REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PALERMO -Sez. Terza Civile-
II Tribunale di Palermo -Sez. Terza Civile - riunito in camera di Consiglio e
composto da:
1) Dott. Angelo Monteleone Presidente
2) Dott. Cristina Midolla Giudice
3) Dott. Fabio Di Pisa Giudice rel.est.
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 3237/2005 R.G. vertente
TRA
ADICONSUM Associazione difesa consumatori e ambiente ONLUS, in
persona del suo segretario generale Paolino Landi elettivamente domiciliata ai
fini del presente giudizio in Palermo Via R. Wagner n. 9 presso lo studio degli
Avv.ti Gaetano e Alessandro Palmigiano che la rappresentano e difendono
congiuntamente e disgiuntamente giusta procura a margine dell'atto di
citazione
ATTRICE
CONTRO
BANCO DI SICILIA Società per Azioni in persona del legale rappresentante
pro-tempore, rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente
dall'Avv. Mario Giudice giusta procura in Notar Serio del 16.5.2003, Rep. N.
62323 e dall'Avv. Luciano Piazza giusta procura in calce alla comparsa di
risposta ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo sito in
Palermo Via Libertà n. 171
CONVENUTA
Conclusioni: le parti concludono come in atti.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato in data 4.3.2005 l'Adiconsum
Associazione difesa consumatori e ambiente ONLUS, in persona del suo
segretario generale Paolino Landi (d'ora in poi, per brevità, "Adiconsum")
conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale la Banco di Sicilia Società
per Azioni (per brevità "Banco di Sicilia") esponendo che la banca convenuta,
sino alla data di entrata in vigore della delibera CICR del 9.2.2000, si era
avvalsa, nell'ambito dei rapporti di apertura di credito in conto corrente, di una
clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi addebitati sui saldi
risultati passivi, clausola da ritenere vessatoria e nulla nei contratti conclusi
con i consumatori, come riconosciuto dai giudici di legittimità e,
segnatamente, dalla pronunzia del Supremo Collegio a Sezioni Unite n. 21095
in data 4.11.2005.
Nell'evidenziare che l'istituto di credito convenuto aveva opposto il proprio
rifiuto alle richieste, avanzate dai singoli consumatori, di restituzione delle
somme percepite in virtù della applicazione della anzidetta clausola (nulla e
vessatoria ex art. 1469 bis cod. civ.), osservava che tale rifiuto integrava gli
estremi di un comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli
utenti ai sensi dell'art. 3 lett. a) l. 30 Luglio 1998 n. 281.
Lamentava, altresì, che il Banco di Sicilia aveva negato ai consumatori - sia in
sede giudiziale che in sede stragiudiziale - l'accesso alla documentazione
relativa ai loro conti correnti (e segnatamente agli estratti conto) antecedenti i
dieci anni dalla richiesta e ciò sebbene tale documentazione esistesse e fosse
stata conservata, sia pure su supporto informatico.
Tanto premesso chiedeva: a) dichiarare la natura vessatoria ai sensi degli artt.
1469 bis e segg. cod. civ. nonché la nullità delle clausole di capitalizzazione
trimestrale degli interessi dovuti dal correntista operanti prima dell'aprile
2000; b) inibire alla banca convenuta l'uso di tali clausole nei rapporti con i
consumatori; c) dichiarare che il comportamento della banca, consistito nel
rifiuto, da un lato, di dare corso alla restituzione delle somme percepite in
ragione della menzionata clausola e, dall'altro, di consegnare la
documentazione contabile relativa ai rapporti dì conto corrente, anche se
anteriore al decennio dalla richiesta, costituiva violazione degli interessi dei
consumatori ai sensi dell'art. 3, comma 1° lett. a) l. 281/1998; d) ordinarsi alla
banca convenuta di cessare tale condotta e, conseguentemente, di restituire ai
clienti consumatori le somme indebitamente percepite in virtù della
applicazione di tale clausola nonché di consegnare agli istanti copia di tutta la
documentazione bancaria relativa al rapporto contrattuale, anche se
antecedente al decennio; e) adottare ogni altra misura idonea a correggere od
eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate, come previsto dall'art 3
della legge cit.; f) ordinarsi la pubblicazione del provvedimento a spese della
società convenuta su alcuni quotidiani nazionali come previsto dall'art. 1469
sexies comma terzo cod. civ. nonché dall'art. 3 lett. leg. cit.; g) ordinare alla
convenuta di inviare ai propri clienti consumatori una missiva contenente
indicazioni esplicative in ordine alle vessatorietà della richiamata clausola ed
alla illiceità dei propri comportamenti; h) disporre, ai sensi dell'art. 3 comma 5
bis l. 30 Luglio 1998 n. 281, in ipotesi di inadempimento degli obblighi
stabiliti nella sentenza, decorsi dieci giorni dalla pubblicazione della stessa, il
pagamento da parte del Banco di Sicilia di una somma pari ad € 1.032,00 per
ogni giorno di ritardo.
Si costituiva il Banco di Sicilia il quale rilevava, in primo luogo, la
inammissibilità della richiesta di parte attrice atteso che le clausole in
contestazione non erano più operanti, perché sostituite da quelle adottate in
conformità alla citata delibera CICR del 9.2.2000.
Eccepiva, poi, la inammissibilità della istanza volta alla declaratoria della
illegittimità della utilizzazione di detta clausola nonché del rifiuto opposto da
essa convenuta di restituire le somme percepite sulla base di clausole
anatocistiche vigenti anteriormente alla citata delibera, in quanto parte attrice
mirava, in relazione ai fatti de quibus, ad un "accertamento giudiziale con
portata generale ed astratta" non previsto dalla legislazione vigente. Precisava,
in particolare, come il giudice "essendo indissolubilmente vincolato
all'accertamento del singolo, specifico fatto storico, non è facilitato ad
universalizzare il giudizio di liceità-illiceità formulato con riguardo a
quest'ultimo".
Rilevava, altresì, la liceità della condotta di essa convenuta rifiutatasi di dare
corso "spontaneamente - cioè in assenza di un giudicato che, puntualmente
caso per caso, accerti la illegittimità di tale condotta -" alla restituzione delle
somme percepite in relazione alle clausole anatocistiche vigenti anteriormente
alla sopra richiamata delibera atteso che si imponeva, per ogni singola
fattispecie, una verifica in concreto della sussistenza dei presupporti del diritto
alla ripetizione vantato dal singolo cliente e tenuto conto che la stessa,
nell'esercizio del suo inviolabile diritto di difesa, costituzionalmente garantito,
mirava a perseguire una revisione dell'orientamento giurisprudenziale
attualmente vigente.
