Cassazione civile, SEZIONE III, 24 gennaio 2003, n. 1111
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vito GIUSTINIANI - Presidente -
Dott. Francesco SABATINI - Consigliere -
Dott. Michele VARRONE - Consigliere -
Dott. Antonio LIMONGELLI - Consigliere -
Dott. Italo PURCARO - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TELECOM ITALIA SPA, in persona del procuratore speciale Avv. Giuseppe
Guerreri, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ANASTASIO II 139,
presso lo studio dell'avvocato DEL BUFALO PAOLO, che la difende anche
disgiuntamente all'avvocato SALVATORE PESCATORE, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
CODACONS, in persona del legale rappresentante p.t. Sig. Giovanni Pignoloni, nonché ROSSELLINI DONATELLA, elettivamente domiciliati inROMA VIA UGO BASSI 3, presso lo studio dell'avvocato LUCIANA SELMI, difesi dall'avvocato CARLO RIENZI, giusta delega in atti;
- controricorrente –
avverso la sentenza n. 5828-98 del Giudice di pace di ROMA, emessa il 16-06-98 e depositata il 18-06-98 (R.G. 9539-97);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04-11-02 dal Consigliere Dott. Italo PURCARO,
udito l'Avvocato Paolo DEL BUFALO; udito l'Avvocato Carlo RIENZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Antonietta CARESTIA che ha concluso per l'accoglimento del IV motivo
ed il rigetto nel resto.
Fatto
Con atto di citazione notificato in data 25 febbraio 1997 Donatella Rosellini convenne in giudizio, davanti al giudice di Pace di Roma, la società Telecom Italia s.p.a., deducendo: - di essere titolare dell'utenza telefonica con il n. 06-5674287; - di aver fatto sempre un uso limitato del telefono in quanto persona sola, costretta ad assentarsi di casa per circa quindici giorni ogni mese; - di avere sempre pagato bollette telefoniche nell'ambito di lire 200.000; - di avere ricevuto una bolletta di ben 498.000 lire, riferiva al primo bimestre 1996; - di avere contestato reiteratamente presso la Telecom l'ammontare della bolletta; - di avere ricevuto risposta negativa dalla Telecom, che negava l'esistenza di guasti sulla linea ed ometteva nel contempo di fornire la documentazione relativa al traffico telefonico; - di avere ricevuto un'ulteriore bolletta di importo spropositato (L. 318.000), relativa al terzo bimestre 1996, contestando vanamente anche tale bolletta; - che la Telecom, lungi dall'aderire alle richieste attrici, attuò, dopo il preventivo invio di una diffida, il distacco della linea, seguito dalla risoluzione del contratto. Chiese, pertanto, l'attrice la condanna della convenuta al risarcimento dei danni nella misura di lire 1.900.000 ovvero nella somma ritenuta equa. Radicatosi il contraddittorio, la convenuta, costituitasi, contestò la domanda attorea, precisando che il sistema di fatturazione ed addebito del traffico telefonico svolto a mezzo di telefonia di base non prevedeva, all'epoca, la formazione automatica della relativa documentazione, ma solo su specifica richiesta scritta - dell'interessato, con efficacia dalla data di attivazione del servizio; in ogni caso, propose domanda riconvenzionale per la condanna dell'attrice al pagamento delle bollette contestate. All'udienza del 28 gennaio 1998, la procuratrice dell'attrice depositò atto di intervento ad adiuvandum del CODACONS. Esperita la necessaria istruttoria, il giudice adito, con sentenza depositata in data 18 maggio 1998, ritenuto ammissibile l'intervento del CODACONS, accolse la domanda attorea, condannando la convenuta, di cui respinse la domanda riconvenzionale, al pagamento, a titolo di risarcimento, della somma di lire 1.500.000. Per la cassazione di detta sentenza la società Telecom ha proposto ricorso, sulla base di quattro motivi, cui hanno resistito con controricorso Donatella Rosellini ed il CODACONS. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Diritto
1) Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.), con riferimento agli artt. 113 c.p.c. ed agli artt. 10 e 36 dello stesso codice, deduce che il giudice adito non avrebbe potuto pronunciarsi secondo equità, perché l'oggetto della controversia superava il valore di lire 2.000.000. A tale conclusione la società Telecom perviene sostenendo che la determinazione del valore della causa e, dunque, del limite di 2.000.000 di lire, debba calcolarsi sommando la domanda principale con quella riconvenzionale.
Il motivo è infondato.
