, la direttiva ha avuto l’effetto di far entrare nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale che affronta una materia disciplinata dalla stessa direttiva, vale a dire, nella fattispecie, le condizioni di licenziamento» (§25).
Questa tipologia di collegamento ha una rilevanza pratica molto significativa quando la controversia coinvolge solo dei privati (ovvero, ha natura orizzontale) e sussiste un conflitto tra una disposizione di diritto interno e una contenuta in contenuta in una direttiva UE che specifica un diritto fondamentale dell’UE. Se il la disposizione della Carta rilevante soddisfa le condizioni per produrre effetti diretti (si vedano le sezioni 2 Parte II e 7 - Parte III), il giudice nazionale può invocare la Carta al fine di disapplicare le disposizioni nazionali in contrasto, ovviando così alla mancanza di effetto orizzontale della direttiva.
3. Il ruolo delle fonti nazionali di tutela nell’applicazione della Carta
Quando un caso concerne una norma nazionale adottata “in attuazione del diritto dell’Unione europea” (si veda la sezione 2 Parte II), la Carta può essere applicata. Tuttavia, ciò non significa che le fonti nazionali di tutela – in particolare, le costituzioni – non rivestano alcun ruolo.
L’articolo 53 della Carta stabilisce che: “nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo o delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo campo di applicazione, (....) dalle costituzioni degli Stati membri”.
Chiaramente, qualora la Carta garantisca un livello specifico di tutela, essa prevarrà sulle disposizioni costituzionali degli Stati membri (si veda il caso C-399/11 Melloni). Al contrario, se la Carta non prevede un livello specifico di tutela, si applicheranno le norme nazionali, purché siano rispettate due condizioni. In primo luogo, l’applicazione delle norme nazionali non deve compromettere il livello di tutela stabilito dalla Carta. In secondo luogo, occorre che siano garantiti “il primato, l’unità e l’effettività” del diritto dell’Unione. Si vedano, a titolo esemplificativo, le sentenze rese a seguito dei rinvii pregiudiziali C-168/13 PPU Jeremy F e il C-617/10 Åkerberg Fransson.
Laddove sussista un dubbio in merito al rispetto di queste due condizioni, i giudici nazionali possono effettuare un rinvio pregiudiziale chiedendo alla Corte di giustizia, di formulare un parere sull’interpretazione delle norme rilevanti di diritto dell’Unione.
4. La distinzione tra “diritti” e “principi”
Come anticipato nella sezione 3 Parte I, i diritti fondamentali dell’Unione europea fungono da parametri di interpretazione e di validità degli atti adottati da istituzioni, organi e organismi dell’Unione. Inoltre, essi rappresentano parametri di compatibilità con il diritto dell’Unione degli atti nazionali rientranti nel suo ambito di applicazione.
L’art. 52(5) della Carta recita: “Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi ed esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell’Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell’Unione, nell’esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell’interpretazione e del controllo di legalità di detti atti”.
In altre parole, l’art. 52(5) delinea un regime di controllo giurisdizionale limitato delle disposizioni della Carta che contengono “principi”, anziché “diritti”. Ciò emerge dalla corrispondente spiegazione: ‘il paragrafo 5 chiarisce la distinzione tra “diritti” e “principi” sanciti nella Carta. In base a tale distinzione, i diritti soggettivi sono rispettati, mentre i principi sono osservati (articolo 51, paragrafo 1). Ai principi può essere data attuazione tramite atti legislativi ed esecutivi (adottati dall’Unione conformemente alle sue competenze e dagli Stati membri unicamente nell’ambito dell’attuazione del diritto dell’Unione); di conseguenza, essi assumono rilevanza per il giudice solo quando tali atti sono interpretati o sottoposti a controllo. Essi non danno tuttavia adito a pretese dirette per azioni positive da parte delle istituzioni dell’Unione o delle autorità degli Stati membri”.
Tuttavia, l’identificazione dell’ambito di applicazione e degli effetti dell’articolo 52(5) della Carta solleva alcuni problemi.