Deduceva, altresì, come doveva ritenersi del tutto inammissibile la richiesta
finalizzata alla cessazione della condotta della banca, asseritamente
ostruzionistica, di procedere alla restituzione delle somme percepite sia in
considerazione del fatto che "un siffatto ordine di cessazione configurerebbe
gli estremi di una inibitoria a contenuto positivo laddove, come è noto, la
tutela inibitoria pone capo ad un non facere..." sia in ragione della circostanza
che "suo tramite si finirebbe per dare fondamento a quel diritto al rimborso in
capo ai singoli clienti che, viceversa, non può che essere oggetto di uno
specifico accertamento caso per caso" nell'ambito di uno apposito giudizio
avente petitum e causa petendi rigorosamente circoscritti.
Aggiungeva, infine, che non poteva trovare accoglimento la richiesta volta ad
ottenere la consegna di tutta la documentazione bancaria, anche anteriore al
decennio, atteso che la condotta di essa banca era conforme al dettato
enunciato dall’art. 2200 cod. civ. nonché alla previsione contenuta nell'art.
119 ult. co; D.Lgs 385/1993 e che era contrario a buona fede nonché lesivo
del diritto di difesa costringerla a "reperire, allestire e collazionare una
documentazione di mole eccezionalmente ingènte che essa non è tenuta per
legge a conservare e la fornisca ad una massa indistinta dei suoi possibili
futuri contraddittori".
A seguito dello scambio di memorie di replica ex artt. 6 e 7 D.L.vo 17
Gennaio 2003, n.5, venivano depositate l'istanza di fissazione dell'udienza da
parte dell'Adiconsum nonché memoria ex art. 10 D.L. citato da parte della
convenuta.
Quindi il giudice relatore, con decreto in data 5.12.2005, rigettava le prove
dedotte dall'attrice, rimettendo le parti dinanzi al collegio.
All'udienza collegiale del 24.2.2006, dopo la discussione orale, il Tribunale
confermava il decreto del giudice relatore e poneva la causa in decisione,
assegnando il termine di legge per il deposito della sentenza.
Motivi della decisione
Appare opportuno premettere alcune puntualizzazioni sulla natura delle
domande avanzate dell'attrice al fine di una migliore comprensione delle
eccezioni di parte convenuta.
Va osservato che l'Adiconsum, nel lamentare la illegittimità della condotta del
Banco di Sicilia inerente l'utilizzo della clausola di capitalizzazione
trimestrale degli interessi a debito nei rapporti di conto corrente stipulati con i
consumatori, a suo dire pregiudizievole dei diritti di questi ultimi nonché la
illiceità del comportamento di detto istituto bancario rifiutatosi di consentire
l'accesso alla documentazione relativa ai conti correnti dei consumatori (e
segnatamente agli estratti conto) antecedenti i dieci anni dalla richiesta e ciò
sebbene tale documentazione fosse stata conservata dalla banca, ha avanzato
le domande oggetto di causa sia ai sensi dell'art. 1469 sexies cod. civ. che ai
sensi della L. 30 Luglio 1998, n. 231 (normative riproposte ed, in parte,
sostituite con talune modifiche nell'ambito del recente D.L.vo 6 Settembre
2005 n. 206, c.d. Codice del Consumo).
Rileva il Tribunale che le c.d. azioni di interesse collettivo a contenuto
inibitorio, di cui alle richiamate disposizioni, mirano, da un lato, a fare cessare
le condotte illecite già in essere e dall'altro ad imporre all'autore della condotta
lesiva degli interessi dei consumatori un obbligo di astensione per l'avvenire
da comportamenti dei quali sia stata accertata l'antigiuridicità. E' chiaro,
quindi, che il presupposto oggettivo delle azioni inibitorie ex art. 1469 sexies
cod. civ. ed ex art. 3 L. 231/1998 è differente posto che l'inserimento di
clausole vessatorie è soltanto uno dei possibili comportamenti lesivi dei diritti
dei consumatori.
Al fine di comprendere la effettiva portata della tutela 'innominata' prevista
dalla normativa da ultimo indicata [e riproposta, in modo sostanzialmente
analogo, nell'ambito del menzionato Codice del Consumo, art. 140] deve,
invero, muoversi dal contenuto dell'art. 1 della citata legge [oggi sostituito
dall'art. 2 della normativa da ultimo indicata] ove si fa riferimento alla
inderogabile esigenza di forte tutela nell'ambito di una amplissima gamma di
settori fondamentali per i cittadini: salute, sicurezza e qualità dei prodotti,
pubblicità commerciale, correttezza, equità e trasparenza nei rapporti
commerciali inerenti beni e servizi privati, erogazione dei servizi pubblici
secondo standards di qualità ed efficienza.
E' chiaro, quindi, l'intento della norma di introdurre e rafforzare strumenti di
tutela collettiva per aumentare la proiezione dei diritti dei consumatori ed
assicurare esigenze di tutela destinate, altrimenti, a rimanere insoddisfatte
oltre che impedire che una pluralità indefinita di pretese risarcitorie finisca per
paralizzare il sistema giudiziario, con la eventualità, peraltro, di giudizi
contrastanti.
Fatte tali brevi considerazioni occorre esaminare la preliminare eccezione di
inammissibilità della domanda di inibitoria, sollevata dalla banca convenuta la
quale assume, in primo luogo, che la clausola relativa alla capitalizzazione
trimestrale degli interessi a debito non sarebbe ad oggi più operante, perché
sostituita da quella adottata in conformità alla citata delibera CICR del
9.2.2000 e, in particolare, che detta clausola non sarebbe "più utilizzata in
alcun modo ed in alcun senso dal Banco di Sicilia".
Sul punto va precisato che sebbene parte attrice faccia riferimento alla illiceità
della clausola de qua "prima dell'aprile del 2000", poiché l'art. 7 della delibera
CICR stabilisce, per i contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della
delibera, che le condizioni pattuite devono essere adeguate alle disposizioni
contenute nella delibera entro il 30/6/00, il problema riguarda la sorte dei
contratti stipulati prima della delibera CICR e per il periodo fino al 30 giugno
2000.
Ne discende che, stante il richiamato alla citata delibera, la domanda attorea
va riferita alla data da ultimo indicata, a prescindere dall'erroneo richiamo
all'aprile 2000.
