Cassazione civile , sez. III, 22 maggio 2007, n. 11876
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill. mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDUCCIA Gaetano - Presidente - Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere - Dott. FILADORO Camillo - rel. Consigliere - Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere - Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da:
C.G., elettivamente domiciliato in ROMA LARGO LUCIO APULEIO 11, presso lo studio dell'avvocato DELLA ROCCA Cesare, che lo difende unitamente all'avvocato RENATO DE ROSA, giusta delega in atti; - ricorrente -
contro
ASSITALIA - LE ASSICURAZIONI D'ITALIA SPA, in persona del suo procuratore speciale avv. C.S., elettivamente domiciliata in ROMA VIA B ORIANI 32, presso lo Studio SCIUME' & ZACCHEO, difesa dagli avvocati SCIUME' Alberto, MASSIMO ZACCHEO, giusta delega in atti;
contro-ricorrente - avverso la sentenza n. 1373/03 della Corte d'Appello di MILANO, Sezione Quarta Civile, emessa l'11/02/03, depositata il 29/04/03, R.G. 3059/01; udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 03/04/07 dal Consigliere Dott. Camillo FILADORO; udito l'Avvocato Renato DE ROSA; udito l'Avvocato Alessandro GAETA (per delega Avv. Massimo ZACCHEO); udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con sentenza 11 febbraio-29 aprile 2003 la Corte d'Appello di Milano rigettava l'appello proposto da C.G. avverso la decisione del Tribunale di Monza del 27 febbraio-12 marzo 2001, la quale aveva dichiarato improponibile la domanda dello stesso C. intesa ad ottenere la condanna di ASSITALIA al pagamento della somma di L. 500.000.000 a titolo di indennizzo assicurativo per la invalidità permanente derivante dall'infarto miocardico subito nel 1993 ed alla emiparesi sinistra in esiti di ictus cerebrale ischemico del 1995.
I Giudici di appello, confermando la decisione del primo Giudice, avevano ritenuto che le parti del contratto di assicurazione avessero inteso devolvere ad un arbitrato irrituale il potere di decidere non solo l'entità dell'indennizzo della assicurazione malattia ma anche se lo stesso fosse dovuto.
Avverso tale decisione il C. ha proposto ricorso per Cassazione sorretto da due distinti motivi.
Resiste la società di assicurazione con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa/omessa applicazione dell'art. 1469 bis c.c. e segg., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Secondo il ricorrente i giudici di appello avrebbero errato non dichiarando inefficaci le clausole contenute agli artt. 19 (mod.
15840) e 7 (mod. 15844) della polizza assicurazione malattia stipulata dal C..
Tali clausole, infatti, erano ben lungi dal configurare una mera "perizia contrattuale" ed avendo, invece, carattere compromissorio o comunque derogativi della competenza del Giudice ordinario, dovevano considerarsi vessatorie, ai sensi dell'art. 1469 bis c.c., comma 3, n. 18, che considera inefficaci le clausole che prevedono una deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria (disposizione, questa, applicabile anche ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore).
Il ricorrente sottolinea poi l'assoluta irrilevanza della specifica sottoscrizione delle clausole contenute negli artt. 19 e 7, già richiamati. Una clausola il cui contenuto sia considerato vessatorio ai sensi degli articoli dettati in tema di "contratti del consumatore" - anche se specificamente approvata per iscritto ai sensi dell'art. 1341 c.c., non potrà che essere considerata inefficace ai sensi dell'art. 1469 bis c.c., a meno che il "professionista" non provi che la clausola, dal medesimo unilateralmente predisposta, sia stata oggetto di specifica trattativa con il consumatore (art. 1469 ter c.c., comma 4): ipotesi, questa, non verificatasi nel caso di specie.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 1370 c.c., ed, in genere, dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, in riferimento all'art. 360 c.c., comma 1, n. 3.
Il ricorrente segnala un evidente contrasto tra le clausole contenute nei richiamati artt. 19 (mod. 15840) e 7 (mod. 15844), da un lato, e l'art. 8 intitolato "foro competente" delle condizioni generali di assicurazione.
Secondo quest'ultimo articolo: "Foro competente, a scelta della parte attrice, è esclusivamente quello del luogo di residenza o sede del convenuto, ovvero quello del luogo in cui ha sede l'Agenzia alla quale è assegnata la polizza". Dato il contrasto tra le varie disposizioni, secondo i principi generali, le stesse dovrebbero essere interpretate nel senso più favorevole all'assicurato.
Tra l'altro, il C. non era stato posto in condizioni di prendere visione della perizia medico-legale ed era stato, pertanto, costretto ad adire l'autorità giudiziaria ordinaria.
Osserva il Collegio:
i due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, non sono fondati.
Con motivazione adeguata e logica, che sfugge a qualsiasi censura, i giudici di appello hanno ritenuto che secondo l'art. 19 delle condizioni generali di contratto (mod. 15840) e l'art. 7 del mod.
15844 (costituenti parte integrante della polizza) le parti intesero devolvere ad un collegio di arbitri non solo il potere di decidere circa l'entità dell'indennizzo ma anche - e preliminarmente - se lo stesso fosse dovuto secondo le previsioni della polizza di assicurazione.
Si trattava, hanno accertato i Giudici di appello con motivazione incensurabile in questa sede, di una vera e propria "perizia contrattuale" che non interferiva sull'azione giudiziaria rivolta alla definizione delle questioni attinenti alla validità ed operatività della garanzia.