Per quanto concerne l’ambito di applicazione, non esiste un elenco dei “principi” contenuti nella Carta. La spiegazione dell’art. 52(5) fornisce solo alcuni esempi. Inoltre, essa sottolinea come alcune delle disposizioni della Carta contengano elementi sia di un “diritto” sia di un “principio”: “A titolo illustrativo, si citano come esempi i principi riconosciuti nella Carta agli articoli 25 (diritti degli anziani), 26 (inserimento delle persone con disabilità) e 37 (tutela dell’ambiente). In alcuni casi è possibile che un articolo della Carta contenga elementi sia di un diritto sia di un principio, ad esempio gli articoli 23 (parità tra uomini e donne), 33 (vita familiare e professionale) e 34 (sicurezza sociale e assistenza sociale)”.
Per quanto riguarda gli effetti, i “principi” non possono essere invocati direttamente dagli individui per prevenire l’applicazione delle disposizioni nazionali confliggenti (si vedano la sezione 1 Parte II e la sezione 7).
È incerto se i “principi” possano costituire parametri di interpretazione e di validità di ogni atto dell’Unione o atto nazionale rientranti nell’ambito di applicazione della Carta, o, piuttosto, di ogni atto dell’Unione o nazionale volto a dare attuazione ai “principi”. Ad oggi, la Corte di giustizia ha fatto riferimento all’art. 52(5) solo nel caso C-356/12 Glatzel, relativo all’art. 26 della Carta sull’“integrazione delle persone con disabilità”. Tuttavia, la Corte non ha dato alcuna risposta definitiva con riferimento agli aspetti problematici sopra delineati.
I dubbi concernenti gli effetti giuridici dei principi della Carta possono essere affrontati richiedendo alla Corte di giustizia una decisione pregiudiziale.
5. L’interpretazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta: le spiegazioni
Al fine di determinare la tutela dei diritti fondamentali garantita dalla Carta, è utile consultare le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali.
Ai sensi dell’art. 52(7) della Carta, le spiegazioni “[sono state] elaborate al fine di fornire orientamenti per l’interpretazione della Carta e devono essere tenute in debito conto dai giudici dell’Unione e degli Stati membri”.
In particolare, le spiegazioni indicano la/le fonte(i) di ispirazione di ciascun diritto fondamentale previsto dalla Carta: ad esempio, la CEDU, la Carta sociale europea, le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.
Questa indicazione è particolarmente importante in quanto il Titolo VII della Carta stabilisce delle regole di interpretazione specifiche, che variano a seconda della fonte di ispirazione del diritto fondamentale interessato. In particolare, norme di interpretazione specifiche sono previste per le disposizioni della Carta che riconoscono diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU e per quelle che riconoscono i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (si vedano gli artt. 52(3) e 52(4) della Carta e le relative spiegazioni).
5.1 Diritti corrispondenti nella Carta e nella CEDU
L’art. 52(3) della Carta stabilisce che: “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla (...) Convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa”.
In altre parole, la CEDU rappresenta uno standard minimo di tutela laddove si tratti di “diritti corrispondenti”. Conseguentemente, tutti gli atti dell’Unione, e le norme nazionali che attuano il diritto dell’Unione, devono garantire un livello di tutela ai diritti corrispondenti conforme alla CEDU. In caso di dubbio, potrebbe essere utile effettuare un rinvio pregiudiziale (sulla validità o sull’interpretazione delle disposizioni di diritto dell’Unione rilevanti, a seconda delle circostanze).
La spiegazione ufficiale dell’art. 52(3) fornisce alcune indicazioni in merito all’identificazione dei diritti corrispondenti: essa contiene due elenchi, contenenti gli articoli della Carta con “[stesso] significato e portata (...) degli articoli corrispondenti della CEDU”, o “[con] significato identico agli articoli corrispondenti della CEDU, ma (...) portata più ampia”.
I due elenchi non sono esaustivi: riflettono lo stato attuale dell’evoluzione del diritto e rimangono aperti a “evoluzioni del diritto, della legislazione e dei Trattati”. Infatti, è possibile identificare alcuni ulteriori diritti corrispondenti.
Ad esempio, la spiegazione dell’art. 49(1) della Carta afferma che tale disposizione corrisponde all’art. 7(1) CEDU, ad eccezione del principio di retroattività della legge penale più mite, che figura nell’ultima parte della disposizione della Carta. Nella sentenza del 2009 nel caso Scoppola c. Italia (n. 2), la Corte di Strasburgo, richiamando l’art. 49(1) della Carta, ha interpretato l’articolo 7(1) della CEDU nel senso che lo stesso ricomprenderebbe anche il principio di retroattività della legge penale più mite.