Ciò premesso va evidenziato che l'istituto di credito convenuto ha, in
particolare, eccepito che ".....Nel caso di specie non si vede come di
utilizzazione della clausola possa sensatamente parlarsi, posto che il rapporto
tra la banca ed il cliente è ormai esaurito e la pretesa restitutoria avanzata da
quest'ultimo trova la sua origine non nel contratto (il cui disciplinare ospitava
la clausola de qua) ma in una diversa fonte dell'obbligazione, cioè il
pagamento del presunto indebito, cioè delle somme corrisposte in ragione
della regola di capitalizzazione trimestrale degli interessi. In altri termini, è
evidente che una cosa è che la banca continui ad applicare ad un rapporto
sorto prima che intervenisse la modifica imposta dalla delibera CICR, ma
ancora in corso al momento della entrata in vigore di quest'ultima, la clausola
nella sua versione originaria, proseguendo a capitalizzare trimestralmente gli
interessi attivi ma non quelli passivi; cosa ben diversa è che la banca, chiusosi
il rapporto di conto corrente, si astenga dal restituire spontaneamente le
somme di cui il cliente esige la restituzione, nel presupposto (tutto da
dimostrare) che la clausola anatocistica fosse vessatoria, giacché qui la banca
non sta ovviamente utilizzando quella clausola - non la sta utilizzando per la
semplice ragione che è venuto meno il rapporto in vista della costituzione e
della regolamentazione del quale il contratto fu stipulato - ma piuttosto sta
adottando un comportamento che [......] è solo prodromico all'esercizio del
sacro ed inviolabile diritto di difesa".
La superiore eccezione, ad avviso di questo Collegio, non coglie nel segno.
Deve evidenziarsi, innanzitutto, che secondo quanto si desume dal tenore delle
difese dell'Adiconsum nonché sulla scorta di ciò che si evince dalla
documentazione versata in atti (v. in particolare, note del BDS in data
11.1.2005 ed in data 20.5.2005 prodotte da parte attrice) - e secondo quanto,
peraltro, può ritenersi incontroverso (v. memoria del Banco di Sicilia dep. il
26.9.2005) - la questione relativa alla capitalizzazione trimestrale, ante
delibera citata, attiene sia a rapporti di conto corrente già cessati sia a rapporti
di conto corrente a tutt'oggi vigenti ed operanti.
Con riferimento a tali rapporti è innegabile che la sola modifica della clausola
afferente la capitalizzazione periodica degli interessi a decorrere dall'1.7.2000
non ha determinato la cessazione del rapporto contrattuale e la creazione di un
nuovo contratto, con la conseguenza che, in ipotesi di rapporti stipulati prima
dell'entrata in vigore della citata delibera, non cessati alla data odierna, ci si
trova in presenza di clausole ancora capaci di dispiegare effetti, inerenti
rapporti di durata non esauriti.
Relativamente a detti contratti non può, invero, dubitarsi che laddove la banca
convenuta provveda a calcolare il saldo, mantenendo fermo il computo di
interessi a debito frutto della capitalizzazione trimestrale (sino a tutto il
30.6.2000) continua, di fatto, ad 'applicare' nel rapporto con il consumatore
detta clausola ritenendola legittima, non rispondendo al vero l'affermazione
della convenuta secondo cui la stessa non sarebbe utilizzata "in alcun modo ed
in alcun senso".
Non può, invero, non convenirsi con quanti hanno sostenuto che è irrilevante,
ai fini della verifica della vessatorietà e della applicazione dei rimedi di cui
alla citate disposizioni normative, la circostanza che il professionista abbia
modificato lo schema regolamentare uniforme allorquando si verifica, in
concreto, "la permanenza degli effetti degli schemi adottati in precedenza".
Secondo quanto si desume chiaramente dal tenore della normativa sopra
richiamata le censure all'operato del professionista non riguardano unicamente
il momento genetico della inserzione della clausola [dovendosi ritenere che
l'inserimento della clausola, vessatoria è solamente, come detto, uno dei
possibili comportamenti pregiudizievoli per i diritti dei consumatori], ma
anche l'effettivo 'utilizzo' delle condizioni, prescindendosi, quindi, dalle
modificazioni sopravvenute.
Nel caso di specie e indubitabile che il Banco di Sicilia, nel negare il ricalcolo
del saldo del conto corrente espungendo la capitalizzazione trimestrale,
continua ad avvalersi della detta clausola, sicché "un segmento del rapporto in
essere fra le parti" è assoggettato in concreto a tale previsione negoziale in
quanto la banca, di fatto, effettua ancora - sia pure limitatamente ad una parte
del rapporto - una unilaterale capitalizzazione degli interessi.
Non può, quindi, ragionevolmente affermarsi, come sostenuto dalla banca
convenuta, che "anche i rapporti contrattuali in itinere ed adeguati al nuovo
regime di reciprocità devono ritenersi, per quel che attiene alla vigenza della
vecchia clausola di capitalizzazione trimestrale, esauriti".
Posto che sono rimasti invariati tutti gli altri elementi del contratto di conto
corrente, il rapporto originario non è stato 'chiuso', sussiste un unico 'saldo
contabile' [che scaturisce dal raffronto di 'tutte' le partite di 'dare' ed 'avere'
maturate durante la 'integrale' vigenza dell'intero rapporto], appare illogico
parlare di un rapporto contrattuale che possa ritenersi "esaurito" [sia pure in
parte].
In relazione a detti rapporti deve, pertanto, ritenersi pienamente legittima la
richiesta dell'Adiconsum finalizzata alla verifica della vessatorietà della
clausola suddetta e, quindi dell'antigiuridicità della condotta della banca che
continua a tenerne conto nel computo del saldo, trattandosi, quindi, di clausola
che continua a dispiegare la propria piena efficacia operativa.
Rimane, pertanto, irrilevante la circostanza che la suddetta clausola non è più
inserita nei "nuovi" moduli contrattuali distribuiti dalla banca convenuta alla
clientela dei consumatori.
Osserva, peraltro, il Tribunale che anche con riferimento ai rapporti di conto
corrente, stipulati prima dell'entrata in vigore della delibera e, ad oggi, estinti,
posto che è incontroverso che la banca convenuta paralizza ogni richiesta
(restitutoria o, comunque, di ricalcolo del saldo al fine di procedere al
pagamento della somma effettivamente dovuta) del consumatore muovendo
dal [solo] presupposto della piena validità ed efficacia della clausola de qua,
appaiono ammissibili le domande oggi proposte.
