Archivio selezionato: Sentenze T.A.R.
Autorità: T.A.R. Roma sez. II
Data: 07/01/2017
n. 165
Classificazioni: BANCA (Istituti di credito) - Banca d'Italia
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 906 del 2016, proposto da:
CODACONS-Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, in persona del legale rappresentante pro tempore nonché i Signori Si. Ag., Vi. Ap., Ma. Ar., Ro. As., Gr. Ba., Gi. Ba., St. Ba., Da. Ba., Iv. Ba., An. El. Ba., Fr. Ba., In. Ba., En. Be., Pi. Lu. Be., Ra. Be., Si. Be., St. Be., Gi. Be., So. Be., An. Bi., Do. Bi., El. Bi., Gi. Pa. Bo., Ru. Bo., Er. Bo., Li. Bo., Vi. Bo., Gi. Bo., Ca. Bo., Ro. Bo., Na. Br., Ri. Br., An. Br., Vi. Br., An. Bu., En. Bu., Sa. Ca., Ma. Ca., Gi. Ca., Al. Ca., Ad. Ca., Si. Ca., Fa. Ca. Co., Fa. Ca., Ma. Ca., Vi. Ca., Sa. Ca., Si. Ca., Ro. As. Ca., Gi. Ca., Lu. Ca., Mo. Ca., Da. Ca., Em. Ca., Fr. Ca., Lu. Ca., Pa. Ca., Pi. Ce., An. Ce., Lu. Ce., Fr. Ce., Gi. Ce., Ca. Ch., Wa. Pa. Ch., Sa. Ci., Ma. Ci., Gi. Cl., Ma. Co., Ma. Co., El. Co., Su. Co., Ma. Co., Ma. Co., Al. Co., Pa. Cr., Di. D'A., Eu. D'A., Fa. DE Mi., Ri. DEI Gi., Ro. DEL Zi., An. DI Ci., Ro. DI Lo., Gi. DI Na., Li. DI Pa., Cl. DI Pe., Ge. Di. Do., Da. Do., Cl. Es., Ma. Fa., Li. Fa., Da. Fa., An. Fe., Ga. Fe., Al. Fe., Gi. Fe., At. Fe., El. Fo., Pi. Fr., Va. Fu., Mo. Ga., An. Ma. Ga., Ma. Ge., Ca. Lu. Ge., Or. Gh., An. Gh., Co. Ca. Gh., Ed. Gi., Gi. Gi., Do. Gi., Fa. Gi., Gi. Gi., Pa. Gi., Lu. Gi., Ma. Gi., An. Gr., Lu. Gr., Lu. Gu., Gi. Gu., Pi. Ca. Gu., Ma. Ha., Le. Ia., An. Io., Br. La., Ro. La., Da. Le., Gi. Li., Ma. Li., Al. Lo., En. Lo., Ma. Gi. Lo., Pa. Lu., Gi. Lu., Ig. Lu., Lu. Lu., Gi. Ma., Fi. Ma., Ce. Ma., An. Ma., Lu. Ma., St. Ma., To. Ma., Cr. Ma., Gu. Ma. Ma. Ma., Da. Ma., Ca. Ma., Cl. Ma., Pa. Ma., Pi. Ma., Sa. Ma., Wa. Ma., Ga. Ma., Gi. Ma., Gi. Me., Lo. Me., Ma. Me., Ma. Gi. Me., An. Mi., Br. Mi., Di. Mo., Ad. Mo., Re. Mu., Ga. Mu., St. Mu., Si. Mu., El. No., Lu. No., Lu. Or., Gi. Or., Ta. Pa., Ma. Pa., Ma. Pa., Tu. Pa., En. Pa., Et. Pa., Pa. Pa., Sa. Pa., Gi. Pa., To. Pa., Em. Pa., Ro. Pa., Ro. Pa., Ma. Pa., La. Pa., Ma. Pe., Pa. Pe., Lo. Pe., Em. Pe., Ce. Pi., Pa. Pi., Lu. Pi., Lu. Pi., Mo. Pi., Da. Po., El. Po., Ca. Al. Po., Ch. Pr., An. Pr., An. Pr., Gi. Qu., An. Ra., Lu. Re., Fa. Ri., Sa. Ri., Ma. Ri., Ma. Ro., Do. Ro., Ma. Ro., Ma. Ch. Ro., Al. Ro., Cr. Ro., Ma. Ru., Sa. Gi. Sa., Ti. Sa., Le. Sa., Ma. Sa., Pi. Sa., Ma. Sa., De. Sa., Ma. Sa., Fa. Sa., Er. Sc., El. Sc., Lo. Sc., Fr. Se., Mo. Si., Gi. So., Ve. Sp., Vi. Sp., Ro. St., Si. St., Fa. Sv., Ca. Ta., Cr. Ta., Or. Te., Fr. To., Cl. To., Ma. Cr. To., Ma. To., Ma. To., Ma. Lu. Tr., Ni. Tu., Al. Va., Ca. Ve., Ma. Vi., Lu. Vi., An. Za., Mi. Za., Pi. Za. e Ma. Zu., tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Carlo Rienzi, Gino Giuliano, Stefano D'Ercole, Marco Ramadori, Bruno Barbieri, Laura Binarelli e Giorgia Villani, con domicilio eletto presso lo Studio dell'avv. Carlo Rienzi in Roma, Viale delle Milizie, n. 9;
contro
BANCA D'ITALIA, in persona del governatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Sciotto, Donato Messineo, Marco Di Pietropaolo e Marco Mancini dell'Avvocatura dell'Istituto, presso la cui sede è elettivamente domiciliata in Roma, Via Nazionale, n. 91;
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI e MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO e MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, non costituiti in giudizio; CONSOB-Commissione nazionale per le società e la borsa, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Salvatore Providenti, Giuliana Manto, Raffaella Sette e Anna Elisabetta Musy dell'Avvocatura dell'Istituto, presso la cui sede è elettivamente domiciliata in Roma, Via. G.B. Martini, n. 3;
nei confronti di
NUOVA BANCA DELL'ETRURIA E DEL LAZIO S.p.a., NUOVA BANCA MARCHE S.p.a., NUOVA CASSA DI RISPARMIO DI FERRARA S.p.a. e NUOVA CASSA DI RISPARMIO DELLA PROVINCIA DI CHIETI S.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avv.ti Luca Raffaello Perfetti, Giuseppe Rumi, Silvia Romanelli e Massimo Merola ed elettivamente domiciliate presso lo Studio Bonelli Erede in Roma, Via Salaria, n. 259;
BANCA POPOLARE DELL'ETRURIA E DEL LAZIO Società cooperativa in amministrazione straordinaria, BANCA DELLE MARCHE S.p.a. in amministrazione straordinaria, CASSA DI RISPARMIO DI FERRARA S.p.a. in amministrazione straordinaria e CASSA DI RISPARMIO DELLA PROVINCIA DI CHIETI S.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona dei rispettivi commissari liquidatori pro tempore, non costituite in giudizio;
per l'annullamento
1) dei provvedimenti adottati in attuazione del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180 nonché del d.lgs. 16 novembre 2015 n. 181 ed in particolare:
- dei provvedimenti della Banca d'Italia del 21 novembre 2015 prot. n. 1241015/15 (delibera 554/2015), prot. n. 1241013/15 (delibera 553/2015), prot. n. 1241012/15 (delibera 555/2015), prot. n. 1241014/15 (delibera 556/2015), che hanno disposto l'avvio della risoluzione nei confronti rispettivamente della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Società Cooperativa in amministrazione straordinaria, della Banca delle Marche S.p.a. in amministrazione straordinaria, della Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a. in amministrazione straordinaria e della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.a. in amministrazione straordinaria;
- dei decreti del Ministro dell'economia e delle finanze del 22 novembre 2015 di approvazione dei predetti provvedimenti di avvio della risoluzione; - del provvedimento della Banca d'Italia del 22 novembre 2015 con cui sono state disposte le cessioni delle aziende facenti capo alle predette banche agli enti-ponte con tutti i diritti, le attività e le passività;
- del provvedimento della Banca d'Italia del 22 novembre 2015 che hanno determinato la decorrenza giuridica della risoluzione delle predette banche;
- del provvedimento della Banca d'Italia del 22 novembre 2015 con i quali sono stati nominati gli organi delle procedure di risoluzione delle predette banche;
- del provvedimento della Banca d'Italia del 22 novembre 2015 di svalutazione di azioni e subordinati che dispone la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni nonché del valore nominale degli elementi di classe 2 computabili nei fondi propri delle predette banche, con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali, emessi da Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti;
- dei provvedimenti della Banca d'Italia di valutazione della sussistenza dei presupposti per l'ammissione degli istituti creditizi alla procedura di risoluzione;
- degli atti e/o provvedimenti istitutivi degli enti-ponte Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio S.p.a., Nuova Banca delle Marche S.p.a., Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a. e Nuova Cassa di Risparmio di Chieti S.p.a.;
- dell'atto recante "Invito a manifestare interesse in relazione all'operazione di dismissione di Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a., Nuova Banca delle Marche S.p.a., Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio S.p.a., Nuova Cassa di Risparmio di Chieti S.p.a." del 19 gennaio 2016;
- di ogni altro atto preordinato, presupposto, conseguente, connesso o collegato, ancorché di estremi ignoti ivi inclusi gli atti di rifiuto di corrispondere ai ricorrenti il controvalore dei titoli acquistati nonché per la condanna al risarcimento del danno ex art. 30 c.p.a. per l'omesso e/o illegittimo esercizio dell'attività amministrativa, in particolare per l'omessa e/o illegittima attività di controllo e vigilanza esercitata da Banca d'Italia e da CONSOB sui soggetti sottoposti a procedura di risoluzione. Visto il ricorso introduttivo con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione dei soggetti intimati;
Vista la ordinanza istruttoria n. 4805 del 27 aprile 2016 e la documentazione depositata dalla Banca d'Italia in esecuzione della stessa;
Esaminate tutte le memorie prodotte nel corso del giudizio, comprese quelle conclusive e quelle di replica e consultati tutti i documenti inseriti nel fascicolo del processo;
Visti gli atti tutti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2016 il dott. Stefano Toschei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
FATTO e DIRITTO
IL CONTESTO NORMATIVO
1 - Va premesso, in punto di diritto e per cogliere appieno il quadro normativo nel quale si inscrive il contenzioso in esame, che, come è noto e come viene spesso chiarito nella letteratura di settore, la crisi finanziaria venuta in emersione nel 2007, avendo evidenziato la mancanza, nei Paesi più avanzati, di regole che consentissero di affrontare con rapidità ed efficacia la crisi delle banche, ha prodotto un movimento globale dei regolatori che, a partire dal Financial Stability Board e passando per l'Unione europea, ha portato all'emanazione di un complesso di regole in materia di crisi bancarie ispirate a tre principi:
A) pianificazione: devono essere attentamente pianificate le azioni da intraprendere in caso di crisi: 1) dal lato della banca, mediante "piani di risanamento" da far scattare rapidamente in caso di peggioramento della situazione; 2) dal lato dell'autorità chiamata a gestire l'eventuale dissesto, con "piani di risoluzione", cioè programmi da mettere in atto qualora la banca cada o stia per cadere a breve in stato di dissesto, finalizzati a consentire un'ordinata gestione della situazione;
B) intervento precoce: in caso di situazione di crisi, ma non ancora di dissesto, devono essere disponibili strumenti di intervento precoce da parte dell'autorità che vigila sulla stabilità della banca;
C) "risoluzione" (nuovo termine coniato per indicare l'ordinata gestione del dissesto dell'intermediario): in caso di dissesto vero e proprio, devono essere disponibili strumenti che, qualora la liquidazione della banca possa avere un impatto sistemico (cioè avere ripercussioni sull'economia reale), consentano di garantire la continuità delle sue funzioni essenziali senza ricorso, o con un ricorso limitato, a fondi pubblici o ad aiuti esterni.
2. - In quest'ottica, l'Unione europea ha emanato la direttiva 59/2014/UE, detta anche Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD) che è stata recepita in Italia, pervero con alcuni mesi di ritardo sul termine di recepimento del 31 dicembre 2014, mediante l'emanazione di due decreti legislativi gemelli, i decreti legislativi 16 novembre 2015, nn. 180 e 181. Il d.lgs. 181/2015 adegua il Testo unico bancario (d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, da ora in poi, per brevità, TUB) alla suindicata direttiva europea, in estrema sintesi, nel senso che segue:
a) impone a tutte le banche di adottare un piano di risanamento, individuale o di gruppo, che individui le misure che la banca intende adottare al fine di riequilibrare la sua situazione patrimoniale e finanziaria qualora in futuro essa subisse un significativo deterioramento (nuovi artt. 69-ter e ss.);
b) prevede che le varie entità di un gruppo possano stipulare accordi finalizzati al sostegno finanziario nell'eventualità di una crisi, e che possano comunque prestare tale sostegno (nuovi artt. 69-duodecies e ss.);
c) prevede penetranti poteri della Banca d'Italia in caso di peggioramento della situazione della banca (i c.d. poteri di intervento precoce), consistenti nel potere di impartire ai suoi organi l'ordine di attuare le misure del piano di risanamento o di negoziare accordi con i suoi creditori (nuovi artt. 69-noviesdecies e ss.), o nel potere di rimuovere i suoi amministratori, organi di controllo o dirigenti apicali (art. 69-vicies-semel);
d) prevede alcuni adeguamenti alle procedure di amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa delle banche, già previste dal TUB (rispettivamente, artt. 70 e ss. e artt. 80 e ss.).