La spiegazione relativa all’art. 52(3) della Carta fornisce alcune ulteriori informazioni utili:
- la portata e il significato dei diritti corrispondenti devono essere determinati tenendo in debito conto il testo della CEDU e dei suoi Protocolli, per come interpretati dalla Corte europea dei diritti umani;
- qualora i diritti corrispondenti della CEDU ammettano limitazioni, anche queste ultime devono essere tenute in considerazione nell’interpretazione della Carta;
- analogamente, qualora i diritti della CEDU non ammettano limitazioni, neppure i corrispondenti diritti della Carta possono essere soggetti a limitazioni.
5.2 Il ruolo delle tradizioni costituzionali comuni
L’art. 52(4) della Carta recita:
“Laddove la presente Carta riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni”.
La relative spiegazione sottolinea che “[l]a regola d’interpretazione contenuta nel paragrafo 4 è stata basata sulla formulazione dell’articolo 6, paragrafo 3 del trattato sull’Unione europea e tiene nel debito conto l’approccio alle tradizioni costituzionali comuni seguito dalla Corte di giustizia (ad esempio, sentenza del 13 dicembre 1979, causa 44/79 Hauer, Racc. 1979, pag. 3727; sentenza del 18 maggio 1982, causa 155/79, AM&S, Racc. 1982, pag. 1575). Secondo tale regola, piuttosto che in un’impostazione rigida basata sul «minimo comun denominatore», i diritti in questione sanciti dalla Carta dovrebbero essere interpretati in modo da offrire un elevato livello di tutela che sia consono al diritto dell’Unione e in armonia con le tradizioni costituzionali comuni”.
A differenza della spiegazione relativa all’art. 52(3), quella relativa all’art. 52(4) non elenca i diritti fondamentali della Carta come risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Alcune indicazioni a tale riguardo sono contenute nelle spiegazioni relative alle disposizioni sostanziali della Carta. Ad esempio, la spiegazione relativa all’art. 20 sull’”uguaglianza davanti alla legge” recita quanto segue: “Questo articolo corrisponde al principio generale di diritto che figura in tutte le costituzioni europee ed è stato sancito dalla Corte come uno dei principi fondamentali del diritto comunitario (sentenza del 13 novembre 1984, Racke, causa 283/83, Racc. 1984, pag. 3791, sentenza del 17 aprile 1997, causa C-15/95, EARL, Racc. 1997, pag. I-1961 e sentenza del 13 aprile 2000, causa C-292/97, Karlsson, Racc. 2000, pag. 2737)”.
Verosimilmente, la portata dell’art. 52(4) della Carta comprende più disposizioni di quelle che, in base alla spiegazione, riflettono le tradizioni costituzionali degli Stati membri. In particolare, è utile prendere in considerazione la giurisprudenza relativa ai principi di diritto dell’Unione (si veda la sezione 2.3 Parte I), in quanto la Corte di giustizia si è ispirata alle tradizioni costituzionali degli Stati membri per identificare e ricostruire tali principi.
Gli effetti della regola di interpretazione stabilita dall’art. 52(4) della Carta non sono chiari. Ad oggi, non vi sono state sentenze della Corte di giustizia che hanno fornito chiarimenti in merito. Tuttavia, è chiaro che non esiste una regola di massima tutela: non c’è alcuna indicazione che l’ambito della tutela garantita dalla Carta corrisponda automaticamente alla costituzione dello Stato membro che offre il livello di tutela più elevato. Al contrario, è pacifico che “l’interpretazione dei diritti fondamentali dell’Unione deve essere garantita nell’ambito della struttura e degli obiettivi dell’Unione” (Parere 2/13, § 170). Questa struttura comprende il rispetto delle tradizioni costituzionali degli Stati membri.
6. Quando i diritti fondamentali previsti dalla Carta possono essere limitati?
L’art. 52(1) della Carta stabilisce i requisiti per l’ammissibilità di limitazioni all’esercizio dei diritti fondamentali della Carta: “Eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”.
Anche se l'art. 52(1) della Carta non lo menziona espressamente, alcuni diritti fondamentali hanno carattere assoluto: essi non consentono alcuna limitazione. Posto che la CEDU opera quale uno standard minimo di tutela, ai sensi dell’art. 52 (3) della Carta (si vedi la sezione 5.1), i diritti fondamentali qualificabili come assoluti ai sensi della CEDU (come, ad esempio, il diritto alla vita, o il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti) non ammettono limitazioni nemmeno secondo quanto previsto alla Carta.