Pur dovendosi ritenere che il diritto al risarcimento rimane un diritto
individuale, imputabile a ciascuno dei consumatori danneggiati dalla condotta
plurioffensiva dichiarata contra legem [secondo quanto appresso chiarito] la
previsione di cui alla richiamata norma circa il diritto dei consumatori alla
garanzia della "correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali
concernenti beni e servizi", diritto tutelabile ad opera della associazioni dei
consumatori che possono chiedere, ai sensi del citato art. 3, l'inibizione di
"comportamenti lesivi' degli interessi dei consumatori" nonché "l'adozione di
misure idonee a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate",
induce a ritenere che possa certamente procedersi in questa sede alla
valutazione della liceità del comportamento sopra fermato posto in essere
dalla banca convenuta.
Diversamente opinando si finirebbe, ad avviso di questo Tribunale, per
vanificare la portata della suindicata legge nonché le finalità della stessa. Una
simile conclusione - e, quindi, l'esigenza di una lettura delle disposizioni de
quibus in una ottica di ampia tutela dei diritti dei consumatori, con esclusione
di ogni interpretazione restrittiva - appare del resto suffragata dall'esigenza di
applicare la richiamata normativa in armonia con la ratio ispiratrice della
direttiva di riferimento 98/27/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei
consumatori).
Quest'ultima, muovendo dal presupposto che i meccanismi esistenti sia a
livello nazionale che a livello comunitario "non sempre consentono di porre
termine tempestivamente alle violazioni che ledono gli interessi collettivi dei
consumatori" e nella prospettiva di una ampia e piena tutela dei diritti di
questi ultimi oggetto delle direttive ivi espressamente richiamate, ha stabilito
che gli Stati membri adottino sistemi al fine di "ordinare con debita
sollecitudine.....la cessazione o l'interdizione di qualsiasi violazione",
quest'ultima intesa come "qualsiasi atto contrario alle disposizioni delle
direttive riportate in allegato".
Prima di passare all'esame delle problematiche afferenti la natura (vessatoria o
meno) della suddetta clausola - come detto ancora oggi applicata dalla banca -
nonché la [dedotta] antigiuridicità della condotta della banca convenuta nei
confronti dei propri clienti-consumatori, occorre soffermarsi sugli ulteriori
profili di 'inammissibilità' rilevati dal Banco di Sicilia.
Assume la società convenuta che sarebbe "del tutto inconcepibile......un
accertamento giudiziale con portata generale ed astratta della legittimità di una
condotta che, per essere iscritta dentro la concreta dimensione del fatto, può
essere oggetto unicamente di una valutazione puntuale. Solo al legislatore è
consentito di immaginare stregue astratte di comportamento di cui predicare la
liceità/illiceità erga omnes; il giudice, di contro, essendo indissolubilmente
vincolato all'accertamento del singolo, specifico fatto storico, non è facultato
ad universalizzare il giudizio liceità/illiceità formulato con riguardo a
quest'ultimo", precisando, altresì, come "il rifiuto della banca di rimborsare
spontaneamente le somme percette sulla base della clausola c.d. anatocistica,
costituendo prima facie un atto prodromico all'esercizio del diritto di
difesa...potrà essere colpito da una valutazione di segno opposto solo se e
quando il giudice del caso concreto dovesse constatare l'avvenuto
perfezionamento del diritto alla ripetizione".
La convenuta ha, altresì, sottolineato come la normativa sopra richiamata non
consentirebbe in ogni caso né l'adozione di pronunzie di mero accertamento
né la possibilità di emettere statuizioni di condanna ad un comportamento
positivo atteso che "come è noto la tutela inibitoria pone capo ad un non
facere".
Anche tali obiezioni, secondo questo Tribunale, non appaiono condivisibili.
Occorre sottolineare, invero, come la tutela inibitoria collettiva, per sua
natura, laddove mira ad assicurare, come detto, in generale "correttezza,
equità e trasparenza nei rapporti commerciali inerenti beni e servizi privati"
implica una valutazione necessariamente riguardante i rapporti e, quindi, i
diritti di una molteplicità di soggetti e ciò a prescindere da tutti i possibili
specifici profili inerenti il singolo rapporto negoziale.
In quest'ottica appare fuorviante il richiamo operato dalla convenuta al "sacro
ed inviolabile diritto di difesa" (art. 24 Cost.), atteso che ogni valutazione in
ordine alla sussistenza di atti e comportamenti della banca convenuta lesivi
dei diritti dei consumatori da effettuare nel presente giudizio instaurato ai
sensi del richiamato art. 3, non preclude certamente alla banca di opporre, in
futuro, ai clienti o ex clienti tutte le eccezioni inerenti i singoli rapporti di
conto corrente al fine di paralizzare le relative istanze, secondo quanto
appresso chiarito.
In ordine alla tipologia dei rimedi richiesti è evidente che le misure idonee a
correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni sono 'atipiche ed
innominate' e nessun criterio certo è fornito dalla legge per la sicura
individuazione del loro contenuto, garantendosi la possibilità al giudice di
adottare una pronunzia avente il contenuto che più si attagli alla specifica
situazione dedotta in giudizio (analoghe considerazioni vanno del resto
formulate con riferimento al richiamato art. 140 del Codice del Consumo, che
ha abrogato la richiamata legge, riproponendone i medesimi principi e la
medesima terminologia).
Sulla scorta delle considerazioni sopra formulate, al fine di non vanificare la
portata della normativa sopra richiamata e stante la prevista possibilità di
adottare tutte "le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti delle
violazioni accertate", ben può ammettersi la adottabilità di pronunzie
dichiarative e di mero accertamento, dovendosi convenire con quanti hanno
sostenuto che le misure idonee "sono tutte quelle misure in grado di garantire
il rispetto dei diritti fondamentali dei consumatori ed in grado di realizzare
appieno il comando inibitorio, sia esso di contenuto negativo o positivo, a
seconda delle esigenze concrete di tutela".
La ratio della legge n. 281 cit. è, del resto, quella di costituire un "passo
avanti" nella disciplina dei consumatori e degli utenti.
La stessa mira ad aggiungere forme di tutela, ad ampliare la c.d. consumer
protection, per cui sarebbe interpretazione contraria alla detta finalità quella
che mira a limitare fortemente i possibili contenuti della inibitoria e non
ammette pronunzie dichiarative.
In questa prospettiva non può, pervero, non ammettersi la possibilità di
adottare misure implicanti l'obbligo di eliminare gli effetti della condotta
lesiva e, quindi, anche una prestazione di fare.