Il d.lgs. 180/2015 detta invece un complesso di regole del tutto nuove. Esso prevede in primo luogo che la Banca d'Italia studi la situazione di ogni banca, preparando un piano d'azione - definito, come già detto, "piano di risoluzione" - per l'eventualità che essa cada in stato di dissesto (artt. 7 e ss.). Tale piano ha la funzione di consentire alla Banca d'Italia di affrontare la crisi, nel momento in cui dovesse presentarsi, senza essere colta di sorpresa e in modo efficace, in relazione alle peculiarità della singola banca o del singolo gruppo bancario (dimensione, caratteristiche di business, interconnessione con altri intermediari finanziari, ecc.). Il cuore della normativa, tuttavia, è la disciplina della risoluzione vera e propria (artt. 17 e ss.).
Essa prevede che in caso di dissesto di una banca, non superabile in tempi brevi mediante interventi di mercato (aumenti di capitale, dismissioni, ecc.) o azioni di forza (quelle sopra viste, consentite dal TUB), la Banca d'Italia debba, nell'ordine (artt. 20 e ss.):
1) svalutare le azioni e gli strumenti di capitale (obbligazioni subordinate), fino a coprire le perdite, e quindi convertire il residuo delle obbligazioni subordinate in capitale fino a ripristinare il patrimonio di vigilanza necessario perché la banca possa operare;
2) qualora ciò non sia sufficiente, effettuare una scelta fondamentale:
a) aprire la procedura di risoluzione, quando ciò sia necessario ad assicurare la continuità delle funzioni essenziali, a tutelare i depositanti e gli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, a ridurre l'onere a carico delle finanze pubbliche (art. 21);
b) aprire invece la normale procedura di liquidazione coatta amministrativa prevista dal TUB, ogniqualvolta non vi sia pericolo per gli interessi di cui alla precedente lettera a).
La procedura di risoluzione, in sostanza, sottrae la banca in dissesto alla procedura di insolvenza normalmente prevista, e ciò al fine di ridurre il rischio sistemico e i costi per i creditori e per la collettività. Il punto fondamentale, dunque, è capire quali sono gli strumenti che consentono alla risoluzione di operare più efficientemente della liquidazione coatta amministrativa. Si tratta di strumenti, in larga parte nuovi, che permettono di operare sia sull'attivo e sull'azienda, trasferendoli rapidamente a terzi, sia sul passivo, riducendolo al fine di coprire le perdite e ripristinare il patrimonio necessario perché la banca possa operare. Essi sono, principalmente:
1) lo strumento della cessione di tutte le attività e le passività, o parte di esse, a terzi o a un ente-ponte, che li rilevano assicurando la continuità dell'attività bancaria;
2) il bail-in, che appunto incide sul passivo, cancellando le azioni, gli strumenti finanziari e i debiti nella misura necessaria per conseguire gli obiettivi della risoluzione.
Con il bail-in, le perdite della banca sono poste a carico dei suoi azionisti e dei suoi creditori, e non a carico di terzi (tipicamente, altre banche o la fiscalità generale). Se ad esempio la banca, per poter operare, deve avere un patrimonio di +10 e ha invece un deficit (cioè ha un attivo inferiore ai debiti) di -100: - si eliminano gli azionisti; - si riducono di 100 i diritti dei creditori, secondo il loro ordine di soddisfazione (da quelli subordinati a quelli via via più garantiti), riportando il passivo della banca ad un valore uguale al suo attivo; - così azzerato il deficit, si converte un'altra parte delle pretese dei creditori (sempre rispettando la gerarchia), facendoli diventare azionisti nella misura necessaria a ripristinare il patrimonio di 10, che occorre alla banca per operare. Se invece la banca ha solo un patrimonio insufficiente, ma non un deficit, allora gli azionisti vengono diluiti ma non eliminati. Si tratta di un salvataggio interno della banca in crisi, contrapposto a quello fatto con i soldi dei contribuenti (che viene comunemente definito bail-out).
3. - Più specificamente con il recepimento della direttiva dell'Unione europea 59/2014, attraverso il d.lgs. 180/2015 il legislatore nazionale:
1) ha fissato all'art. 17 i due presupposti che debbono coesistere perché si applichi alla banca la soluzione del meccanismo risolutivo ovvero dell'adozione degli altri strumenti di gestione della crisi indicati al successivo art. 20.
Tali presupposti, che vanno considerati congiuntamente, sono: A) che la banca sia in dissesto o a rischio di dissesto secondo quanto previsto dal comma 2 del medesimo art. 17 (vale a dire quando ricorra una o più delle seguenti situazioni: a) risultano irregolarità nell'amministrazione o violazioni di disposizioni legislative, regolamentari o statutarie che regolano l'attività della banca di gravità tale che giustificherebbero la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività; b) risultano perdite patrimoniali di eccezionale gravità, tali da privare la banca dell'intero patrimonio o di un importo significativo del patrimonio; c) le sue attività sono inferiori alle passività; d) essa non è in grado di pagare i propri debiti alla scadenza; e) elementi oggettivi indicano che una o più delle situazioni indicate nelle lettere a), b), c) e d) si realizzeranno nel prossimo futuro; f) è prevista l'erogazione di un sostegno finanziario pubblico straordinario a suo favore, fatto salvo quanto previsto dal successivo articolo 18); B) non si possono ragionevolmente prospettare misure alternative che permettono di superare la situazione di cui alla lettera A) in tempi adeguati, tra cui l'intervento di uno o più soggetti privati o di un sistema di tutela istituzionale, o un'azione di vigilanza, che può includere misure di intervento precoce o l'amministrazione straordinaria ai sensi del TUB.
2) ha introdotto (all'art. 20) alcuni strumenti di intervento nelle banche in stato di dissesto ovvero da disporre alternativamente e nella specie: al comma 1, lett. a) la riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale emessi dalla banca, quando ciò consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto; al comma 2, lett. b) la risoluzione della banca o la liquidazione coatta amministrativa secondo quanto previsto dall'articolo 80 del TUB se la misura indicata al comma 1, lett. a) non consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto. Posto che il compito di accertare la sussistenza dei presupposti per l'intervento è affidato alla Banca d'Italia dall'art. 19 del d.lgs. 180/2015, ai sensi del secondo comma dell'art. 20, la risoluzione è disposta quando la Banca d'Italia abbia accertato la sussistenza dell'interesse pubblico, che ricorre quando la risoluzione è necessaria e proporzionata per conseguire uno o più obiettivi indicati all'articolo 21 e la sottoposizione della banca alla procedura di liquidazione coatta amministrativa non consentirebbe di realizzare tali obiettivi nella stessa misura. L'art. 21, a propria volta, pone quali obiettivi della risoluzione, la continuità delle funzioni essenziali delle banche, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela. Ai sensi del comma 2 del citato articolo 21, nel perseguire gli obiettivi di cui al comma 1, si tiene conto dell'esigenza di minimizzare i costi della risoluzione e di evitare, per quanto possibile, distruzione di valore.
4. - Dall'esame della disciplina fin qui tratteggiata, in modo sintetico, si evidenzia come i presupposti per disporre la procedura della risoluzione sono gli stessi che costituiscono il prodromico antecedente per scegliere la via della liquidazione coatta amministrativa della banca e che la prevalenza per la risoluzione è affidata alla valutazione circa la possibilità di perseguire gli obiettivi di cui all'art. 21, ovverossia la continuità delle funzioni essenziali delle banche, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela. Inoltre, entrambe le procedure devono essere disposte quando la riduzione o la conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale emessi dalla banca non sia sufficiente ad evitare il dissesto o il pericolo di dissesto. Tale disciplina di diritto interno dà piana attuazione alle misure previste dalla direttiva 2014/59, i cui presupposti e scopi fondamentali sono esplicitati nei primi punti dei "considerando": ovvero fornire strumenti per prevenire gli stati di insolvenza o, in caso di insolvenza, per ridurre al minimo le ripercussioni negative preservando le funzioni degli enti creditizi colpiti dalla crisi finanziaria. Rileva, in particolare, il quinto "considerando" della direttiva a mente del quale "occorre pertanto un regime che fornisca alle autorità un insieme credibile di strumenti per un intervento sufficientemente precoce e rapido in un ente in crisi o in dissesto, al fine di garantire la continuità delle funzioni finanziarie ed economiche essenziali dell'ente, riducendo al minimo l'impatto del dissesto sull'economia e sul sistema finanziario. Il regime dovrebbe assicurare che gli azionisti sostengano le perdite per primi e che i creditori le sostengano dopo gli azionisti, purché nessun creditore subisca perdite superiori a quelle che avrebbe subito se l'ente fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza, in conformità del principio secondo cui nessun creditore può essere svantaggiato, come specificato nella presente direttiva. Nuovi poteri dovrebbero consentire alle autorità di mantenere, ad esempio, la continuità dell'accesso ai depositi e delle operazioni di pagamento, di vendere rami sani dell'ente, se del caso, e di ripartire le perdite in modo equo e prevedibile. Questi obiettivi dovrebbero contribuire a evitare la destabilizzazione dei mercati finanziari e a ridurre al minimo i costi per i contribuenti".
Ed è proprio in tale quadro di regolazione europea che sono state poste le norme di diritto interno, sopra in buona parte riprodotte e in particolare l'art. 17 del d.lgs. 180/2015, tenendo conto anche della circostanza che il coevo d.lgs. 181/2016, nel modificare numerose disposizioni del TUB, ha ridisegnato, in modo coordinato con il recepimento della direttiva 59/2014, i presupposti per disporre la liquidazione coatta amministrativa. La scelta tra la risoluzione e la liquidazione coatta amministrativa è affidata, in base a quanto previsto dal secondo comma dell'art. 20 del d.lgs. 180/2015 alla valutazione di interesse pubblico circa la realizzazione degli obiettivi di cui all'art. 21, ovverossia (nuovamente) la continuità delle funzioni della banca, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela. Si deve anche evidenziare che il testo previgente dell'art. 80 del TUB, indicava quali presupposti per la liquidazione coatta amministrativa le irregolarità nell'amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite di eccezionale gravità.
LE PARTI ED IL PERIMETRO DEL CONTENZIOSO
5. - Il Codacons-Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, nonché il Signor Si. Ag. ed altri 248 soggetti privati (per come puntualmente elencati in epigrafe), questi ultimi tutti proprietari di azioni ovvero di obbligazioni (per quanto risulta dalle dichiarazioni e dalla documentazione prodotti con il ricorso) emesse dai quattro istituti di credito fatti oggetto della procedura di risoluzione i cui atti vengono qui impugnati (vale a dire la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, la Banca delle Marche, la Cassa di Risparmio di Ferrara e la Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.a.), sostenendo di essere stati tutti pregiudicati dagli atti e dai provvedimenti che in seguito saranno più puntualmente descritti (e che sono analiticamente riprodotti in epigrafe) e che hanno condotto alla diretta svalutazione dei titoli ovvero alla loro sostanziale privazione di qualsiasi valore economico, hanno proposto ricorso gravando tutti gli atti, anche presupposti ed interni, della sequenza che ora verrà riproposta in narrativa tenendo conto di tutta la documentazione prodotta e degli atti presentati dalle parti in giudizio.
6. - Era accaduto che con provvedimento del 18 novembre 2015 fosse stato istituito dalla Banca d'Italia, ai sensi dell'art. 78 del d.lgs. 180/2015, il Fondo di risoluzione nazionale, avente natura e patrimonio autonomo, allo scopo di consentire alla stessa Banca d'Italia di realizzare gli obiettivi di cui all'art. 21 del d.lgs. 180/2015, avvalendosi di una dotazione finanziaria costituita:
a) dalle risorse fornite dalle banche aventi sedi in Italia, succursali italiane di banche extracomunitarie e Sim indicate nell'art. 60-bis, comma 2, del d.lgs. 58/1998;
b) da prestiti o altre forme di sostegno finanziario;
c) dalle somme versate dall'ente sottoposto a risoluzione o dall'ente ponte.
Con provvedimenti di Banca d'Italia del 21 novembre 2015, prot. n. 1241015/15 (delibera 554/2015), prot. n. 1241013/15 (delibera 553/2015), prot. n. 1241012/15 (delibera 555/2015), prot. n. 1241014/15 (delibera 556/2015), veniva disposto l'avvio della risoluzione nei confronti rispettivamente della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Società Cooperativa in amministrazione straordinaria, della Banca delle Marche S.p.a. in amministrazione straordinaria, della Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a. in amministrazione straordinaria e della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.a. in amministrazione straordinaria, ciò sulla base della valutazione provvisoria effettuata ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. 180/2015 con la quale era stato accertato lo stato di dissesto ai sensi dell'art. 17, comma 2, del d.lgs. 180/2015, era stato verificato che ricorressero i presupposti di cui all'art. 17, comma 1, lett. b), del ridetto d.lgs. 180 (come meglio specificato nell'allegato programma di risoluzione), risultava assodata la sussistenza dell'interesse pubblico, ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.lgs. 180/2015.