Al fine di verificare l’ammissibilità di una limitazione ai diritti fondamentali previsti dalla Carta, è necessario porsi le seguenti domande:
- Il diritto fondamentale in questione ammette limitazioni?
- In caso affermativo, la limitazione rispetta il contenuto essenziale del diritto fondamentale?
- In caso affermativo, la limitazione risponde effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione europea? In subordine, mira a proteggere i diritti o le libertà altrui?
- In caso affermativo, la limitazione è proporzionata? (Ciò significa che essa deve essere adeguata allo scopo perseguito)
- In caso affermativo, la limitazione è necessaria? (Ciò significa che essa deve raggiungere l’obbiettivo perseguito senza causare interferenze con il diritto fondamentale in questione che non siano assolutamente necessarie).
Alcune indicazioni utili circa le modalità secondo le quali la suddetta valutazione deve essere condotta sono contenute nell’allegato IV delle Guidelines on methodological steps to be taken to check fundamental rights’ compatibility at the Council preparatory bodies, elaborate dal Consiglio dell’Unione europea nel 2014.
Per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte di giustizia, la sentenza nella causa C-92/09 Volker und Markus Schecke una chiara illustrazione del test di cui all'articolo 52(1) della Carta ‘in azione’.
7. Gli effetti della Carta a livello nazionale
Quando una misura a carattere nazionale è in contrasto con la Carta, il giudice interno deve verificare, innanzi tutto, se la stessa può essere interpretata in conformità con la Carta (I). Se ciò non è possibile, il giudice nazionale dovrebbe allora considerare se la disposizione della Carta dell’UE interessata soddisfi i requisiti necessari a produrre effetti diretti (II). In ultima analisi, chiunque lamenti una violazione di un diritto fondamentale può agire in giudizio contro lo Stato membro interessato per danni (III). Un esempio delle condizioni e dei limiti propri dei tre sopra elencati modi di garantire protezione nonché l'ordine logico in cui dovrebbero essere invocati è offerto dalla sentenza nella causa C-441/14 Dansk Industri (DI).
I – Interpretazione del diritto nazionale conforme al diritto dell’UE
Al fine di risolvere il conflitto, i giudici nazionali devono prendere in considerazione il complesso delle norme di diritto interno e applicare i criteri di interpretazione riconosciuti dalle stesse. Se possibile, essi devono interpretare le disposizioni nazionali interessate alla luce della lettera e dello scopo delle disposizioni di diritto UE rilevanti per il caso.
Ad esempio, nella sentenza originata dal rinvio pregiudiziale C-149/10 Chatzi, un giudice greco ha chiesto alla Corte di giustizia di chiarire il significato dell'articolo 2 (2), dell'accordo quadro sul congedo parentale (riportato in un allegato della direttiva 96/34 / CE), alla luce dell'art. 24 della Carta (i diritti del bambino). Il giudice del rinvio ha messo in dubbio la conformità della normativa nazionale di attuazione dell’accordo con la Carta, in quanto essa concede alle madri di gemelli un unico periodo di congedo parentale.
La Corte di giustizia ha affermato che la misura a carattere nazionale non fosse in conflitto con l’art. 24 della Carta. Tuttavia, essa ha ritenuto che, al fine di garantire il rispetto del principio di uguaglianza di fronte alla legge, previsto all’art. 20 della Carta, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie a tenere in debito conto la specifica situazione dei genitori di due gemelli. Infatti, tale situazione è diversa da quella dei genitori di figli unici, o di bambini con una lieve differenza di età (che possono pertanto usufruire di due diversi periodi di congedo parentale).
Di conseguenza, la Corte di giustizia ha risposto al quesito sollevato dal giudice greco nei seguenti termini: “[l'accordo quadro], letto alla luce del principio di uguaglianza, (...) impone al legislatore nazionale di stabilire un regime di congedo parentale che, secondo la situazione dello Stato membro in questione, assicuri che i genitori di gemelli ricevano un trattamento che tenga debitamente conto delle loro particolari esigenze. Spetta al giudice nazionale stabilire se la normativa nazionale sia conforme a tale requisito e, se necessario, interpretare tali disposizioni, per quanto possibile, in modo conforme al diritto dell'Unione europea”.