Sebbene il concetto stesso di inibitoria richiama un ordine di non fare, vale a
dire una condotta a contenuto negativo, è innegabile che ogni qualvolta la
violazione dei diritti dei consumatori si sostanzi in un comportamento
emissivo l'unica possibile forma di inibitoria è proprio quella consistente nella
imposizione di un facere e del resto "da un punto di vista teorico anche
l'inibitoria positiva potrebbe sempre essere rovesciata in una inibitoria
negativa. Il che è quanto dire che il giudice invece di ordinare un determinato
comportamento atto a fare cessare l'illecito potrebbe ordinare la cessazione
dell'illecito tout court. In altri termini, sempre in linea puramente teorica, si
potrebbe affermare che tutte le inibitorie positive potrebbero risolversi in
altrettante inibitorie negative".
A questo punto occorre esaminare la questione relativa al carattere vessatorio
e meno della clausola "applicata" dal Banco di Sicilia in forza la quale è
stabilito che "i rapporti di dare ed avere vengono regolati, in via normale,
annualmente al 31 dicembre portando in conto gli interessi.....I conti che
risultano anche saltuariamente debitori vengono regolati, in via normale,
trimestralmente e cioè a fine marzo, giugno e dicembre di ogni anno,
applicando agli interessi ed alle competenze di chiusura valuta data di
regolamento del conto".
In ordine al meccanismo della capitalizzazione trimestrale di detti interessi a
debito (o anatocismo, cioè quell'operazione di "conversione degli interessi in
debito di capitale allo scopo di provocare la decorrenza di nuovi interessi sulla
somma per tale titolo dovuta" - così in dottrina -), applicata pacificamente
dalla banca convenuta sui contratti di conto corrente [stipulati prima
dell'entrata in vigore della delibera citata], va precisato che la Corte di
Cassazione con la pronunzia 16 Marzo 1999, n. 2734, con improvviso
revirement, ha escluso la esistenza di un uso normativo in deroga al divieto,
affermando che "la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale
degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata, su un uso negoziale, ma
non su una vera e propria norma consuetudinaria, è nulla in quanto anteriore
alla scadenza degli interessi".
Alcuni mesi dopo l'avvento di detta giurisprudenza fortemente innovativa, è
intervenuta una modifica legislativa, vale a dire l'art. 25 3° co. D.L. n. 342/99
(di modifica dell'art. 120 TU Bancario, che ha stabilito che le clausole
anatocistiche, previste nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata
in vigore della delibera del CICR di cui al II comma dell'art. 120, sono valide
ed efficaci fino a tale data), disposizione che è stata espunta dall'ordinamento
in forza della sentenza n° 425/2000 della Corte Costituzionale.
Il Giudice delle leggi ha dichiarato l'art. 25 III comma illegittimo "nella parte
in cui stabilisce che le clausole riguardanti la produzione di interessi su
interessi maturati, contenuti nei contratti stipulati anteriormente alla delibera
del CICR, relativa alle modalità e criteri per la produzione di interessi sugli
interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività
bancaria, siano valide ed efficaci fino a tale data e che, dopo di essa, debbono
essere adeguate - a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente - al
disposto della menzionata delibera, con le modalità ed i tempi ivi previsti".
Sul punto va precisato che lo stesso intervento del legislatore, finalizzato a
'regolarizzare' i suindicati rapporti quanto al meccanismo della
capitalizzazione, ha avuto come dato di partenza la chiara consapevolezza
invalidità di detta clausola ante delibera CICR.
Invero l'art. 120 TU Bancario, come modificato dall'art. 25 D.L.gvo 342/99,
ha attribuito al CICR il potere di stabilire le modalità ed i criteri per la
produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere
nell'esercizio dell'attività bancaria.
Con l'emanazione della relativa deliberazione (in data 9.2.00, pubblicata nella
G.U. 22 febbraio 2000), deve oggi ritenersi certa la legittimità della
capitalizzazione degli interessi pattuita mediante apposite clausole contenute
nei contratti bancari.
Quindi, la disciplina introdotta dal CICR vale per: - i contratti bancari stipulati
dopo la data di entrata in vigore della delibera del CICR 9/2/00; - contratti
stipulati prima dell'entrata in vigore della delibera, ma con l'adeguamento con
effetto dal 1° luglio 2000: l'art. 7 della delibera CICR stabilisce che le
condizioni pattuite devono essere adeguate alle disposizioni contenute nella
delibera, come detto, entro il 30/6/00.
E' rimasto, quindi, il problema della sorte dei contratti stipulati prima della
delibera CICR e per il periodo fino al 30 giugno 2000, problema questo che
riguarda i contratti di conto corrente stipulati dai consumatori in relazione ai
quali l'Adiconsum ha promosso l'odierno contenzioso.
Sulla capitalizzazione degli interessi a debito, in precedenza, l'orientamento
consolidato della Suprema Corte, fin dalla sentenza 6631/81, era nel senso che
"....nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, in tutte le
operazioni di dare ed avere, l'anatocismo trova generale applicazione in
quanto sia le banche e sia i clienti chiedono e riconoscono come legittima la
pretesa degli interessi da conteggiarsi alla scadenza non solo sull'originario
importo versato ma anche sugli interessi da questo prodotti e ciò a prescindere
dai requisiti richiesti dall'art. 1283 c.c".
Fino al 1999, in definitiva, il quadro normativo di riferimento era
rappresentato dall'art. 1283 c.c.; tale norma, di carattere imperativo e di natura
eccezionale, consente l'anatocismo solo in presenza di determinate condizioni:
- deve trattarsi di interessi scaduti da almeno sei mesi, - occorre la
proposizione di una domanda giudiziale o la stipulazione di una convenzione
successiva alla scadenza degli interessi.
Indi, la Cassazione dal '99 (v. sentenza sopra citata), con impostazione che ha
continuato a muoversi esclusivamente nel solco della disposto di cui all'art.
1283 c.c., si è soffermata sulla natura della prassi in virtù della quale nei
contratti di conto corrente bancario era inserita la clausola della
capitalizzazione trimestrale, sostenendo che tale prassi, tale 'consuetudine',
non è connotata dai caratteri idonei a far configurare un uso normativo - come
aveva detto la precedente giurisprudenza - rimanendo essa confinata nei più
ristretti limiti dell'uso negoziale, non suscettibile di assumere rilievo nell'ottica
del citato art. 1283.