Nel programma di risoluzione, allegato al provvedimento di cui sopra, si può leggere che:
- la Banca d'Italia ha adottato le strategie di risoluzione per Banca delle Marche S.p.a., Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, prevedendo la costituzione di quattro enti ponte e di una unica società di gestione delle attività, alle quali è destinata la cessione delle "sofferenze";
- la risoluzione viene finanziata con il ricorso al Fondo di risoluzione nazionale;
- la strategia di risoluzione prevede una doppia operazione di cessione così costruita: a) cessione delle attività dalla banca in risoluzione all'ente ponte; b) successiva cessione dei crediti in sofferenza dall'ente ponte ad una società veicolo che genera un credito dell'ente ponte nei confronti della stessa società veicolo, remunerato ad un tasso di mercato e garantito dal Fondo di risoluzione nazionale. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 22 novembre 2015, nel quale si dava atto della decisione della Commissione europea del 22 novembre 2015 sulla conformità della procedura di risoluzione in avvio alla direttiva 2014/59/UE e sulla compatibilità dell'intervento del Fondo di risoluzione nazionale con il quadro normativo dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato, era approvato il provvedimento della Banca d'Italia n.1241013/15 di avvio di risoluzione della crisi. Inoltre, con provvedimento della Banca d'Italia-Unità di risoluzione e gestione della crisi del 22 novembre 2015 veniva determinata, ai sensi dell'art. 32, comma 2, del d.lgs. 180/2015, la decorrenza degli effetti dell'avvio della risoluzione, stabilendola per le ore 22.00 del giorno 22 novembre 2015. 7.
- Con d.l. 22 novembre 2015, n. 183, entrato in vigore il giorno successivo, sono stati costituiti gli enti ponte, denominati Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio S.p.a., Nuova Banca delle Marche S.p.a., Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a. e Nuova Cassa di Risparmio di Chieti S.p.a., con la finalità di "acquisire, detenere o vendere in tutto o in parte azioni e altre partecipazioni emesse da un ente sottoposto a risoluzione, o attività, diritti e passività di uno o più enti sottoposti a risoluzione per preservarne le funzioni essenziali".
Lo stesso 22 novembre 2015 la Banca d'Italia ha adottato lo statuto dei quattro enti ponte, definendo la strategia di ciascuno di essi e il profilo di rischio nonché procedendo alla nomina degli organi di amministrazione e degli organi di controllo. Parallelamente, sempre il 22 novembre 2015, la Banca d'Italia ha disposto, per ciascuna delle quattro banche in risoluzione, ai sensi dell'art. 27, comma 1, lett. b), del d.lgs. 180/2015, la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare nonché del valore nominale degli elementi di classe 2, computabili nei fondi propri, anche per la parte non computata nel capitale regolamentare. Ancora in data 22 novembre 2015 la Banca d'Italia ha disposto la cessione di tutti i diritti, le attività e le passività costituenti l'azienda bancaria dei quattro istituti di credito che, fino a quel momento, si trovavano in amministrazione straordinaria a favore dei nuovi enti-ponte con efficacia differita alle ore 00.01 del giorno di costituzione di ciascun ente ponte, salva la possibilità per la stessa Banca d'Italia di disporre il ritrasferimento alla banca in risoluzione di quanto trasferito per effetto del provvedimento di cessione. Nello specifico, ai sensi dell'art. 1 del provvedimento di cessione, oggetto di quest'ultima è costituito da "i diritti reali sui beni mobili e immobili, i rapporti contrattuali e i giudizi attivi e passivi, incluse le azioni di responsabilità, risarcitorie e di regresso in essere alla data della cessione ... (nonché) ... gli eventuali diritti risarcitori che dovessero essere azionati dalla banca cedente nei confronti degli ex esponenti aziendali, del soggetto incaricato della revisione legale dei conti e di ogni altro soggetto responsabile dei danni patrimoniali alla stessa arrecati ... (e)... gli eventuali diritti di regresso derivanti dal pagamento da parte della società cedente, quale obbligata in solido, delle sanzioni irrogate dalle competenti autorità di vigilanza nei confronti degli ex esponenti aziendali ... (con esclusione soltanto) ... delle passività, diverse dagli strumenti di capitale, come definiti dall'art. 1, lett. ppp) del n. d.lgs. 180/2015, in essere alla data di efficacia della cessione, non computabili nei fondi propri, il cui diritto al rimborso del capitale è contrattualmente subordinato al soddisfacimento dei diritti di tutti i creditori non subordinati dell'ente in risoluzione". In data 30 dicembre 2015, mediante un comunicato stampa della Banca d'Italia pubblicato sul sito internet dell'istituto, si è dato l'avvio al processo di vendita dei quattro enti ponte e con avviso pubblicato sul sito della Banca d'Italia in data 19 gennaio 2016 è stato formulato un invito a manifestare interesse in relazione alla operazione di dismissione di uno o di più degli enti ponte ovvero di una o più delle Non Core Enties, vale a dire delle partecipazioni societarie detenute dagli enti ponte, con preferenza per le offerte che prestino particolare attenzione agli ambiti territoriali di riferimento e siano relative a tutti e quattro gli enti ponte.
8. - L'appena riproposta sequenza procedimentale che ha caratterizzato l'operazione di risoluzione delle quattro banche più volte citate è stata fatta oggetto di impugnazione in questa sede giurisdizionale. Contemporaneamente i ricorrenti proponevano ricorso ai sensi dell'art. 30 c.p.a. volto a chiedere la condanna al risarcimento dei danni provocati dal comportamento illegittimo di Banca d'Italia e di Consob.
9. - In epoca successiva rispetto a quella di proposizione del ricorso sono stati adottati nuovi provvedimenti, sempre attinenti all'ambito dell'operazione di risoluzione dei quattro istituti di credito e sono stati resi palesi ai ricorrenti tutti i documenti necessari per formulare in modo più puntuale le doglianze anche nei confronti dei provvedimenti già impugnati con il ricorso (come si è più sopra anticipato). È accaduto poi, all'inizio del 2016, che, in data 20 gennaio 2016 veniva costituita la società veicolo Rev-Gestione crediti S.p.a. in favore della quale, con provvedimento del 26 gennaio 2016, la Banca d'Italia disponeva la cessione dei crediti in sofferenza dei quattro istituti di credito. Con ordinanza della Sezione del 27 aprile 2016 n. 4805, sulla premessa che "ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. n. 180 del 16 novembre 2015, la "valutazione" delle attività e delle passività dei soggetti sottoposti a procedura di risoluzione (effettuata su incarico della Banca d'Italia da un esperto indipendente) è configurata quale presupposto per l'avvio della risoluzione o per la riduzione e conversione di azioni ...(e)... che, ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. 180 del 2015, qualora sussistano motivi di urgenza, l'avvio della procedura può essere disposto sulla base di una valutazione "provvisoria", la quale deve essere seguita, non appena possibile, da una valutazione "definitiva" ... (e che).. alla luce delle richiamate disposizioni normative, la valutazione definitiva costituisce un elemento fondamentale dell'intera procedura e non può pertanto rimanere estranea al giudizio eventualmente proposto nei confronti di atti emanati sulla base della sola valutazione provvisoria" e sulla scorta dell'ulteriore elemento che nella specie "l'avvio della risoluzione è stato disposto sulla base di una valutazione provvisoria e che agli atti di causa non è stata ancora acquisita la valutazione definitiva successivamente intervenuta", si ravvisava la necessità che la Banca d'Italia depositasse, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'ordinanza medesima, "l'atto di valutazione definitiva relativo alla procedura oggetto di causa, unitamente ad una relazione integrativa circa lo stato del procedimento successivo alla valutazione definitiva, comprensivo di eventuali sopravvenienze, in particolare anche con riferimento ai profili di cui all'art. 88 del menzionato decreto legislativo" (così, testualmente, nella richiamata ordinanza istruttoria). La Banca d'Italia, in data 28 maggio 2016, in esecuzione della surriprodotta ordinanza, ha depositato la relazione di valutazione della BDO Italia S.p.a., resa ai sensi dell'art. 25, comma 3, del d.lgs. 180/2015, con il bilancio allegato (rappresentando che tale documentazione era pervenuta alla Banca d'Italia, a mezzo pec, il 14 aprile 2016), la relazione sullo stato del procedimento di risoluzione, redatta dall'Unità di risoluzione e gestione delle crisi in data 27 maggio 2016, il bilancio di chiusura delle quattro banche, con la relativa relazione di certificazione di BDO Italia, Deloitte & Touche S.p.a. e KPMG nonché altra documentazione utile ai fini della decisione.
10. - Ricostruiti come sopra i fatti oggetto del presente contenzioso, vanno ora descritte le censure dedotte dai ricorrenti e nella specie:
I) - Eccesso di potere per inesistente e/o carente motivazione, difetto di istruttoria, falsità dei presupposti, travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta, sviamento di potere, in quanto la disciplina recata dal d.lgs. 180/2015, che affida alla Banca d'Italia un amplissimo margine di discrezionalità quanto alla scelta di intraprendere la strada della risoluzione dell'istituto di credito "in crisi", impone alla stessa Banca d'Italia di svolgere una istruttoria molto accurata volta a certificare la reale sussistenza dei presupposti che impongono la via della risoluzione. Nella vicenda de qua, tuttavia, tale istruttoria approfondita non vi è stata. Peraltro appare non comprensibile come le quattro distinte decisioni di avviare altrettante procedure di risoluzione "siano fondate su provvedimenti che appaiono l'uno lo specchio dell'altro" (così, testualmente, a pag. 13 del ricorso) e i relativi programmi di risoluzione non paiono essere stati disposti all'esito di istruttorie che avrebbero dovuto consistere in indagini estremamente approfondite. Ne deriva anche un evidente difetto di motivazione circa le ragioni che hanno indotto la Banca d'Italia a dare avvio alle procedure di risoluzione, solo sulla scorta di valutazioni provvisorie adottate ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. 180/2015 e prima del completamento della fase di avvio della risoluzione, senza individuare soluzioni alternative e con stereotipe affermazioni circa la sussistenza dell'interesse pubblico a perseguire la via della risoluzione. Inoltre si contesta alla Banca d'Italia che essa, sulla base della sola valutazione provvisoria, non solo ha adottato i provvedimenti di avvio delle risoluzioni e svalutato titoli azionari e subordinati, ma ha anche dato inizio alla attuazione delle risoluzioni, in particolare disponendo la cessione delle quattro banche agli enti ponte. Peraltro la mancata pubblicazione integrale dei documenti con i quali si è proceduto ad avviare le risoluzioni rende impossibile la tempestiva tutela dei soggetti pregiudicati dalla scelta operata dalla Banca d'Italia;
II) Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza, arbitrarietà e disparità di trattamento dei provvedimenti impugnati per: a) avere applicato indistintamente il bail in agli investitori che avevano acquistato azioni e obbligazioni prima dell'entrata in vigore del d.l. 183/2015, con violazione e falsa applicazione dell'art. 11 delle preleggi, b) violazione del principio del legittimo affidamento, violazione e falsa applicazione del regolamento europeo sugli abusi di mercato del 16 aprile 2014, c) violazione e falsa applicazione dell'art. 7 e ss. della l. 241/1990, violazione e falsa applicazione dell'art. 137 e ss. del Codice del consumo e per disparità di trattamento, giacché la maggior parte dei soggetti pregiudicati dalla scelta operata dalla Banca d'Italia è costituito da piccoli risparmiatori, si stima in un numero di circa 3.000 che hanno investito i loro risparmi per una consistenza che va dall'1% al 29% dell'intero patrimonio e di circa un migliaio di coloro che hanno investito in obbligazioni subordinate fino al 50% del patrimonio, di talché è mancata la necessaria informazione nei confronti dei risparmiatori. In virtù di quanto sopra appare evidentemente illegittimo applicare disposizioni, quali sono quelle recate dal d.lgs. 180/2015, intervenute in epoca successiva alla sottoscrizione degli strumenti finanziari subordinati, con efficacia retroattiva e senza che si sia considerato il livello di informazione circa le possibili conseguenze che sarebbero potute derivare in capo ai risparmiatori, all'atto della sottoscrizione di azioni e di obbligazioni subordinate, diventandone i proprietari. Sotto tale profilo, la previsione recata dall'art. 32, comma 7, del d.lgs. 180/2015 a mente del quale "ai procedimenti previsti dal presente articolo non si applicano le disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241 in materia di partecipazione al procedimento" si traduce in una aperta violazione dei principi di partecipazione scolpiti nell'art. 9 della l. 241/1990 nonché negli artt. 136 e 137 del c.d. Codice del consumo.
III) Eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 17, 22, 27, 28, 29 e 52 del d.lgs. 180/2015 in riferimento agli artt. 42, secondo comma e 47 Cost. nonché in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., in quanto la scelta di dare corso all'operazione di risoluzione, secondo le previsioni del d.lgs. 180/2015 ed in contrato con numerosi principi costituzionali, consente, mediante l'adozione di un semplice provvedimento amministrativo di ampia portata discrezionale adottato dalla Banca d'Italia, "di sottrarre in via amministrativa ai creditori i loro diritti soggettivi, sostanzialmente espropriandoli a vantaggio di un altro soggetto privato (la banca o l'ente che acquisisce l'azienda bancaria)" (così, testualmente, a pag. 42 del ricorso). Appare quindi evidente il rapporto di contrasto che intercorre tra le disposizioni del d.lgs. 180/2015 e le norme della Carta costituzionale che si pongono a tutela del diritto di proprietà nonché dell'art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, disponendo la compressione dei diritti soggettivi perfetti di azioni e creditori per il raggiungimento di un interesse del tutto privatistico, con effetti ablativi a fronte di un pubblico interesse meramente ipotetico, dal momento che esso si concentra nella previsione di un rischio circa la sussistenza dei presupposti di dissesto della banca e senza la previsione di alcun indennizzo o ristoro a favore di coloro che sono pregiudicati dall'attuazione del meccanismo della risoluzione. Le norme recate dal d.lgs. 180/2015, inoltre, assegnano all'Autorità amministrativa il potere di accertamento e quindi di scelta circa la soluzione preferibile tra la liquidazione coatta amministrativa della banca e la totale o parziale estinzione dei diritti di azionisti o dei creditori della banca e ciò senza tenere conto che il potere di accertare e di tutelare i diritti soggettivi trova la propria dimensione negli artt. 24 e 111 Cost. nonché nell'art. 17 della c.d. Carta di Nizza, ponendosi in aperta incompatibilità con il sistema costituzionale incentrato sul principio della separazione dei poteri che attribuisce al Giudice e non all'Amministrazione il potere di dichiarare estinti diritti soggettivi.
IV) Illegittimità costituzionale dell'art. 35 d.lgs. 180/2015 in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui subordina all'iniziativa dei commissari l'esercizio dell'azione dei creditori sociali e, conseguentemente, istanza di rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE alla Corte di giustizia dell'Unione europea, giacché con l'introduzione dell'art. 35 d.lgs. 180/2015 il legislatore ha introdotto una vera e propria limitazione alle azioni esperibili dai creditori, dal momento che se è vero che all'art. 72, comma 2, TUB è previsto che l'azione sociale di responsabilità contro i membri dei disciolti organi amministrativi e di controllo, il direttore generale ed il soggetto incaricato della revisione legale dei conti spetta ai commissari, il citato art. 35 ha aggiunto alla loro competenza anche l'esercizio dell'azione sociale dei creditori, privando così gli investitori della possibilità di agire contro l'istituto di credito, rispetto a quanto avviene per i "creditori di ogni altra società per azioni, istituto bancario o creditizio che, anche in applicazione di procedure di insolvenza, non v edono mai intaccato il proprio diritto di agire in giudizio avverso i vertici dell'istituto" (così, testualmente, a pag. 50 del ricorso) ed assegnandola al commissario nominato nel corso della procedura di risoluzione. In tal modo la previsione contenuta nella norma in questione viola all'un tempo il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) tra creditori ed il principio di tutela giudiziale (art. 24 Cost.) e si pone a propria volta in contrasto con la direttiva 59/2014 UE che non prevede tali preclusioni, di talché si chiede la sottoposizione della questione alla Corte di giustizia UE;
V) Violazione dei principi di buon andamento e imparzialità della Pubblica amministrazione per l'illegittima commistione dei poteri di controllo e vigilanza in capo alla Banca d'Italia che è al contempo Autorità di risoluzione, Conflitto di interessi tra autorità vigilante e organismi vigilati, Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost., dal momento che la disciplina recata dal d.lgs. 180/2015, demandando alla Banca d'Italia i poteri sia di vigilanza che di risoluzione pone la stessa in posizione di non equidistanza e neutralità, come è invece imposto dall'art. 97 Cost., nei confronti dei gruppi bancari sui quali la stessa è chiamata a vigilare, determinando una illegittima coincidenza tra vigilante e vigilato. Chiesto dunque l'annullamento giudiziale degli atti impugnati in ragione dei motivi di ricorso sopra sinteticamente riproposti, il ricorso si completava con la proposizione della domanda risarcitoria con riferimento ai danni patiti dai ricorrenti a causa della procedura di risoluzione. 11. -Si costituivano in giudizio la Banca d'Italia, la Consob e i c.d. enti ponte (delle quattro banche: la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, la Banca delle Marche, la Cassa di Risparmio di Ferrara e la Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.a.) chiedendo la reiezione delle domande giudiziali avanzate con il ricorso. In via preliminare veniva contestata la legittimazione a ricorrere in capo al Codacons e la Consob sosteneva il proprio difetto di legittimazione passiva non essendo stati gravati atti da essa adottati. Con ordinanza della Sezione del 27 aprile 2016 n. 4805 si disponeva, a cura della Banca d'Italia, il deposito dell'atto di valutazione definitiva relativo alla procedura di risoluzione, unitamente ad una relazione integrativa circa lo stato del procedimento successivo alla valutazione definitiva stessa. La Banca d'Italia, in data 28 maggio 2016, eseguiva il disposto istruttorio depositando l'atto di valutazione definitiva predisposto dalla BDO Italia S.p.a. ed ulteriore documentazione. La difesa degli enti ponte, in seguito a tale ulteriore produzione documentale, in sede di memoria conclusiva hanno sostenuto il sopravvenuto difetto di interesse alla decisione a carico dei ricorrenti in quanto "lo sviluppo successivo della procedura di risoluzione e le recenti innovazioni legislative ...(avrebbero)... privato definitivamente la controparte dell'interesse a ricorrere ...(dato che, ormai,)... l'annullamento degli atti impugnati non produrrebbe alcuna utilità per il ricorrente" (così, testualmente, a pag. 2 delle memorie conclusive depositate dalla difesa di ciascuno dei c.d. enti ponte). In altri termini essendo oramai spirato il termine di impugnazione degli atti da ultimo depositati dalla Banca d'Italia ed in particolare dell'atto di valutazione definitiva con il quale si è completata la procedura di risoluzione, avviata con gli atti a suo tempo fatti oggetto di gravame dai ricorrenti, questi ultimi non riceverebbero alcun vantaggio dalla sola impugnazione degli atti presupposti. Sono seguite ulteriori memorie e repliche con produzione documentale a cura delle parti che hanno confermato le già rassegnate conclusioni.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
12. - Ritiene il Collegio che nell'ordine logico delle questioni debbano essere esaminate prima le eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti, passando successivamente, nello scrutinio delle questioni di merito, alla delibazione delle censure formulate con riferimento al difetto di istruttoria e al travisamento dei fatti ed errore dei presupposti relativi all'accertamento da parte di Banca d'Italia circa la sussistenza dei presupposti della risoluzione; in ultimo si dovranno considerare i profili di illegittimità comunitaria e costituzionale sollevati dalla difesa dei ricorrenti. La prima questione preliminare evidenziata dalle parti resistenti costituite in giudizio attiene alla contestata sussistenza della legittimazione ad agire in capo al Codacons.
13. - Va ricordato che il Codacons ha proposto il ricorso qui in esame invocando un unico titolo di legittimazione attiva quale associazione dei consumatori - e quindi di associazione dei consumatori inserita nello speciale elenco di cui al Consiglio nazionale dei Consumatori e degli utenti ed avente per finalità statutaria quella di agire in giudizio, anche nei confronti di soggetti pubblici, per tutelare i diritti e gli interessi dei consumatori e dei risparmiatori - e non come azionista, assumendo invece tale titolo di legittimazione le 249 persone fisiche che con il Codacons hanno sottoscritto il medesimo ricorso avverso gli atti della procedura di risoluzione dei quattro istituti di credito, deliberata dalla Banca d'Italia e confermata dal MEF. La questione della legittimazione attiva del Codacons, a chiedere l'annullamento dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 29 c.p.a., degli atti adottati dalla Banca d'Italia che hanno dato luogo all'avvio della procedura di risoluzione delle quattro banche, deve muovere dall'esame delle norme applicabili a tale specifico profilo di tutela giurisdizionale. L'art. 32-bis del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico della finanza), introdotto in seguito al recepimento della direttiva comunitaria 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 relativa ai mercati degli strumenti finanziari, prevede testualmente che: "Le associazioni dei consumatori inserite nell'elenco di cui all'articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono legittimate ad agire per la tutela degli interessi collettivi degli investitori, connessi alla prestazione di servizi e attività di investimento e di servizi accessori e di gestione collettiva del risparmio, nelle forme previste dagli articoli 139 e 140 del predetto decreto legislativo". Nel recepire la direttiva comunitaria suindicata il legislatore nazionale, attraverso la tecnica di recepimento della previsione di una norma di delega (recata dall'art. 9-bis della l. 18 aprile 2005, n. 62) accompagnata dalla predisposizione di un'apposita fonte primaria delegata, aveva stabilito nella norma di delega, quale criterio direttivo per il legislatore delegato, di "estendere l'applicazione del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori nelle materie previste dalla direttiva". In attuazione della delega, il d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164 ha inserito nel corpo del T.U.F. l'art. 32-bis, recependo puntualmente (non solo il contenuto della direttiva comunitaria, ma anche) l'indicazione proveniente dal legislatore delegante ed operando un diretto rinvio ai rimedi ed agli strumenti di tutela previsti dal Codice del consumo. Ne deriva, ineludibilmente, che per effetto di tale rinvio diretto le azioni esperibili dalle associazioni dei consumatori sono quelle che, con elencazione tassativa ed esaustiva, sono puntualmente indicate nel predetto Codice del consumo (ed in particolare nell'art. 140 del d.lgs. 206/2005), che attribuisce in capo alle associazioni l'esercizio delle azioni dirette a: "a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; b) di adottare le misure idonee a correggere o Page 12 of 25 https://www.iusexplorer.it/dejure/PrintExportSend 03/05/2017 eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate". Come può agevolmente rilevarsi dalla piana lettura del testo sopra riprodotto, si tratta di un elenco di rimedi che non contempla l'azione di annullamento dei provvedimenti amministrativi, né qualsiasi altro tipo di azione esercitabile dinanzi al giudice amministrativo a tutela di posizioni di interesse legittimo (non potendo trarre in inganno la previsione recata dal comma 11 del citato articolo, a mente del quale "Resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici ai sensi dell'articolo 133, comma 1, lettera c) del codice del processo amministrativo", in quanto, come è noto, in sede di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo conosce anche di diritti soggettivi).
14. - In argomento merita di essere chiarito che, in epoca antecedente rispetto all'entrata in vigore del d.lgs. 206/2005, la giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione ha avuto modo di evidenziare come, nel passato, gli interessi diffusi erano considerati "adespoti" e potevano essere tutelati in sede giudiziale solo in quanto il legislatore avesse attribuito ad un ente esponenziale la tutela degli interessi dei singoli componenti una collettività, che così appunto potevano assurgere al rango di interessi "collettivi". Per altro verso, l'esclusione dell'accesso dei singoli alla tutela giudiziale appariva giustificata dall'esigenza di evitare che la tutela riferita ad una pluralità indefinita di interessi identici fosse richiesta con un numero indeterminato di iniziative individuali seriali miranti agli stessi effetti, con inutile aggravio del sistema giudiziario e conseguente dispersione di una risorsa pubblica; e con frustrazione, inoltre, dell'effetto di incentivazione dell'aggregazione spontanea di più individui in un gruppo esponenziale, il che, soprattutto in sistemi cui era ignota la tutela dei diritti individuali omogenei da parte di singoli (invece tipica delle class actions, nelle quali il costo del processo non è però sopportato in proprio dall'attore), valeva anche ad equilibrare l'entità delle risorse che ciascuna parte aveva interesse ad investire nella controversia (cfr., per tutte, Cass. civ., Sez. un., 28 marzo 2006 n. 7036). Nel vigore della l. 30 luglio 1998, n. 281 (recante la Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti), era disposto all'art. 3 (Legittimazione ad agire) che: "1. Le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell'elenco di cui all'art. 5, sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi, richiedendo al giudice competente: a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate". Va segnalato che mentre è facile notare come il testo dell'art. 3 della l. 281/1998 sia identico a quello recato dall'attuale art. 140 del c.d. Codice del consumo, tuttavia nel vigore della l. 281/1998 la legittimazione ad agire discendeva dalla qualità di ente esponenziale ope legis, attribuita in base al sistema previsto dall'art. 3 della legge stessa e con un sistema di iscrizione in elenco "avente carattere costitutivo della legittimazione", in base ad accertamento disciplinato in sequenza procedimentale ex art. 5, comma 2, della l. 281/1998. Se, dunque, l'iscrizione nell'elenco aveva carattere costitutivo della legittimazione, essa, se non immediatamente provata (in presenza di "non contestazione"), doveva, quanto meno, essere allegata da chi agisce. In altri termini, sotto la vigenza della l. 281/1998 e prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 206/2005, le associazioni che si proponevano statutariamente la tutela dei diritti dei consumatori, non inserite nell'elenco di quelle legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi di cui agli artt. 3 e 5 della citata legge, non erano legittimate ad agire e ad intervenire nei giudizi che potevano essere proposti individualmente dai singoli consumatori, atteso che, anteriormente all'introduzione del c.d. Codice del consumo, gli interessi "diffusi", quali quelli dei consumatori, erano "adespoti" e potevano essere tutelati in sede giudiziale solo se il legislatore avesse attribuito ad un'associazione la qualità di ente esponenziale degli interessi stessi, così che essi potessero assurgere al rango di "collettivi".