Occorre premettere che, se fosse fondata la tesi della ricorrente, relativa al cumulo della domanda attorea e della domanda riconvenzionale, ne conseguirebbe l'inammissibilità del ricorso. È pacifico, infatti, che a norma dell'art. 113 - 2 comma - c.p.c. il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede i due milioni. Ai sensi dell'art. 339 u.c. del codice di rito, sono inappellabili - e quindi ricorribili per cassazione ex art. 360 - 1 comma - c.p.c. - le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità. Le norme in questione, pertanto, individuano il regime delle impugnazioni avverso le sentenze del giudice di pace in funzione del valore della domanda proposta, mentre il valore della causa deve determinarsi applicando per analogia le regole dettate dagli artt. 10 e segg. c.p.c.. Alla stregua di tali norme è pacifico il principio secondo cui alla domanda principale non può e non deve sommarsi il valore della riconvenzionale, perché la regola del cumulo delle domande riguarda le domande proposte nello stesso processo contro la stessa parte e non quelle proposte dalle parti reciprocamente (cfr. in tal senso Cass. 14358-2001).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, non operando il cumulo delle contrapposte domande ed essendo ciascuna di esse contenuta nei limiti del valore di due milioni, ne consegue che il giudizio deve essere considerato deciso secondo equità, ex art. 113, secondo comma, c.p.c.
2) Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia il vizio di omessa o insufficiente motivazione (artt. 360 n. 5 c.p.c), per avere il giudice di pace: - taciuto del tutto delle indagini e prove compiute da Telecom, che avevano "escluso anomalie e rilevazioni errate" sul contatore di centrale; - ritenuto che l'attrice non fosse in grado di fornire la prova del mancato servizio essendo l'intero impianto sotto il controllo della Telecom e, quindi, sottratto a qualsiasi indagine da esso utente; - omesso di prendere in considerazione le affermazioni della società Telecom, relative all'impossibilità di fornire i tabulati delle telefonate effettuate senza la preventiva richiesta dell'utente; - omesso di considerare che le rilevazioni a campione effettuate dalla Telecom, che avevano accertato l'effettuazione di alcune chiamate interurbane, costituivano prova presuntiva degli importi addebitati; - omesso di spiegare perché la fattispecie concretava un'ipotesi di contratto con clausole vessatorie.
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e dei principi in ordine alle prove (art. 360 n. 3 c.p.c.). Deduce che la decisione impugnata si fonda sulle seguenti considerazioni: 1) l'utente non sarebbe in grado di fornire la prova del mancato uso del telefono; 2) la Telecom, per fornire la prova dei suoi assunti, avrebbe dovuto produrre i tabulati della centrale; 3) era tecnicamente possibile inserirsi su una linea telefonica; 4) era irrilevante l'attività di controllo a campione, svolta dalla Telecom. Trattasi, ad avviso della ricorrente, di affermazioni che sono in contrasto, oltre che con la logica, anche con i principi in tema di distribuzione dell'onere della prova.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente siccome strettamente connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
In ordine al problema della censurabilità in cassazione della motivazione della sentenza di equità ritiene il collegio che si debba confermare la costante giurisprudenza di questa corte regolatrice, secondo la quale: 1) il vizio di motivazione in diritto è irrilevante, salvo che non si traduca in inesistenza della motivazione (o motivazione apparente o contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, tale da precludere l'identificazione della ratio decidendi; 2) la motivazione sul criterio di equità adottato non può mai rientrare nel sindacato della Suprema Corte, salva l'assenza di motivazione; 3) la pronunzia secondo equità non esclude la configurabilità di censure ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c. nei casi di inesistenza della motivazione, ovvero ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., allorché l'enunciazione del criterio di equità adottato sia inficiato da un vizio che, attenendo ad un punto decisivo della controversia, risolva in un'ipotesi di mera apparenza o di radicale ed insanabile contraddittorietà della motivazione; 4) il ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza è ammissibile per violazione di norme processuali, posto che l'art. 113, secondo comma, c.p.c., anche a seguito della novellazione che ha escluso il vincolo per il giudice dei "principi regolatori della materia", impone pur sempre il rispetto delle norme della Costituzione e delle regole di diritto, obbligandolo, comunque, ad osservare la norma di cui all'art. 2697 c.c., stante il richiamo a tale norma contenuto nelle disposizioni del codice di rito, relative all'onere probatorio.