Ancora, ha precisato che l'esistenza di una vera e propria consuetudine
legittimante la prassi della capitalizzazione trimestrale non è mai stata
accertata dalla commissione speciale permanente presso il ministero
dell'industria, ai sensi del d.leg.c.p.s, n. 152 del 1947, e che gli accertamenti -
da parte di alcune camere di commercio provinciali - di usi locali conformi
alle norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI sono tutti successivi al
1952, sicché, avendo preso effetto le n.b.u. proprio dal 1.1.1952, deve
escludersi che queste attestino l'esistenza di usi locali preesistenti, e deve,
piuttosto, presumersi che l'accertamento dell'uso locale sia null'altro che il
rilievo di prassi negoziali conformi alle condizioni generali predisposte
dall'ABI: prassi cui non può riconoscersi efficacia di fonte di diritto obiettivo
se non altro per l'evidente difetto dell'elemento soggettivo dell'opinio iuris ac
necessitatis, giacché dalla comune esperienza emerge che l'inserimento delle
clausole di capitalizzazione trimestrale è acconsentito da parte dei clienti non
in quanto tali clausole siano ritenute conformi a norme già esistenti, ma solo
in quanto sono comprese nei moduli predisposti dalle banche e non suscettibili
di negoziazione individuale. Inoltre, ha ritenuto che l'art. 1283 c.c. avrebbe
carattere imperativo, e che le norme che dettano una disciplina diversa - si
tratta delle norme in materia di conto corrente ordinario che consentono
l'anatocismo senza i limiti del 1283 c.c. - non possono applicarsi al conto
corrente bancario, stante la specialità della disciplina che lo caratterizza.
Tale nuovo arresto del Supremo Collegio è stato, poi, costantemente,
chiaramente ed univocamente confermato, dalle successive sentenze nn.
12507/1999, 6263/2001, 1281/2002, 4490/2002, 4498/2002, 8442/2002,
17338/2002, 2593/2003, 12222/2003, 13739/2003, fino alla recente
Cassazione SS.UU. Civili 7 ottobre - 4 novembre 2004 n° 21095.
Quest'ultima pronuncia, in particolare, si è soffermata sulla "insuperabile
valenza retroattiva dell'accertamento di nullità delle clausole anatocistiche", di
cui si è mostrato subito ben consapevole anche il legislatore il quale ha
dettato, nel comma 3 dell'art. 25 del già citato d.lgs. 342/1999, una norma ad
hoc, volta appunto ad assicurare validità ed efficacia alle clausole di
capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati
anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della
materia, di cui ai precedenti commi primo e secondo del medesimo art. 25.
Norma, come detto, poi espunta dall'ordinamento, perché dichiarata
incostituzionale, nella parte relativa alla cd. "sanatoria del pregresso", (ma)
che ha confermato la necessità della capitalizzazione paritetica degli interessi
tra cliente e Istituto di credito, introducendo (cfr. nuovo testo dell'art. 120 T.U.
bancario) il criterio generale secondo il quale nelle operazioni in conto
corrente deve essere assicurata nei confronti della clientela la stessa
periodicità nel conteggio dagli interessi sia debitori sia creditori, con
l'eliminazione di quella dissimmetria nella produzione degli interessi
anatocistici, la cui ingiustizia ha palesemente ispirato il più recente indirizzo
della Cassazione.
Con la pronunzia a Sezioni Unite citata, la Suprema Corte ha ricordato che
"dalla comune esperienza emerge che i clienti si sono nel tempo adeguati
all'inserimento della clausola anatocistica non in quanto ritenuta conforme a
norme di diritto oggettivo già esistenti o che sarebbe auspicabile fossero
esistenti nell'ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti
dagli istituti di credito, in conformità con le direttive dell'associazione di
categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione
costituiva al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi
bancari. Atteggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea adesione
a un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l'opinio juris ac
necessitatis, se non altro per l'evidente disparità di trattamento che la clausola
stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente".
Pertanto, esclusa l'esistenza di un uso normativo bancario, la clausola di
anatocismo trimestrale previsto dalle condizioni di apertura di credito in conto
corrente di che trattasi si manifesta in aperto contrasto con le prescrizioni
imperative dell'art. 1283 c.c.
Orbene la valutazione della vessatorietà della detta clausola nonché della
antigiuridicità della condotta del Banco di Sicilia in ordine alla applicazione
della medesima non può prescindere dal superiore quadro.
Tutti gli interventi normativi e le recenti pronunzie giurisprudenziali del
Supremo Collegio (sotto questo profilo non bisogna trascurare la funzione
nomofilattica della Cassazione, specie in relazione alle pronunzie a Sezioni
Unite) degli ultimi sette/otto anni muovono da un dato certo: la illiceità di una
capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito operata in via unilaterale
dalla banca in senso a sé favorevole.
Non può, del resto, negarsi che trattasi di clausola, espressione del prepotere
contrattuale delle banche, la quale determina un forte squilibrio a danno del
contraente debole, quale è tipicamente il cliente privato della banca costretto
ad aderire, in difetto di reali alternative, alle condizioni economiche
unilateralmente predisposte ed applicate da tutti gli istituti del credito. Come è
stato osservato la capitalizzazione trimestrale, applicata dalla banca a senso
unico, fa si che il finanziamento sia gravato, in aggiunta al dichiarato
corrispettivo del servizio (e cioè gli interessi al tasso convenzionalmente
pattuito), di un ulteriore costo a fronte del quale non si prevede alcuna
contropartita, costo che, come si evince dal tenore della citata clausola grava
sul cliente-consumatore anche in ipotesi di saldi solo "saltuariamente" debitori
(previsione quest'ultima certamente assai pregiudizievole ed insidiosa per il
cliente).
Mentre rientra nella fisiologia del rapporto contrattuale di conto corrente
bancario la discrepanza fra tassi attivi e passivi sicché certamente ciò non
implicata alcun profilo di vessatorietà, diversa cosa e la imposizione da parte
della banca di un meccanismo contrattuale con cui si autoattribuisce
(indiscriminatamente nei rapporti con tutti i clienti) una posizione di certo
vantaggio che non trova corrispondenza, in quanto tale, in alcuna specifica
controprestazione.
Lo 'sbilanciamento' che per tale via viene a concretizzarsi lungi dal
contemperare gli interessi della parti, rappresenta una chiara esplicazione del
potere 'normativo' del soggetto 'forte' il quale viene ad imporre alla
controparte, in modo tutt'altro che chiaro un costo aggiuntivo al servizio reso.
La vessatorietà della detta clausola, quanto allo squilibrio, appare del resto
confermata dalla stessa previsione contenuta nell'art. 120 del T.U. Bancario e
dalla successiva delibera CICR sopra citata la quale ha ammesso la
capitalizzazione trimestrale solamente a condizione di reciprocità.