Si ha perizia contrattuale quando le parti devolvono al terzo, o ai terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, non già la risoluzione di una controversia giuridica, ma la formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva: Cass. 22 ottobre 2002 n. 14909, 21 maggio 1999 n. 4954, 13 aprile 1999 n. 3609, 28 agosto 1995 n. 9032.
Questa Corte, con orientamento interpretativo seguito nella presente controversia dai Giudici di merito, ha più volte affermato che nella clausola di un contratto di assicurazione, che preveda una perizia contrattuale (con il deferimento ad un collegio di esperti di accertamenti da farsi in base a regole tecniche e con l'impegno ad accettarne le conclusioni come diretta espressione della volontà dei contraenti), è insita la temporanea rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto contrattuale, nel senso che, prima e durante il corso della procedura contrattualmente prevista, le parti stesse non possono proporre davanti al giudice le azioni derivanti dal suddetto rapporto (Cass. 21 maggio 1999 n. 4954, 13 aprile 1999 n. 3609, 26 febbraio 1999 n. 1680, 11 novembre 1994 n. 9459; Cfr. anche Cass. 5 aprile 1984 n. 2195; 22 ottobre 1981 n. 5544).
La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che la clausola di un contratto di assicurazione con la quale le parti conferiscano ad una o più persone il potere di effettuare una perizia contrattuale con un accertamento sostitutivo della loro volontà e per esse vincolante, non ha carattere compromissorio o, comunque, derogativo della competenza del giudice ordinario, per cui non rientra fra quelle da approvarsi specificamente per iscritto a norma degli artt. 1341 e 1342 c.c. (Cass. 2 febbraio 2006 n. 2277, 18 dicembre 1999 n. 14302, 29 novembre 1999 n, 13339 e 1680 del 1999).
La temporanea improponibilità della domanda dichiarata dalla sentenza impugnata - concerne tutte le azioni derivanti dal contratto di assicurazione, e quindi sia la domanda dell'assicurato di pagamento dell'indennizzo, sia quella di risarcimento del danno per inadempimento a detto obbligo di pagamento. Non assume, quindi, alcun rilievo la qualificazione della domanda al fine di superare la temporanea preclusione dell'azione giudiziaria, derivante dal mancato espletamento della perizia contrattualmente prevista.
Il richiamo alla decisione delle sezioni unite di questa Corte, da ultimo, appare del tutto fuor di luogo poichè l'ordinanza del 2003 n. 14669 ha ritenuto applicabili le disposizioni dell'art. 1469 bis codice civile ai rapporti negoziali ancora "pendenti alla data di entrata in vigore della novella legislativa in materia di clausole vessatorie" con esclusivo riferimento alla deroga alle regole generali in materia di competenza per territorio.
Sancire l'efficacia di una simile disposizione processuale anche per i giudizi instaurati successivamente all'entrata in vigore della novella in favore dei consumatori, pur in presenza di accordi precedenti di elezione di fori differenti, non pregiudica affatto quella esigenza di certezza del diritto sottesa al principio di irretroattività delle leggi.
Per quanto riguarda, invece, le disposizioni aventi natura sostanziale - come appunto quella di cui ai discute nel caso di specie - vale il principio generale della irretroattività della legge (Cass. 29 novembre 1999 n. 13339 e 13 aprile 1999 n. 3609).
Giusta la regola generale posta dall'art. 11 preleggi, comma 1, infatti, la legge non dispone che per l'avvenire, essa non ha effetto retroattivo.
Ne deriva, come assolutamente pacifico in dottrina presso una più che consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice, che la validità1 - o meno - di qualsiasi contratto - in difetto di una eventuale norma espressamente dichiarata retroattiva dal legislatore - deve essere sempre riferita alle norme in vigore nel momento della sua conclusione (e non a quello della sua applicazione o come si assume in questa sede - della sua verifica in sede giudiziale) (in tale senso, ad esempio, Cass., 17 luglio 2003 n. 11200, 29 novembre 1999 n. 13339, 18 luglio 2002 n. 10436, 28 marzo 1997, n. 2776, 2 aprile 1996, n. 3028, 21 febbraio 1995, n. 1877, nonchè Cass., 21 ottobre 1994, n. 8651 e Cass., 27 aprile 1993, n. 4926).
Pacifico che nella specie il contratto di assicurazione per cui è controversia è stato concluso ben anteriormente all'epoca di entrata in vigore della L. 6 febbraio 1996, n. 52, art. 25 (e bene anteriormente a tale ultima data è stato promosso il presente giudizio, introdotto con citazione notificata in data 13 ottobre 1998), è palese la non riferibilità, alla presente vertenza, della disciplina dettata per i "contratti del consumatore" dall'art. 1469 bis c.c. e segg..
L'accordo del 1988 ha, del resto, una chiara portata sostanziale secondo l'interpretazione datane dai Giudici di appello: con esso, infatti, le parti vollero conferire un mandato a persone designate per la loro particolare competenza a compiere accertamenti e valutazioni tecniche pregiudiziali alla soluzione della controversia.
Una dichiarazione di inefficacia di tale accordo (a differenza di quanto affermato dalle sezioni unite di questa Corte con riferimento alla individuazione del Giudice competente), non provocherebbe quindi semplici mutamenti nella disciplina processuale della controversia, ma finirebbe per incidere sul momento generativo del rapporto sorto, diversi anni prima, con la previsione contrattuale de qua, sancendone, appunto, l'inefficacia.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 6.100,00 (seimilacento/00) di cui Euro 6.000,00 (seimila/00) per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2007