15. - Con la previsione dell'art. 137 del Codice del consumo le associazioni inserite nell'elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale (come il Codacons) sono ipso iure legittimate "ad agire, ai sensi dell'articolo 140, a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti. Oltre a quanto disposto dall'articolo 2, le dette associazioni sono legittimate ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle materie disciplinate dal presente codice, nonché dalle seguenti disposizioni legislative". Tuttavia, come si è sopra verificato, pur essendo stata oggettivamente ampliata la platea dei soggetti che sono legittimati a tutelare gli interessi dei consumatori e degli utenti (oltre ad essere stata ampliata la gamma delle azioni proponibili, con l'inserimento della class action in virtù del nuovo art. 140-bis), dall'esame del testo dell'art. 140 del Codice del consumo pare evidente che non è stata inclusa, tra gli strumenti di tutela giudiziale, l'azione di annullamento ovvero che non sono stati introdotti specifici mezzi di tutela giudiziale diretta di interessi legittimi da spendere in sede giudiziale a cura degli enti esponenziali. Il Codacons, nel presente giudizio non ha avanzato una class action pubblica da proporre dinanzi al giudice amministrativo ai sensi del d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 (essendo la class action prevista dall'art. 140-bis del Codice del consumo proponibile dinanzi all'Autorità giudiziaria ordinaria) né nella specie vengono in emersione interessi collettivi da tutelare a cura dell'associazione, posto che i soggetti pregiudicati dai provvedimenti qui impugnati ben possono proporre ricorso autonomo, come peraltro è dimostrato nello stesso ricorso sottoscritto, oltre che dal Codacons, da 249 creditori delle quattro banche sottoposte alla procedura di risoluzione. In argomento si è, infatti, affermato che "La legittimazione a ricorrere delle associazioni dei consumatori e degli utenti in possesso di regolare iscrizione nell'apposito elenco ministeriale, legittimamente correlata ai diritti fondamentali che l'art. 2, comma 2, d.lg. 6 settembre 2005 n. 206 (cd. codice dei consumatori) riconosce in favore dei consumatori e degli utenti medesimi, per quanto ampia, non può tuttavia estendersi sino a ricomprendere qualsiasi attività di tipo pubblicistico che si rifletta economicamente, in modo diretto o indiretto, sui cittadini, dovendo al contrario essere commisurata a quegli atti che siano idonei a interferire con specificità e immediatezza sulla posizione dei consumatori e degli utenti. La legittimazione sussiste, dunque, ove i provvedimenti che si impugnano abbiano effettivamente leso "un interesse collettivo dei consumatori e degli utenti", la cui tutela viene assunta dalla relativa associazione. E uno degli indici (da verificare caso per caso) che denunciano la presenza di un "interesse collettivo" è sicuramente dato dal fatto che un tale interesse deve essere in grado di soddisfare, una volta realizzato, l'intera categoria a motivo della sua omogeneità ed indivisibilità" (così, T.A.R. Lazio, Sez. II, 3 giugno 2010 n. 15013). Analogamente si è espressa in epoca recente, con un orientamento che non si ha motivo di non confermare, proprio in materia di legittimazione ad agire del Codacons in controversie attinenti alla tutela degli investitori creditizi, la Sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 31 luglio 2016 n. 3303, affermando che (la decisione citata verrà qui riproposta per ampi stralci senza il virgolettato per intuibili ragioni di editing):
1) l'azione esperibile dalle associazioni dei consumatori è di natura essenzialmente inibitoria e si indirizza contro i comportamenti posti in essere, da soggetti pubblici o privati, in violazione dei diritti dei consumatori (o, nelle materie di cui al d.lgs. n. 58 del 1998, degli investitori);
2) l'impossibilità di includere l'azione di annullamento nell'ambito delle azioni per cui sussiste la speciale legittimazione attribuita alle associazioni dei consumatori si ricava, oltre che dalla formulazione letterale dell'art. 140, comma 1, del d.lgs. 206/2005 che fa espresso ed esclusivo riferimento alla tutela inibitoria, dalle seguenti ulteriori considerazioni: a) il comma 2 dell'art. 140 prevede la possibilità di attivare, prima del ricorso al giudice, la procedura di conciliazione dinanzi alla camera di commercio, industria, artigianato competente per territorio, nonché agli altri organismi di composizione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo a norma dell'art. 141. La previsione di un rimedio stragiudiziale di composizione della lite presuppone la natura disponibile degli interessi in gioco ed è, pertanto, inconciliabile con la natura indisponibile dell'interesse legittimo (come tale sottratto a forme di risoluzione stragiudiziale della controversia); b) il comma 5 prevede espressamente che l'azione possa essere proposta solo dopo che siano decorsi quindici giorni dalla data in cui le associazioni abbiano richiesto al soggetto da esse ritenuto responsabile, a mezzo di lettera raccomandata, la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti; c) la norma presuppone, quindi, che la lesione scaturisca da un comportamento lesivo (non da un provvedimento), e prevede una fase precontenziosa finalizzata a ottenere la spontanea cessazione del comportamento fonte della lesione.
È evidente che questa necessaria parentesi precontenziosa non è compatibile con il sistema di tutela dell'interesse legittimo (fondato su rigide decadenze temporali); né, ancor prima, con le regole dell'autotutela decisoria, che consentono all'Amministrazione di eliminare il provvedimento lesivo solo all'esito di un nuovo procedimento e nel rispetto di specifici presupposti sostanziali. In conclusione ed in virtù delle ragioni indicate dal Codacons a sostegno della sussistenza della propria legittimazione ad agire nel presente giudizio (si veda in proposito quanto affermato dal Codacons nelle pagg. 28-30 del ricorso) l'azione di annullamento (e la conseguente domanda giudiziale di risarcimento del danno ad essa connessa) proposta dallo stesso Codacons nell'ambito del presente contenzioso è estranea al campo oggettivo di applicazione dell'art. 140 del Codice del consumo, anche con riferimento all'art. 32-bis del T.U.F.. Il ricorso dunque va dichiarato in parte inammissibile, potendosi lo stesso scrutinarsi con riguardo alla posizione dei 249 soggetti privati ricorrenti.
16. - Quanto alla posizione della Consob, i ricorrenti la coinvolgono in giudizio, con specifico riferimento alla domanda risarcitoria che accompagna quella di annullamento degli atti di Banca d'Italia e di MEF, in quanto essa, nella procedura che ha visto protagoniste le quattro banche poi sottoposte alla risoluzione, non avrebbe "adeguatamente assolto alle proprie funzioni consentendo l'allocazione sul mercato degli investitori strumenti estremamente rischiosi" (così, testualmente, a pag. 33 del ricorso). La difesa della Commissione sostiene invece che Consob sia del tutto estranea alla vicenda contenziosa dal momento che nessuno degli atti impugnati è stato adottato dalla Commissione, né essa per nessuno di esse si è espressa nell'ambito dei relativi procedimenti. Sul punto il Collegio ritiene che, avendo i ricorrenti posto la domanda risarcitoria a corredo e quale conseguenza sia della illegittimità degli atti impugnati (ai sensi dell'art. 30 c.p.a.) sia del mancato esercizio del potere di controllo, debba escludersi il coinvolgimento di Consob nel presente giudizio, in quanto:
A) sotto un primo versante nessun provvedimento impugnato in questa sede ha visto la partecipazione della Commissione nel corso della fase istruttoria, né tantomeno in quella dell'adozione;
B) sotto un secondo versante, l'azione di risarcimento del danno, avulsa dalla contestazione dell'esercizio (illegittimo) di un potere, indipendentemente dalla impugnazione dell'atto, costituisce un rimedio volto a tutelare la posizione del danneggiato che si compendia in una richiesta di ristoro della lesione alla sua integrità patrimoniale ex art. 2043 c.c., rispetto alla quale l'esercizio del potere amministrativo non rileva in sé, ma per l'efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole, con la conseguenza che la domanda risarcitoria proposta nei confronti della P.A. per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un potere non esercitato va ricondotta all'ambito della categoria dei mezzi di tutela del diritto soggettivo, assegnati ordinariamente dalla Costituzione alla giurisdizione del giudice ordinario, tranne nei casi specifici di attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (che nella specie non sussiste, tenuto conto del catalogo delle materie rimesse alla cognizione in via esclusiva del giudice amministrativo contenuto nell'art. 133 c.p.a.). Può dunque disporsi la estromissione di Consob dal presente giudizio per difetto di legittimazione passiva.
17. - Ancora in via preliminare la difesa dei c.d. enti ponte sostiene che il ricorso dovrebbe dichiararsi improcedibile per sopravvenuto interesse alla decisione. Infatti, in seguito alla ordinanza istruttoria n. 4805 del 27 aprile 2016 e alla conseguente produzione documentale nel giudizio a cura della Banca d'Italia, che tra l'altro ha depositato l'atto di conclusione della procedura di risoluzione di BDO Italia, non essendo intervenuta alcuna specifica impugnazione di tali atti, deve ritenersi venuto meno l'interesse alla decisione della controversia, posto che gli atti conclusivi della contestata procedura di risoluzione non possono essere più messi in discussione. L'eccezione non ha pregio in quanto il ricorso è corredato da domanda risarcitoria, di talché è imposto al giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a. di accertare comunque la legittimità degli atti impugnati.
18. - Può passarsi ora allo scrutinio delle censure dedotte nel ricorso dai 249 soggetti privati. Ritiene opportuno il Collegio evidenziare, fin da ora che, pur se la presente controversia riguarda l'applicazione di una nuova disciplina legislativa, non si può non tenere conto del costante orientamento giurisprudenziale, ribadito anche di recente dal Consiglio di Stato, per cui gli atti posti in essere dalla Banca d'Italia nell'attività di vigilanza, "costituiscono esplicazione di potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica, volto alla tutela dei risparmiatori e, dunque, delle garanzie che devono assistere l'attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito, dell'affidabilità complessiva del sistema bancario e, in particolare, di ogni singolo istituto. Ciò, innanzi tutto, in concreta esplicazione di attività volta alla tutela dei valori di promozione e tutela del risparmio, nonché di esercizio dell'attività creditizia, contemplati e garantiti dall'art. 47 della Costituzione" (così Cons. Stato, Sez. IV, 8 maggio 2015 n. 2328, che conferma TAR Lazio, Sez. III, n. 623 del 2014). In altri termini ciò che in questa sede deve ribadirsi, ritenendo la non sussistenza di valide ragioni per discostarsi dal solco interpretativo tracciato dal giudice amministrativo d'appello in materia, è l'assoluto rilievo della natura discrezionale tecnica del potere amministrativo esercitato (anche nella specie) dalla Banca d'Italia e che caratterizza gli atti da essa adottati, di talché essi sono sindacabili innanzi al giudice amministrativo in sede di legittimità, oltre che per vizi di incompetenza e di violazione di legge, solo per illogicità manifesta, quale figura sintomatica di eccesso di potere, non potendo il giudice amministrativo sostituire proprie valutazioni a quelle dell'organo di controllo. Come per i provvedimenti delle Autorità garanti, anche per le operazioni di controllo della Banca d'Italia il sindacato di eccesso di potere è essenzialmente incentrato sulla verifica della ragionevolezza e della coerenza tecnica della decisione amministrativa, in quanto per determinati settori, come quello delle Autorità e dunque per la Banca d'Italia, il sindacato giurisdizionale necessariamente incontra il limite della specifica competenza tecnica, della posizione di indipendenza e dei poteri propri spettanti alle istituzioni in questione, il cui giudizio ha come parametri di riferimento non regole scientifiche esatte e non opinabili, ma valutazioni, anche di ordine prognostico, a carattere economico e sociale, o comunque non ripercorribile in base a dati univoci [cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 15 dicembre 2014 n. 6153 (con riferimento all'Autorità per l'energia elettrica e il gas), 6 agosto 2013 n. 4113 (con riferimento alla Banca di Italia) e Sez. III, 25 marzo 2013 n. 1645 (con riferimento all'Autorità garante delle comunicazioni) che ha, ancora condivisibilmente, chiarito come "Il limite del sindacato giurisdizionale sulla c.d. discrezionalità tecnica, al di là dell'ormai sclerotizzata antinomia forte/debole, deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della Pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza, anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo, per le quali vengano in rilievo poteri regolatori con i quali l'autorità detta, appunto, le regole del gioco"].