Va, pertanto, dichiarata la vessatorietà della clausola - a tutt'oggi operante nei
rapporti in itinere, intercorrenti con l'istituto convenuto, sorti anteriormente
alla citata delibera - con la quale la banca convenuta applica ai clienticonsumatori,
nei rapporti di conto corrente bancario, la capitalizzazione
trimestrale degli interessi a debito, e ciò sino al 30.6.2000.
Sulla scorta delle precedenti considerazioni non può, poi, sottacersi che
l'operato della banca la quale, in relazione a tale rinnovato quadro normativo e
giurisprudenziale e del 'carattere certamente vessatorio di detta clausola, a
seguito di apposita istanza scritta del cliente (o ex cliente) - consumatore si
rifiuti costantemente di ricalcolare il saldo del conto ancora operante ovvero,
con riferimento a contratti esauritisi, di restituire le somme incassate in forza
della illegittima capitalizzazione degli interessi a debito, ponendo in essere
tale comportamento solo ed esclusivamente nel presupposto della piena
validità ed efficacia della detta clausola, costituisce una condotta antigiuridica
lesiva dei diritti dei consumatori.
Va chiarito in questa sede, al fine di sgombrare il campo dalle contestazioni
formulate sul punto dal Banco di Sicilia, che con la odierna pronunzia non si
vuole né si potrebbe escludere il diritto della banca di paralizzare simili
istanze sulla base di "eccezioni" afferenti le singole posizioni ed i singoli
rapporti (quali, ad esempio, eccezioni di: prescrizione, giudicato,
compensazione, carenza di legittimazione attiva e/o passiva, inammissibilità ai
sensi dell'art. 90 del Decreto Legislativo 385/93 [c.d. Testo Unico delle norme
in materia bancaria e creditizia]) ma si mira a valutare, criticamente, la
condotta della banca che respinge dette richieste muovendo solamente dalla
affermazione della liceità del proprio operato in ordine alla applicazione della
suddetta clausola, ritenuta pienamente valida.
E' sufficiente, al tal proposto, richiamare il contenuto della nota del Banco di
Sicilia in data 20.5.2005 in atti avente ad oggetto "reclami in tema di
anatocismo: ricalcolo interessi sul conto corrente n°...." ove, nel disattendere
la richiesta del cliente, viene evidenziato che "la capitalizzazione trimestrale
degli interessi debitori.... prima del 22.4.2000 è da ritenersi legittima in quanto
consolidata da unanime giurisprudenza a riguardo".
Dalla detta nota, nonché da quella pressoché identica in data 11.1.2005,
emerge, quindi, chiaramente che il Banco di Sicilia continua paralizzare le
istanze dei clienti-consumatori inerenti l'applicazione dell'anatocismo sempre
e comunque, ed anche in assenza di specifiche eccezioni opponibili al
correntista.
Conseguentemente, stante l'accertata illiceità della condotta, va fatto divieto al
Banco di Sicilia di respingere le istanze avanzate da titolari di rapporto di
conto corrente (consumatori) finalizzate al ricalcolo della esposizione
debitoria previa depurazione della capitalizzazione trimestrale al 30.6.2000
ovvero quelle dirette alla ripetizione di somme corrisposte in eccedenza in
virtù della applicata capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito sino a
detta data, esclusivamente in ragione della piena validità ed efficacia della
menzionata clausola e qualora non abbia alcuna [diversa] "eccezione",
inerente il singolo rapporto di conto corrente bancario, opponibile al clienteconsumatore.
Va, quindi, osservato che la suindicata normativa, mantenendo fermo il diritto
di ciascuno al risarcimento del danno, non appare consentire una forma di
risarcimento del danno collettiva, come confermato dalla circostanza che la
stessa è stata solamente 'ipotizzata' nell'ambito di disegni dei legge di
modifica.
A tal proposito va, in particolare, segnalato il d.d.l. 3058/S/XIV, in forza del
quale stato proposto di aggiungere, dopo il comma 6 dell'art. 3 L. 30 luglio
1998, n. 281, il seguente: "6 bis. Le associazioni dei consumatori e degli
utenti, di cui al comma 1, le associazioni dei professionisti e le camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura possono altresì richiedere al
tribunale del luogo ove ha la residenza o la sede il convenuto la condanna al
risarcimento dei danni e la restituzione di somme dovute direttamente ai
singoli consumatori o utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti
plurioffensivi commessi nell'ambito di rapporti giuridici relativi a contratti
conclusi secondo le modalità previste dall'articolo 1342 del codice civile, ivi
compresi quelli in materia di credito al consumo, rapporti bancari e
assicurativi, strumenti finanziari, servizi di investimento e gestione collettiva
del risparmio, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori o di
utenti. La legittimazione di cui al periodo precedente è esclusa nei settori in
cui siano previste procedure di conciliazione o arbitrali per la risoluzione delle
medesime controversie innanzi ad autorità amministrative indipendenti".
Conseguentemente deve essere respinta la domanda attorea diretta alla
Condanna della banca convenuta alla restituzione ai singoli clienti
consumatori delle somme indebitamente percepite in virtù della applicazione
della menzionata clausola.
L'Adiconsum ha, poi, affermato la illiceità della condotta della banca,
asseritamente assai lesiva dei diritti dei consumatori, rifiutatasi di consegnare
la documentazione in suo possesso relativa ai conti correnti (e segnatamente
agli estratti conto) antecedenti i dieci anni dalla richiesta.
Osserva il Tribunale che appare privo di pregio l'operato richiamo alle norme
di cui al D.L.vo 30 Giugno 2003, n. 196 (c.d. Codice della Privacy), ove si
evidenzi che, nella fattispecie in esame, trova applicazione la normativa
speciale fissata dall'art. 119 del T.U. n. 385/1993 il quale prevede, al punto
quattro, il diritto del cliente ad ottenere "copia della documentazione inerente
a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni nonché il principio
generale posto dall'art. 2220 c.c., in tema di obbligo della tenuta delle scritture
contabili [per dieci anni] da parte dell'imprenditore, disposizioni correlate al
generale termine di prescrizione decennale ordinaria.
In difetto di alcuna deroga contenuta nella citata normativa sulla privacy e
stante il diritto dell'imprenditore bancario a non conservare la documentazione
contabile ultradecennale nonché l'obbligo dello stesso - previsto dalla
specifica disciplina in materia - di consegnare gli estratti conto relativi
all'ultimo decennio deve escludersi che la condotta della banca convenuta,
lamentata dall'Adiconsum, possa ritenersi illegittima.