Orbene, nel caso di specie, il giudice di pace, è partito dall'esatto rilievo giuridico che nel contratto di abbonamento telefonico, la registrazione del contatore, posta all'esterno ed a distanza dell'apparecchio dell'utente, se costituisce normale misuratore del traffico telefonico riferibile all'utenza, non integra di per sè una prova legale, ma forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, solo se colui contro il quale le risultanze sono indicate non ne disconosce la conformità ai fatti (art. 2712 c.c). A fronte della contestazione dell'utente della bolletta telefonica, afferma ancora il giudice a quo, la Telecom, in virtù anche di quanto disposto dal Ministero delle Poste con apposita circolare, era tenuta a produrre i tabulati, ai fini di far conoscere all'attrice i numeri chiamati dalla relativa utenza ed, in difetto, a sospendere l'eventuale dichiarazione di morosità e le conseguenti disattivazioni della linea.
Trattasi di motivazione congrua, che, alla stregua dei suindicati principi, si sottrae alle dedotte censure, le quali vanno, pertanto disattese.
3) Con il quarto motivo, denunzia la ricorrente violazione degli artt. 100 e 105 c.p.c., in riferimento all'art. 360 n. 3 c.p.c., per avere il giudice di pace, senza alcuna motivazione, ritenuto ammissibile l'intervento del CODACONS, affermando apoditticamente che l'interesse dello stesso non era di mero fatto, ma giuridicamente rilevante, nonostante che, al momento, non fosse ancora entrata in vigore la normativa della legge 281 del 1998.
Il motivo è ammissibile, perché deduce la violazione una norma processuale, alla quale il giudice di pace è tenuto ad attenersi, ed, altresì, fondato per le considerazioni che seguono.
In linea di principio si osserva che ricorre l'ipotesi di intervento adesivo dipendente quando il terzo interviene in causa per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, avendovi un proprio interesse non meramente di fatto ma giuridico. Il terzo, cioè, deve presentarsi come titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti originarie contro l'altra o da esso dipendente. Tale connessione deve comportare un pregiudizio totale o parziale del diritto di cui il terzo stesso si asserisca titolare nell'ipotesi di soccombenza della parte originaria: è necessaria, cioè, la titolarità di una situazione sostanziale collegata al rapporto dedotto in giudizio, tale da esporre il terzo agli effetti riflessi del giudicato. Se, invece, il terzo ha un interesse di mero fatto a che una delle parti del rapporto principale risulti vittoriosa, non può essere riconosciuta alcuna legittimazione ad intervenire ad adiuvandum. Ed è questa la situazione che ricorre nel caso di specie, posto che il Codacons non appare titolare di un rapporto giuridico connesso o dipendente con quello dedotto in lite, atteso che la legge 30 luglio 1998, n. 281, che disciplina la legittimazione ad agire delle associazioni dei consumatori e degli utenti, è successiva all'introduzione del presente giudizio, per cui, nel momento in cui è stato proposto l'intervento del Codacons, questo ultimo, come esattamente sottolineato dalla ricorrente, risultava titolare di un mero interesse di fatto. Alla stregua di quanto precede, il ricorso deve essere accolto limitatamente al quarto motivo, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti del Codacons, il cui intervento va dichiarato inammissibile. 4) Per quanto concerne la domanda di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c., proposta dai controricorrenti in sede di discussione, la stessa deve ritenersi assorbita, per quanto riguarda il Codacons, per effetto dell'accoglimento del quarto motivo, mentre per quanto concerne la posizione della Rosellini, va rilevato che le sezioni unite di questa corte, con la sentenza n. 522 del 19 gennaio 1991 hanno affermato il principio, che deve trovare ulteriore conferma in questa sede, secondo cui la responsabilità aggravata, ai sensi dell'art. 96, primo comma, c.p.c., per il pretestuoso esperimento del ricorso per cassazione, può essere affermata solo in presenza di una domanda risarcitoria formulata con il controricorso, non quindi con la memoria di cui all'art. 378 c.p.c. o nel corso della discussione orale, e ciò in considerazione dell'esigenza di tutelare il diritto di difesa del destinatario della domanda stessa, con un congruo termine per esercitare la facoltà di replica. La relativa domanda è, pertanto, inammissibile. 5) In ordine alla regolamentazione delle spese, sussistono giusti motivi per compensare le stesse, con riferimento all'intero giudizio, tra la Telecom ed il Codacons, e con riferimento al giudizio di cassazione tra le altre parti.
P.Q.M
La Corte rigetta i primi tre motivi del ricorso; accoglie il quarto motivo, cassa senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti del Codacons, dichiarando inammissibile l'intervento di questo ultimo; compensa integralmente le spese dell'intero giudizio tra Telecom e Codacons e quelle del giudizio di cassazione tra Telecom e Rosellini. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della III Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 4 novembre 2002.