19. - Tali principi giurisprudenziali devono essere applicati anche alla presente controversia, nella quale la Banca d'Italia opera quale Autorità di risoluzione, essendo, anche in tale ambito, affidata ad essa Autorità la tutela dell'interesse pubblico, in particolare, relativo alla continuità delle funzioni essenziali delle banche, alla stabilità finanziaria, al contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, alla tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela (per come recita anche l'art. 21 del d.lgs. n. 180/2015), valutazioni che possono appunto essere sindacate in caso di illogicità o irragionevolezza e erronea valutazione dei presupposti di fatto, ma non nelle scelte discrezionali operate. La difesa dei ricorrenti contesta l'effettivo verificarsi dei presupposti della risoluzione per le quattro banche "in crisi", anche con specifico riferimento alla svalutazione del portafoglio crediti che avrebbe operato la Banca d'Italia in sede di valutazione provvisoria. Tenuto conto della documentazione pervenuta agli atti del giudizio, esaminata e valutata alla luce dei principi giurisprudenziali più sopra richiamati, le censure dedotte dai ricorrenti nel ricorso non possono trovare accoglimento per le ragioni che seguono.
20. - È fuori di dubbio, costituendo un elemento di fatto, che il provvedimento di avvio della risoluzione delle quattro banche è stato adottato dalla Banca d'Italia ritenendo verificato il presupposto del dissesto, costituito dalle perdite patrimoniali di eccezionale gravità tali da privare tali istituti di credito dell'intero patrimonio o di un importo significativo del patrimonio. L'accertamento delle perdite è stato basato dalla Banca di Italia sulla valutazione provvisoria effettuata ai sensi dell'art. 25 del d.lgs. n. 180/2015 e sulla complessiva situazione delle banche, poste in amministrazione straordinaria già da tempo. Nel programma di risoluzione si fa, infatti, riferimento anche al verificarsi di ulteriori presupposti previsti dall'art. 17, comma 2, del d.lgs. 180/2015 ovvero: 1) che le attività risultano essere inferiori rispetto alle passività (lett. c); 2) la circostanza che nel prossimo futuro la banca non sarebbe stata in grado di pagare i debiti alla scadenza (lett. d e, conseguentemente, e). In ciascuno dei programmi di risoluzione, acquisiti agli atti del processo, si sono analiticamente ripercorse le tappe di formazione ed avanzamento di ciascuna "crisi" sviluppatasi durante l'attività di ispezione e di vigilanza posta in essere dalla Banca d'Italia, dando conto (per ciascun istituto di credito in questione) dei deficit evidenziati nel rapporto tra totale netto attivo di ciascuna banca, volume della raccolta e degli impieghi netti. Si è rimarcato come i quattro istituti di credito fossero da tempo in amministrazione straordinaria (sussistendo i presupposti previsti dagli artt. 70, comma 1, lett. a) e b), e 98 del TUB)- al termine del periodo di gestione provvisoria - per gravi irregolarità nell'amministrazione e gravi violazioni normative, gravi perdite patrimoniali e gravi inadempienze nell'attività di direzione e coordinamento, ad esito degli accertamenti ispettivi di vigilanza condotti su ciascuna banca. Inoltre la procedura di amministrazione straordinaria era stata prorogata per il periodo di oltre un anno e che in alcuni casi era stato necessario coinvolgere nell'amministrazione straordinaria anche società controllate dal singolo istituto di credito.
21. - I provvedimenti di amministrazione straordinaria, nei confronti delle quattro banche, sono stati tutti adottati sulla base degli accertamenti ispettivi della vigilanza che, in alcuni casi fin dal 2011, avevano rilevato criticità negli assetti di governance e nella esposizione ai rischi di natura creditizia e finanziaria. Soprattutto nel corso delle ispezioni svolte tra il novembre 2012 e l'aprile 2013 erano state evidenziate lacune nel processo creditizio, con riflessi sul corretto apprezzamento del rischio del credito. Negli ulteriori accertamenti ispettivi eseguiti nel corso del 2013 sono state effettuate nuove rettifiche di valore dei crediti che hanno evidenziato le perdite patrimoniali e il mancato rispetto dei coefficienti regolamentari. Ciascuna proposta di amministrazione straordinaria, oltre alle perdite fa riferimento alle gravi criticità nell'azione di governo che condizionata dalle principali realtà azioniste non ha assicurato la sana e prudente gestione, con conseguenti riflessi sulla situazione patrimoniale del gruppo non in grado di rispettare i requisiti prudenziali e all'assunzione di elevate alee creditizie. Peraltro a seguito delle rettifiche imposte nelle ispezioni i bilanci tutte le banche avevano riportato perdite. Nel corso del Commissariamento è proseguita la revisione al ribasso delle posizioni creditizie, con rilevante crescita degli incagli, delle sofferenze e delle relative previsioni di perdita; i Commissari, inoltre, nelle relazioni alla Banca di Italia, segnalano il rischio di liquidità e la previsione del patrimonio netto negativo per il 2015. Nel periodo di amministrazione straordinaria sono stati anche effettuati alcuni interventi immediati per sopperire alla carenza di liquidità e nello stesso periodo furono esaminati (ma inutilmente) possibili interventi di ricapitalizzazione da parte di altri istituti Riepilogando, quindi (per come anche si legge nel programma di risoluzione), fin dalla prima metà dell'anno 2014 i Commissari straordinari avevano avviato la ricerca di controparti disponibili ad intervenire nella soluzione di crisi del gruppo, ma senza raggiungere i risultati sperati.
22. - Nell'autunno del 2015 i Commissari segnalavano alla Banca d'Italia l'ulteriore aggravamento della situazione di liquidità, che avrebbe potuto comportare la presentazione della richiesta, in tempi brevissimi, di autorizzazione alla "sospensione dei pagamenti", prevista dall'art. 74 del TUB per le banche in amministrazione straordinaria, in circostanze eccezionali. È dunque evidente che, in tale situazione della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, della Banca delle Marche, della Cassa di Risparmio di Ferrara e della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.a., già oggetto dell'amministrazione straordinaria, anche prorogata più volte e con la prospettiva di una crisi di liquidità e della richiesta di autorizzazione alla sospensione dei pagamenti ai sensi dell'art. 74 TUB, si devono ritenere verificati alla data del 21 novembre 2015, per ciascuno dei quattro istituti di credito, i presupposti per l'avvio della risoluzione. Con i programmi di risoluzione di Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.a. si è, in sintesi, previsto quanto segue: a) la riduzione integrale delle riserve e delle azioni nonché del valore nominale degli elementi di classe 2 computabili nei fondi propri; b) la cessione di azienda ad un ente ponte e la successiva cessione dei crediti in sofferenza ad una società veicolo; c) la permanenza della restante parte del debito subordinato in capo alla banca in risoluzione destinata a coprire le perdite. Le operazioni sono state finanziate con l'intervento del Fondo di risoluzione, finanziato dai contributi ordinari della banche al Fondo per l'anno 2015 e dai contributi straordinari previsti dall'art. 83 del d.lgs. n. 180/2015 per tre annualità, e con la garanzia della Cassa depositi e prestiti, oltre al valore della garanzia prestata per il finanziamento del Fondo di risoluzione dalla Cassa depositi e prestiti. Descritto come sopra, in sintesi, il contenuto del programma di risoluzione, va rammentato che esso è stato ritenuto compatibile dalla Commissione europea con la disciplina degli aiuti di Stato in relazione all'art. 107 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea con atto del 22 novembre 2015. Solo a questo punto, con d.l. n. 183/2015 sono stati costituiti gli enti ponte e pur se il medesimo decreto legge non è stato successivamente convertito, con l'art. 1, comma 854, della legge di stabilità per il 2016 (l. 28 dicembre 2015, n. 208) sono stati fatti salvi gli effetti prodotti dal decreto. Infine il 9 dicembre 2015 è stata disposta la liquidazione coatta delle quattro banche in risoluzione.
23. - È di centrale rilievo, ai fini della presente decisione, rammentare come (lealmente) la difesa di parte ricorrente non contesta integralmente la situazione di perdite accusate dalle banche, sostenendo però che le perdite sarebbero state la conseguenza dell'eccessiva svalutazione dei crediti deteriorati. Sul punto va detto che la necessità di procedere alla effettiva valutazione dei crediti deteriorati, non correttamente valutati nella precedente gestione della banca, risulta già da quanto venne rilevato negli accertamenti ispettivi della Vigilanza che hanno condotto all'amministrazione straordinaria, confermandosi poi in occasione delle successive rettifiche di valore dei crediti effettuate dai Commissari. Come è facile appurare dalla documentazione prodotta in atti, la situazione di gravi perdite si era già verificata a partire dagli esercizi precedenti rispetto al 2015 e quindi in epoca anche precedente rispetto alla valutazione provvisoria effettuata dalla Banca d'Italia nella sua veste di autorità di risoluzione e qui contestata dai ricorrenti. In tale situazione di perdite e crisi di liquidità della banca, anche la sola riduzione o conversione di azioni sarebbe stata evidentemente insufficiente. Né può dirsi irragionevole la scelta di disporre la risoluzione in luogo della liquidazione coatta amministrativa, che avrebbe comportato proprio, violando la previsione del secondo comma dell'art. 21, comma 2, del d.lgs. 180/2015, la distruzione di valore della banca, non risultando rinvenibili (nonostante gli sforzi sostenuti anche dai Commissari straordinari) soggetti interessati al subentro nell'azienda bancaria. Alla luce di quanto appena riferito, appare scevro da contestazioni di irragionevolezza e di illogicità quanto ebbe a prospettare la Banca d'Italia nel programma di avvio della risoluzione, volto ad assicurare la continuità dell'azienda bancaria, l'erogazione dei crediti, dei mutui e, non da ultimo, la tutela dei posti di lavoro delle migliaia di dipendenti. Si deve considerare, infatti, che nelle concrete circostanze di fatto relative alla situazione economica delle quattro banche, in amministrazione straordinaria da più di due anni (l'ultima proroga nel 2015 era stata concessa dalla Banca d'Italia quale proroga per la chiusura dell'amministrazione straordinaria, per come prevista dall'art. 70, comma 6, TUB) e in mancanza di soluzioni alternative di mercato, la via ordinaria da seguire per l'Autorità di Vigilanza sarebbe stata proprio quella della liquidazione coatta ai sensi dell'art. 80 del TUB.. Non a caso la stessa Banca d'Italia nel provvedimento di avvio della risoluzione dà espressamente conto della specifica valutazione dell'interesse pubblico operata proprio al fine di evitare il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, al dichiarato scopo di salvaguardare le funzioni essenziali della banca, effettivamente mantenute, nel caso di specie, con le posizioni di credito in corso, i mutui, i depositi anche non protetti, comunque non colpiti dalle misure di risoluzione del 22 novembre 2015 nonché i posti di lavoro di migliaia di dipendenti.
24. - Ad avviso dei ricorrenti, però, sarebbe proprio la disciplina del d.lgs. n. 180/2015 ad essere in contrasto con la disciplina della direttiva 2014/59 con riferimento alla violazione del principio di proporzionalità, ma ciò è chiaramente smentito da quanto il legislatore nazionale, all'atto del recepimento della direttiva n. 59 del 2014, ha manifestato nel testo degli artt. 20 e 21 del d.lgs. 180/2015. Infatti il 45° considerando della direttiva fa espresso riferimento al principio per cui un ente in dissesto dovrebbe essere liquidato con procedura ordinaria di insolvenza. Tuttavia, una volta espresso tale principio generale, nello specifico la disposizione europea si affretta a precisare che "Tale procedura, tuttavia, potrebbe compromettere la stabilità finanziaria, interrompere la prestazione di funzioni essenziali e pregiudicare la tutela dei depositanti. In tal caso, è altamente probabile che sarebbe di pubblico interesse sottoporre l'ente a risoluzione e applicare strumenti di risoluzione anziché avvalersi della procedura ordinaria di insolvenza, con l'obiettivo quindi di garantire la continuità delle funzioni essenziali, di evitare effetti negativi sulla stabilità finanziaria, di tutelare i fondi pubblici riducendo al minimo il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario per gli enti in dissesto e di tutelare i depositanti e gli investitori protetti, i fondi e le attività dei clienti". Ebbene tali valutazioni in ordine all'interesse pubblico sono richieste dagli artt. 20 e 21 del d.lgs. 180/2015, che nella specie sono stati puntualmente applicati dall'Autorità di vigilanza attraverso una attenta procedura istruttoria che ha portato all'emersione dei presupposti per proseguire sulla strada della risoluzione e rispetto ai quali Banca d'Italia ha offerto abbondantemente ragione delle motivazioni di tale scelta proprio nel programma di risoluzione, con compiutezza di particolari. Non può inoltre sfuggire, nel caso di specie, anche a cagione della entità dell'intervento del Fondo di risoluzione, che una operazione limitata a realizzare solo una riduzione o conversione delle azioni, prevista dall'art. 20, comma 1, lettera a), del d.lgs. 180/2015 non sarebbe stata sufficiente a ripianare la situazione di perdite della banca e ad evitare il dissesto della stessa, come espressamente richiesto dall'art. 20, comma 1, lettera b), del richiamato decreto legislativo per disporre la risoluzione o la liquidazione coatta. La risoluzione è stata, infatti, attuata con la cancellazione delle azioni e delle obbligazioni subordinate e con l'intervento del Fondo di tutela dei depositanti finanziato dai contributi ordinari della banche al Fondo per l'anno 2015 e dai contributi straordinari previsti dall'art. 83 del d.lgs. n. 180/2015 per tre annualità e con la garanzia della Cassa depositi e prestiti. Non pare superfluo né ridondante rammentare ancora una volta che l'intervento, così come realizzato, è stato approvato dalla Commissione europea in relazione alla disciplina dell'art. 107 del Trattato sul funzionamento dell'unione europea in data 22 novembre 2015, ritenendolo compatibile con la disciplina degli aiuti di Stato proprio in quanto rispettoso dei principi fissati dalla Commissione nella comunicazione del settore bancario del 2013, con la cancellazione delle azioni e di parte del debito subordinato.