Sarebbe del resto contrario a buona fede imporre alla banca - la quale,
peraltro, provvede all'invio periodico degli estratti conto che il cliente è
'tenuto' a conservare - di preservare, in modo integrale e completo, oltre il
decennio tutta la documentazione afferente i singoli rapporti di conto corrente
con i clienti-consumatori atteso che si finirebbe per obbligare la banca a
conservare potenzialmente 'all’infinito' una massa 'indeterminata' di dati,
costringendo la stessa ad una attività dispendiosa quanto inutile anche perché
contraria ai diritti/doveri sanciti dalle dette norme.
Nell'ambito del rapporto contrattuale, ciascuno dei contraenti è tenuto a
salvaguardare l'interesse dell'altro, se ciò non comporti un apprezzabile
sacrificio dell'interesse proprio (vedi Cass. 3775/1994), interesse della banca
che sarebbe certamente pregiudicato dalla imposizione, indiscriminata, di un
obbligo di mantenere dati in proprio possesso senza alcun limite temporale ed,
anzi, oltre un limite fissato ex lege.
Conseguentemente deve escludersi che una simile condotta della banca, vale a
dire il rifiuto della stessa di conservare e consegnare la documentazione
contabile oltre il decennio dalla richiesta, possa essere qualificata come
antigiuridica e vessatoria.
In accoglimento della specifica istanza avanzata dall'Adiconsum ai sensi
dall'art. 1469 sexies comma terzo cod.civ. nonché dall'art. 3 lett. a) l. 30
Luglio 1998 n. 281, al fine di meglio assicurare una tutela dei diritti dei
consumatori pregiudicati dalla applicazione della detta clausola vessatoria da
parte del Banco di Sicilia attraverso una ampia diffusione della odierna
decisione, deve essere disposta la pubblicazione di un breve estratto della
presente sentenza (contenente la indicazione degli estremi della controversia,
dell'organo giudicante, delle parti e del dispositivo) per una sola volta sui
quotidiani "Il Corriere della Sera" ed "Il Giornale di Sicilia" a cura e spese
della banca convenuta.
Tale pubblicazione appare sufficiente a garantire i diritti dei consumatori,
dovendosi, conseguentemente, rigettare la richiesta attorea finalizzata ad
ordinare alla convenuta di inviare ai propri clienti consumatori una missiva
contente indicazioni esplicative in ordine alle vessatorietà della richiamata
clausola ed alla illiceità dei propri comportamenti nonché la assai generica
richiesta diretta ad "adottare ogni altra misura idonea a correggere od
eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate".
Va, infine, disposto, ai sensi dell'art. 3 comma 5 bis l. 30 Luglio 1998 n. 281,
in ipotesi di inadempimento degli obblighi stabiliti nella presente sentenza - e,
segnatamente, nel caso in cui il Banco di Sicilia continuasse a respingere
(espressamente per iscritto ovvero a seguito di inerzia protrattasi oltre il
termine di gg. 60 dalla ricezione della richiesta scritta) le istanze avanzate da
titolari (o ex titolari) di rapporto di conto corrente (consumatori) finalizzate al
ricalcolo della esposizione debitoria previa depurazione della capitalizzazione
trimestrale al 30.6.2000 ovvero quelle dirette alla ripetizione di somme
corrisposte in eccedenza in virtù della applicata capitalizzazione trimestrale
degli interessi a debito sino a detta data, esclusivamente in ragione della piena
validità ed efficacia della menzionata clausola e qualora non abbia alcuna
[diversa] "eccezione", inerente il singolo rapporto di conto corrente bancario,
opponibile al cliente-consumatore, decorsi centoventi giorni dalla
pubblicazione della presente sentenza, il pagamento da parte del Banco di
Sicilia di una somma pari ad € 516,00 per ogni giorno di ritardo, da versare
"all'entrata del bilancio dello Stato".
Tenuto conto dell'esito complessivo della lite e della natura delle questioni
trattate sussistono giusti motivi per compensare per 1/3 le spese di lite, mentre
la restante quota dei 2/3 - liquidata in euro 4.150,61 di cui euro 234,61 per
spese vive ed euro 666,00 per diritti, oltre iva e cpa e rimborso per spese
generali ai sensi della vigente TF - va posta a carico del Banco di Sicilia
prevalentemente soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunziando, disattesa ogni altra domanda ed
eccezione, così provvede:
a) dichiara la vessatorietà della clausola con la quale il Banco di Sicilia
applica, ai rapporti di conto corrente bancario intercorrenti con i clienticonsumatori,
la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, e ciò sino
al 30.6.2000;
b) ordina al Banco di Sicilia di astenersi dal respingere le istanze avanzate da
titolari di rapporto di conto corrente (consumatori) finalizzate al ricalcalo della
esposizione debitoria previa depurazione della capitalizzazione trimestrale al
30.6.2000 ovvero quelle dirette alla ripetizione di somme corrisposte in
eccedenza in virtù della applicata capitalizzazione trimestrale a debito sino a
detta data, esclusivamente in ragione della piena validità ed efficacia della
menzionata clausola e qualora non abbia alcuna [diversa] eccezione, inerente
il singolo rapporto di conto corrente bancario, opponibile al clienteconsumatore;
c) dispone la pubblicazione di un breve estratto della presente
sentenza (contenente la indicazione degli estremi della controversia,
dell'organo giudicante, delle parti e del dispositivo) per una sola volta sui
quotidiani "Il Corriere della Sera" ed "Il Giornale di Sicilia" a cura e spese
della banca convenuta;
d) dispone, ai sensi dell'art. 3 comma 5 bis l. 30 Luglio 1998 n. 281, in ipotesi
di inadempimento degli obblighi stabiliti nella presente sentenza, come
precisati nella parte motiva, decorsi centoventi giorni dalla pubblicazione
della stessa, il pagamento da parte del Banco di Sicilia di una somma pari ad €
516,00 per ogni giorno di ritardo, da versare "all'entrata del bilancio dello
Stato";
e) dichiara compensate per 1/3 le spese di lite e pone la restante quota dei 2/3 -
liquidata in euro 4.150,61 oltre iva e cpa e rimborso per spese generali ai sensi
della vigente TF a carico del Banco di Sicilia.
Così deciso in Palermo nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile
del Tribunale in data 24 Febbraio 2006
Il Giudice-est.
Il Presidente