II – Effetto diretto dei diritti fondamentali della Carta e disapplicazione delle disposizioni di legge nazionali in conflitto
Secondo un consolidato orientamento della Corte di giustizia, le disposizioni del diritto dell'Unione chiare, precise e non soggette a condizioni possono essere invocate da persone fisiche e giuridiche dinnanzi ai tribunali nazionali, al fine di ottenere la disapplicazione di norme nazionali incompatibili. Questo principio è noto come effetto diretto del diritto UE. Esso può essere orizzontale o verticale, a seconda che sia invocato nell’ambito di una controversia tra una persona fisica o giuridica e uno Stato membro (effetto diretto verticale, o nelle controversie tra privati (effetto diretto orizzontale).
Vale la pena ricordare che, ai fini dell’effetto diretto verticale, la Corte di giustizia ha riconosciuto una nozione ampia di “Stato”, che comprende il potere legislativo, esecutivo e giudiziario, e qualsiasi autorità pubblica centrale e locale. Essa comprende anche 'un organismo, qualunque sia la sua forma giuridica, incaricato, in virtù di una misura adottata da parte dello Stato, di fornire un servizio pubblico sotto il controllo dello Stato e avente per questo stesso scopo poteri più ampi di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra individui (si veda, ad esempio, la sentenza C-282/10 Dominguez).
Nella sentenza C-176/12 Association de médiation sociale (AMS), la Corte di giustizia ha affermato che in alcune circostanze la Carta potrebbe avere un effetto diretto orizzontale. Essa ha concluso che il principio di non discriminazione in base all’età sancito all’articolo 21(1) della Carta ha avuto effetto diretto orizzontale e potrebbe essere invocato direttamente per disapplicare una norma nazionale contrastante, perché è “di per sé sufficiente a conferire agli individui un diritto individuale che essi possono invocare in quanto tale”.
Le seguenti osservazioni possono essere formulate sulla base del caso AMS:
- un conflitto tra il diritto interno e la Carta conduce alla disapplicazione del primo laddove le disposizioni di quest’ultima sono sufficienti di per sé a conferire un diritto individuale che può essere invocato in quanto tale (cioè, senza la necessità di misure di esecuzione, a livello di diritto UE o nazionale);
- In tali circostanze, l’effetto diretto della disposizione della Carta può essere invocato non solo in verticale, ma anche in procedimenti orizzontali (come è avvenuto nel caso AMS);
- L’art. 21(1) della Carta soddisfa le condizioni per produrre effetti diretti, almeno per quanto riguarda la non discriminazione per motivi di età. Tuttavia, lo stesso vale verosimilmente per gli altri motivi di non discriminazione menzionati da tale disposizione;
- L'art. 27 della Carta sul diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa non ha alcun effetto diretto: la Corte lo ha escluso in AMS;
- Se la causa pendente riguarda una diversa disposizione della Carta, potrebbe essere utile chiedere alla Corte UE di chiarire se essa soddisfi il test AMS (sebbene i giudici nazionali le cui pronunce non siano definitive non abbiano l’obbligo di farvi riferimento).
III – L’azione di danni nei confronti dello Stato membro per violazione del diritto UE
Quando non è possibile interpretate il diritto nazionale in modo conforme alle disposizioni applicabili di diritto UE, né queste ultime soddisfano i requisiti dell’effetto diretto, la persona che ha subito un danno per effetto della violazione del diritto UE da parte di uno Stato membro può esigere che quest’ultimo risarcisca tali danni.
Sebbene l’azione di danni debba essere proposta davanti al giudice nazionale, sulla base delle norme procedurali nazionali applicabili ad azioni simili, le condizioni che devono essere soddisfatte sono stabilite in modo uniforme dal diritto UE; inoltre, le ricordate norme procedurali devono comunque risultare compatibili con il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva di cui all’art. 47 della Carta, nonché ai principi di effettività ed equivalenza, quali elaborati dalla Corte di giustizia. In caso di dubbi sulla compatibilità della normativa nazionale con i parametri di diritto UE appena ricordati, il giudice nazionale potrà proporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (si veda, al riguardo, la sentenza originata dal rinvio pregiudiziale C-279/09 DEB).
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