25. - I ricorrenti hanno anche posto in contestazione la valutazione operata dalla Banca d'Italia nella prospettiva che non avrebbe tentato di rinvenire possibili soluzioni alternative alla risoluzione ed in particolare per non aver ritenuto di percorrere la strada dell'intervento del Fondo di tutela dei depositi per come si era concretizzato nell'ottobre del 2015. Page 19 of 25 https://www.iusexplorer.it/dejure/PrintExportSend 03/05/2017 Sul punto deve considerarsi che l'art. 17, comma 1, lettera b), del d.lgs. 180/2015 prevede espressamente che le azioni di risoluzione possono essere disposte quando non si possano "ragionevolmente prospettare misure alternative che permettono di superare la situazione di cui alla lettera a) in tempi adeguati, tra cui l'intervento di uno o più soggetti privati o di un sistema di tutela istituzionale, o un'azione di vigilanza, che può includere misure di intervento precoce o l'amministrazione straordinaria ai sensi del Testo Unico Bancario". Nel caso della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, della Banca delle Marche, della Cassa di Risparmio di Ferrara e della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.a. l'amministrazione straordinaria era stata già disposta e prorogata, per alcune fino ad un complessivo periodo superiore a due anni, durante il quale erano state tentate alcune soluzioni non andate a buon fine. 26. - In conclusione emerge che la valutazione operata da Banca d'Italia il 21 novembre 2015, tenuto sempre conto dei limiti del sindacato di ragionevolezza su tali scelte, non appare illegittima, In tale quadro complessivo e nella situazione di urgenza verificatasi per le quattro banche, la Banca d'Italia legittimamente e cautamente ha valutato come non fosse possibile una soluzione alternativa, considerata anche la valutazione complessiva dell'interesse pubblico da ritenersi prevalente in base alla espressa previsione dell'art. 20 del d.lgs. n. 180/2015. Non appare incongruo riflettere sulla circostanza che, nell'ambito della valutazione circa la sussistenza dell'interesse pubblico a procedere alla risoluzione operata in quell'epoca nei confronti dei più volte citati quattro istituti di credito, siano stati presi in considerazione anche i rischi dell'avvio di una procedura di infrazione, per come era già stata avviata dalla Commissione nel caso della banca Tercas, procedura che, tra l'altro, per la Banca Tercas si è poi effettivamente concretizzata anche con il provvedimento finale della Commissione del 23 dicembre 2015 (con il quale si è testualmente affermato che "In seguito a un'indagine approfondita, la Commissione europea ha concluso, sulla base dei fatti e delle circostanze noti, che il sostegno concesso dal sistema obbligatorio di garanzia dei depositi italiano a Banca Tercas costituisce un aiuto di Stato incompatibile"). Merita che sia ulteriormente precisato come nel caso della Banca Tercas l'intervento del Fondo di tutela dei depositanti era stato contenuto nella somma complessiva di trecento milioni di euro, inferiore di gran lunga a quanto ipotizzato per alcune delle quattro banche in questione e che comunque le azioni ordinarie erano state integralmente svalutate, appuntandosi le critiche della Commissione proprio sulla mancata conversione o svalutazione dei prestiti subordinati. Ne deriva l'assoluta irrilevanza rispetto al sindacato di legittimità del provvedimento adottato il 21 novembre 2015 dalla Banca di Italia della questione dedotta dai ricorrenti circa il rinvio pregiudiziale per il concreto accertamento della compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato dell'intervento del Fondo di tutela dei depositi, mai effettivamente realizzato, in relazione alle concrete circostanze di fatto in cui ha operato la Banca di Italia. Prescindendo dalla mera ipoteticità di tali alternative indicate dai ricorrenti, se la Banca d'Italia avesse insistito nel portare avanti l'altro intervento del Fondo di tutela dei depositi - vale a dire quello approvato dal Consiglio del Fondo nell'ottobre 2015 - chiedendo formalmente alla Commissione di autorizzarlo come aiuto di Stato ammesso, avrebbe comunque dovuto incidere sulla posizione degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati, come era previsto anche dalla autorizzazione del Fondo dell'8 ottobre 2015 e secondo quanto indicato dalla Commissione nella comunicazione sul settore bancario del 2013.
27. - La legittimità di tale posizione della Commissione rispetto all'intervento sugli azionisti e sugli obbligazionisti subordinati, secondo quanto prescritto nella comunicazione del 2013, è stato confermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza della Grande sezione 19 luglio 2016, relativa ad un intervento della banca centrale slovena che, per ricapitalizzare cinque banche in difficoltà aveva inciso sul capitale degli azionisti e sul debito subordinato; la sentenza ha, infatti, affermato che lo Stato membro può anche non imporre una tale misura prevista dalla comunicazione della Commissione sul settore bancario del 2013, ma in tal caso assume il rischio di vedersi opporre una decisione della Commissione che dichiari l'incompatibilità di tali aiuti con il mercato interno. La Corte, nella ridetta sentenza, ha anche affermato che la comunicazione del settore bancario deve essere interpretata nel senso che le misure di conversione o svalutazione dei titoli subordinati non devono andare oltre quanto necessario per superare la carenza di capitale della banca, il che, come sopra evidenziato, nel caso di specie risulta evidente data la consistenza dell'intervento del Fondo di risoluzione rispetto alla posizione degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati, comunque destinata a ripianare le perdite della banca in caso di liquidazione coatta amministrativa. Più in particolare, anche per quel che rileva nel presente contenzioso, la Corte di giustizia si è spinta ad affermare che "(...) la circostanza che, nel corso delle prime fasi della crisi finanziaria internazionale, i creditori subordinati non siano stati invitati a contribuire al salvataggio degli istituti di credito, non consente ai creditori medesimi di avvalersi del principio di tutela del legittimo affidamento. Una simile circostanza non può, difatti, essere considerata come una rassicurazione precisa e incondizionata, tale da far sorgere in capo ad azionisti e creditori subordinati il legittimo affidamento di non essere sottoposti in futuro a misure di ripartizione degli oneri. Peraltro, poiché gli azionisti sono responsabili per le passività della banca fino a concorrenza del capitale sociale della stessa, il fatto che la comunicazione sul settore bancario richieda che, per rimediare alla sottocapitalizzazione di una banca, prima della concessione di un aiuto di Stato, detti azionisti contribuiscano a coprire le perdite subìte della stessa nella medesima misura che si proporrebbe in assenza di un simile aiuto, non si può considerare una compromissione del loro diritto di proprietà". È interessante notare come la Corte di giustizia abbia inoltre chiarito, in ordine alle misure di conversione o svalutazione dei titoli subordinati, che uno Stato membro non sia obbligato ad imporre alle banche in difficoltà, prima della concessione di qualsivoglia aiuto di Stato, di convertire in capitale i titoli subordinati o di svalutarli, né di impiegare integralmente tali titoli per assorbire le perdite. In siffatti casi, non si potrà tuttavia ritenere che l'aiuto di Stato di cui trattasi sia stato limitato al minimo necessario. Lo Stato membro, come le banche beneficiarie degli aiuti di Stato di cui trattasi, si assume il rischio di vedersi opporre una decisione della Commissione che dichiara l'incompatibilità di tali aiuti con il mercato interno. La Corte aggiunge, tuttavia, che le misure di conversione o svalutazione dei titoli subordinati non devono andare oltre a quanto è necessario per rimediare al deficit di fondi propri della banca interessata, sottolineando comunque che le misure di ripartizione degli oneri sono ricomprese nella nozione di "provvedimenti di risanamento" ai sensi della direttiva in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi. Infatti, poiché dette misure mirano a risanare la posizione patrimoniale degli istituti di credito e a superare la carenza di capitale degli stessi, esse hanno lo scopo di salvaguardare o risanare la situazione finanziaria di un ente creditizio.
28. - Proprio le affermazioni della Corte di Giustizia, nelle recente sentenza sul caso delle banche slovene, e le dimensioni quantitative dell'apporto del Fondo di risoluzione rispetto alle perdite subite da azionisti e obbligazionisti subordinati conducono a ritenere priva di fondamento, altresì, la censura sollevata con riferimento alla violazione del principio comunitario di proporzionalità. Né possono rilevare, ai fini del sindacato di legittimità, le eventuali diverse azioni di rilevanza politica presso la Commissione europea o altri organi dell'Unione al fine di disciplinare diversamente tali materie. Si tratta di scelte politiche che avrebbero potuto esser diverse, ma che non militano nel senso della illegittimità dell'azione amministrativa concretamente posta in essere sul campo nel caso di specie. Si deve, infatti, considerare quanto prescritto dall'art. 21 del d.lgs. 180/2015 che pone come obiettivi della risoluzione, la continuità delle funzioni essenziali delle banche, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela; obiettivi posti dalla legge e che risultano essere stati perseguiti dalla Banca d'Italia e dal Ministero dell'economia e delle finanze nelle scelte poste a base del provvedimento di risoluzione, né l'ordine o le priorità poste da tale norma possono essere oggetto di contestazione in questa sede, quali ad esempio la preferenza per la scelta di optare per l'aggravio a carico delle finanze pubbliche invece che a carico degli azionisti o dei titolati di obbligazioni subordinati con un maggiore intervento del fondo, trattandosi di scelte ampiamente discrezionali.
29. - I ricorrenti muovono poi censure rispetto alla valutazione provvisoria svolta dalla Banca di Italia, seppure non censurano puntualmente la valutazione definitiva da parte della BDO. L'art. 25 del d.lgs. 180/2015 prevede che la valutazione provvisoria sia effettuata dalla Banca d'Italia o dal Commissario straordinario, "quando sussistono motivi di urgenza" che non permettono di procedere alla valutazione definitiva da parte dell'esperto indipendente. Al livello di normativa europea l'istituto della valutazione provvisoria e le modalità del suo utilizzo sono previsti e contemplati nei paragrafi 2 e 9 dell'art. 36 del direttiva 2014/59; in particolare il paragrafo 2 prevede la valutazione provvisoria effettuata dall'Autorità di risoluzione qualora "non sia possibile" la valutazione di una persona indipendente da qualsiasi autorità pubblica, compresa l'autorità di risoluzione e il paragrafo 9 la prevede, qualora la valutazione dell'esperto indipendente, non sia possibile "a causa dell'urgenza dettata dalle circostanze del caso". Va segnalato, a questo punto, che la norma di recepimento interno della fonte europea ha consentito la valutazione provvisoria solo nei casi di urgenza, esprimendosi quindi in maniera (ancor) più restrittiva rispetto a quanto previsto dalla direttiva. Nel caso di specie, poi il ricorso alla valutazione provvisoria, quale presupposto per la risoluzione, risulta ampiamente giustificato in una situazione quale la crisi di liquidità delle banche venne segnalata dai Commissari nell'autunno del 2015. Per quanto concerne lo scrutinio delle specifiche censure mosse dai ricorrenti aventi ad oggetto le modalità attraverso le quali si è sviluppata e definita la valutazione provvisoria (oltre che quella definitiva, tenuto conto che quest'ultima conferma tutti i dati emersi in sede di valutazione provvisoria) in quanto avrebbero operato ulteriori eccessive - e tecnicamente non giustificabili - svalutazioni dei crediti deteriorati, si deve tenere conto, in primo luogo che in base alla espressa disciplina dell'art. 23 del d.lgs. 180/2015 tali valutazioni debbono essere effettuate in base a criteri prudenziali e realistici delle attività e passività ("l'avvio della risoluzione è preceduto da una valutazione equa, prudente e realistica delle sue attività e passività"). In particolare, ai sensi del successivo art. 24, comma 2, detta valutazione si fonda su ipotesi prudenti, anche per quanto concerne i tassi di insolvenza e la gravità delle perdite: queste sono accertate con riferimento al momento in cui è effettuata la valutazione; ove possibile è, altresì, fornita una stima delle perdite che potrebbero risultare al momento dell'applicazione delle azioni di risoluzione o dell'esercizio del potere di riduzione o di conversione delle azioni, delle altre partecipazioni ed in ordine agli strumenti di capitale. Peraltro è documentalmente provato che la valutazione provvisoria ha fatto riferimento, in primo luogo, ai dati contabili al settembre 2015, da cui già risultavano le gravi perdite delle banche con il mancato rispetto dei requisiti prudenziali, la previsione di perdite ulteriori al novembre 2015 e il patrimonio netto negativo a tale data. In una valutazione di fase 2, seguendo i criteri di valutazione maggiormente realistici e prudenziali, indicati dalla Commissione europea nella Comunicazione 2009/C 72/01 sul trattamento delle attività che hanno subito una riduzione di valore nel settore bancario comunitario e ai principi EBA in corso di approvazione, la Banca d'Italia ha ulteriormente svalutato i crediti in base al loro stimato effettivo valore di cessione. In virtù di tali risultati sono state considerate perdite decisamente significative. In siffatto quadro ricostruttivo degli eventi, in disparte la rilevanza dall'effettivo interesse dei ricorrenti a muovere una tale censura, va considerato che già in base ai dati contabili in possesso dei Commissari ed acquisiti all'esito della relativa istruttoria, si devono ritenere sussistenti i presupposti per la risoluzione e si deve considerare che la questione della valutazione dei crediti deteriorati è stata posta come elemento di attenzione per la situazione di crisi generale delle banche. Proprio al fine di ovviare a tale situazione di deterioramento del credito del sistema bancario sono stati indicati dalla Commissione, nella comunicazione sul trattamento delle attività che hanno subito una riduzione di valore nel settore bancario comunitario (la già segnalata comunicazione 2009/C72/01), criteri in base ai quali il portafoglio crediti di una banca debba essere valutato in modo il più possibile rispondente all'effettivo valore di mercato.
30. - Quanto ai criteri utilizzati nella valutazione, anch'essi fatti oggetto di contestazione a cura dei ricorrenti, si deve considerare che la scelta di imporre ai soggetti responsabili della procedura l'adozione di criteri prudenti e realistici è indicata dalla fonte primaria di recepimento della direttiva europea, nella specie dagli artt. 23 e 24 del d.lgs. 180/2015, conformemente a quanto prescritto a livello europeo dalla comunicazione della Commissione del 2009. È innegabile che la valutazione della situazione di crisi effettuata seguendo tali stringenti tali criteri ha comportato nuove svalutazioni tali da determinare un considerevole aggravio delle perdite e che tali svalutazioni sono poi state sostanzialmente confermate dalla valutazione definitiva, elaborata applicando i medesimi criteri di valutazione, ma si è già chiarito come tale impianto sia perfettamente in asse con la strategia comunitaria di prevenzione e risoluzioni delle crisi bancarie, ivi compresa (lo si ripete) l'adozione di criteri particolarmente stringenti da utilizzare nel corso dell'istruttoria della procedura di valutazione provvisoria. In tale solco normativo, anche la valutazione definitiva ha fatto riferimento ai criteri contabili e al bilancio dei Commissari, considerando per ciascuna banca la perdita di esercizio e l'entità del patrimonio netto negativo al mese di novembre ai quali, nella valutazione di fase 2 sono state aggiunte rettifiche prudenziali sia sul patrimonio netto sia sui crediti in prospettiva della cessione all'ente ponte e alla società veicolo. Tali valutazioni prudenziali hanno sostanzialmente confermato la valutazione provvisoria già effettuata dalla Banca d'Italia. In ogni caso, già nei dati contabili relativi ad epoche anteriori al novembre 2015 la situazione delle quattro banche era tale da denunciare cospicue perdite che non avrebbero comunque consentito agli azionisti e agli obbligazionisti di soddisfare il loro credito in sede concorsuale. La grave situazione della Banca dell'Etruria, della Banca delle Marche, della Cassa di Risparmio di Ferrara e della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti è stata poi confermata dalle sentenze dei Tribunali civili che ne hanno dichiarato l'insolvenza confermando, in particolare anche la legittimità delle stime effettuate sui crediti deteriorati.
31. - In conclusione, sia l'istruttoria svolta nel corso della procedura di valutazione provvisoria che l'istruttoria sviluppata nel corso della successiva valutazione definitiva hanno evidenziato che gli azionisti e i creditori subordinati non avrebbero subito un migliore trattamento a seguito della liquidazione coatta amministrativa, come espressamente richiesto dalla disciplina legislativa interna e dalla normativa comunitaria. Tale valutazione particolarmente cauta e prudente, i cui profili sono tratteggiati sia dal considerando 50° che dall'art. 74 della direttiva 2014/59 UE nonché dall'art. 24, comma 5, del d.lgs. 180/2015 si rende, infatti, necessaria proprio al fine di salvaguardare il contemperamento tra la prevalenza degli interessi generali che stanno a base della scelta della risoluzione, rispetto agli interessi dei privati, azionisti e obbligazionisti, che non devono ricevere un trattamento deteriore rispetto a quello della ipotesi ordinaria della liquidazione coatta amministrativa. Il 45° considerando della direttiva evidenzia che la procedura ordinaria per la crisi della banche è la procedura ordinaria di insolvenza e il considerando 50° prevede che "l'interferenza nei diritti di proprietà non dovrebbe essere eccessiva. Gli azionisti e creditori interessati non dovrebbero subire perdite superiori a quelle che avrebbero sostenuto se l'ente fosse stato liquidato quando è stata decisa la risoluzione. Qualora le attività di un ente soggetto a risoluzione siano parzialmente cedute a un acquirente privato o a una banca-ponte, è opportuno liquidare la parte residua di tale ente con procedura ordinaria di insolvenza. Per tutelare gli azionisti e creditori che si trovano coinvolti nella procedura di liquidazione dell'ente, è opportuno sancirne il diritto a ricevere, in pagamento o a compensazione dei loro crediti nel quadro di tale procedura, una somma non inferiore a quella che, secondo le stime, avrebbero recuperato se l'ente fosse stato integralmente liquidato con procedura ordinaria di insolvenza". La valutazione operata proprio con riferimento alla specifica circostanza che (o con riguardo al criterio secondo il quale) i creditori e gli azionisti non avrebbero ottenuto meno di quanto ottenuto con la liquidazione coatta costituisce un meccanismo che si traduce in una clausola di salvaguardia necessaria a garantire il livello di tutela normalmente apprestato per i creditori e gli azionisti in una procedura concorsuale. Si deve del resto considerare che nel caso di specie il ricorso ad una siffatta procedura è giustificato nell'ottica del possibile salvataggio della banca, altrimenti destinata alla liquidazione, tenuto conto anche che, ai sensi del vigente art. 80 del TUB, i presupposti della liquidazione coatta sono gli stessi della risoluzione, quando però non sussistano le prospettive di risanamento; non a caso la sentenza della Corte di Giustizia del 19 luglio 2016 fa espresso riferimento agli strumenti di risoluzione quali "provvedimenti di risanamento".
32. - Per quanto concerne due ulteriori profili di censura dedotti nei ricorsi si segnala che infondata è la contestazione di difetto di istruttoria, anche sotto il profilo della perplessità e contraddittorietà dell'esercizio del relativo potere in quanto la Banca d'Italia avrebbe trattato con un unico procedimento quattro banche. Risulta, infatti, dagli atti di causa e dalla cospicua documentazione depositata che l'istruttoria è stata effettuata con riferimento alla situazione concreta di ciascuna delle quattro banche e con riferimento ai dati contabili e ai parametri di vigilanza di ciascuna di esse. Neppure coglie nel segno la censura che vorrebbe evidenziare un profilo di conflitto di interessi, seppure potenziale, in capo alla Banca d'Italia per avere cumulato in capo ad essa più competenze nel corso delle complesse procedure che hanno condotto alla risoluzione, in quanto il meccanismo è puntualmente disciplinato dalle disposizioni del d.lgs. 180/2015. Da tutte le considerazioni che precedono può dunque fasi discendere la infondatezza dei motivi di ricorso dedotti nel mezzo di impugnazione proposto dai ricorrenti, esitando al termine dello scrutinio della documentazione prodotta nel giudizio una valutazione di correttezza dell'azione amministrativa, sia sotto il profilo della completezza delle istruttorie svolte sia sotto il versante dell'adeguata motivazione delle risultanze sia in ordine alla corretta applicazione delle disposizioni normative di settore, esaminata alla luce degli approdi giurisprudenziali dei quali si è dato ampiamente conto.
33. - Quanto alle questioni sollevate circa la non compatibilità costituzionale delle disposizioni recate dal d.lgs. 180/2015 con numerose norme e principi contenuti nella Carta costituzionale, ad avviso del Collegio tali contestazioni non colgono nel segno. Va premesso che l'evidenza delle circostanze di fatto, sopra ampiamente illustrate, in relazione alle perdite della banca, comporta la irrilevanza, nel caso di specie, della questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti (con il primo ricorso recante motivi aggiunti) con riferimento all'art. 95 del d.lgs. n. 180/2015, che rende inapplicabile al presente giudizio la verificazione e la consulenza tecnica d'ufficio, né la difesa della parte ricorrente ha dedotto alcuna specifica circostanza circa la possibilità di ottenere un migliore trattamento in sede di liquidazione coatta. In altri termini la completezza della documentazione presentata e le approfondite disamine istruttorie svolte sia in sede di valutazione provvisoria che in sede di valutazione definitiva, scongiurano nel presente giudizio la necessità di disporre strumenti istruttori quali la verificazione o la consulenza tecnica, di talché la questione si presenta priva di rilevanza in questo contenzioso giurisdizionale. I ricorrenti contestano inoltre la legittimità costituzionale della disciplina della risoluzione introdotta dal d.lgs. 180/2015, in relazione agli articoli 3 e 24 e 111 della Costituzione in quanto avrebbe affidato tutte le funzioni della risoluzione ad un'autorità amministrativa, comprese funzioni tipiche dell'autorità giudiziaria, posto che tale scelta neppure sarebbe stata imposta dal testo della direttiva 2014/59. Ritiene il Collegio l'infondatezza della questione del rispetto della normativa comunitaria in relazione alla ampia discrezionalità lasciata al legislatore nazionale dalla disposizione comunitaria in relazione ai diversi sistemi di diritto interno. L'art. 85 della direttiva 2014/59 UE, infatti, prevede che "Gli Stati membri possono imporre che una decisione di adottare una misura di prevenzione della crisi o una misura di gestione della crisi sia soggetta a un'approvazione ex ante delle autorità giudiziarie, posto che, per quanto concerne una decisione di adottare una misura di gestione della crisi, conformemente al diritto nazionale, la procedura connessa alla domanda di approvazione e l'esame della domanda da parte del giudice siano eseguiti con urgenza". I profili di legittimità costituzionale sollevati con riferimento al mancato intervento dell'autorità giudiziaria, appaiono, in primo luogo del tutto irrilevanti, nel caso di specie, essendo già intervenute le sentenze che hanno accertato lo stato di insolvenza di ciascuna delle quattro banche adottate dal giudice ordinario, che costituisce l'accertamento giurisdizionale invocato dai ricorrenti. Con riguardo alle ulteriori questioni di illegittimità costituzionale sollevate dai ricorrenti in particolare nel ricorso principale, va rammentato ancora una volta che la Corte di Giustizia, nella sentenza del 19 luglio 2016 sulle cinque banche slovene, ha espressamente escluso la lesione del diritto di proprietà e dell'affidamento da parte delle misure che incidono sugli azionisti e sugli obbligazionisti subordinati, in particolare in quanto gli azionisti assumono il rischio dell'investimento e sono responsabili per le passività della banca fino a concorrenza del capitale sociale e i creditori subordinati sono comunque destinati a subire le perdite della banca dopo gli azionisti. Ne deriva che le norme del d.lgs. 180/2015 che disciplinano gli interventi di salvataggio così come quelli effettuati nella vicenda delle quattro banche "in crisi", senza intaccare neppure i depositi non protetti, non si possono ritenere in contrasto con l'art. 47 della Costituzione; né nel caso di specie si può ravvisare una violazione dell'art. 42 della Costituzione, non potendosi configurare in alcun modo una espropriazione nell'operazione di risoluzione prevista dal d.lgs. 180/2015 e posta in essere dalla Banca d'Italia, atteso che le azioni e le obbligazioni subordinate sono titoli di credito, la cui natura e funzione è quella di partecipare alle eventuali perdite della banca.
34. - In virtù delle suesposte considerazioni, ferma la dichiarazione di parziale inammissibilità del ricorso con riferimento alla legittimazione attiva di Codacons e della estromissione dal processo di Consob, le censure dedotte con il ricorso non possono trovare accoglimento, di talché il ricorso medesimo va respinto.
L'infondatezza delle censure comporta inoltre il rigetto della domanda di risarcimento danni.
La evidente novità e complessità delle questioni fatte oggetto del presente contenzioso costituisce il presupposto, ad avviso del Collegio, per ritenersi verificata la causa di compensazione delle spese di giudizio tra tutte le parti controvertenti ai sensi dell'art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall'art. 26, comma 1, c.p.a.. Diritto PQM P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) pronunciando in via definitiva sul ricorso, come indicato in epigrafe, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge.
Respinge la domanda risarcitoria.
Dispone l'estromissione dal processo di CONSOB-Commissione nazionale per le società e la borsa.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio del 4 ottobre 2016 e del 18 ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati: Leonardo Pasanisi, Presidente
Francesco Arzillo, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 07 GEN. 2017.